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Habemus Papam vicino a Martini: Il gesuita moderato argentino Jorge Mario Bergoglio

Rosario PipoloL’agognata fumata bianca del primo Conclave invaso dai social network ha fatto sventolare qualche bandiera tricolore di troppo. L’Arcidiocesi di Milano non ha cantato vittoria neanche questa volta. Il cardinale Angelo Scola era troppo schierato con i ciellini per aggiudicarsi l’ambito pontificato dopo le dimissioni del principe Ratzinger. C’è chi ha creduto fino a pochi istanti prima dell’Habemus Papam che dietro la finestra sarebbe apparso un successore in toto di Benedetto XVI. I movimenti conservatori che animano la Chiesa cattolica hanno subìto il contraccolpo perché ad affacciarsi alla finestra c’è stato un gesuita, per giunta per niente Ratzingeriano, per giunta argentino, la cui elezione riscatta la memoria di Carlo Maria Martini. Habemus Papam: è il moderato Jorge Mario Bergoglio, che da arcivescovo di Buenos Aires sale al pontificato con il nome di Francesco I.

Sostenuto dallo stesso Martini al precedente Conclave, la scelta di Bergoglio mantiene da una parte il passo della transizione e dall’altra porge un segnale moderato di cambiamento nella Chiesa dilaniata da scandali, misteri di Vatileaks, abusi sessuali, intrighi di palazzo, complotti della curia, senza menzionare gli scheletri nell’armadio (da Emanuela Orlandi alla Banca Vaticana). Francesco I non sarà il pontefice progressista che qualcuno si aspettava, almeno che non ci siano sorprese lungo il pontificato, ma sarà il Gesuita rigoroso e severo che potrebbe scuotere persino le fogne dei sotterranei vaticani. I bookmaker e i sondaggi hanno fatto l’ennesima figuraccia allontanandosi dai pronostici, ma era qualche decennio che ci aspettavamo un Papa dell’America latina.

Si finisce nell’incappare nel solito luogo comune: Abbiamo un Pontefice di destra o di sinistra? Direi che abbiamo un Papa Argentino che, nella sua terra, si è distinto per aver difeso i poveri e gli emarginati. Sarà dura fargli indossare il mantello e le scarpine da principe. Quando lo hanno annunciato come Francesco I, non ho pensato per riflesso al piccolo grande uomo di Assisi, nonostante il nome scelto indichi chiaramente che Bergoglio farà sentire il profumo di povertà a gran parte della curia asservita dal potere.
Mi è venuto in mente Francisco, il pastorello portoghese che nelle campagne sperdute di Fatima vide un raggio di luce bianca. E forse è la stessa luce che si sforzerà di farci intravedere Jorge Mario Bergoglio, senza le vesti dell’alto porporato, perché dopo duemila anni sopravvive ancora una grande testimonianza. Quella di un “povero tra i poveri”, sfidante agguerrito di principi e regnanti e urlatore, in una zolla del Medio-Oriente, di un principio che non appartiene soltanto ai naufraghi della spiritualità: l’amore è l’unica via che può dare un senso alla nostra affannata esistenza.

Jorge Mario Bergoglio è giunto al Pontificato in punta di piedi proprio come potrebbero essere i cambiamenti che si prospettano. E se così fosse, il Padreterno ci ha messo del suo.

  Il Paradiso può attendere? Il Sudamerica no!

El nuevo Papa es el argentino Jorge Bergoglio

  Addio a Carlo Maria Martini, il Gesuita che avremmo voluto Papa

Addio a Carlo Maria Martini, il Gesuita che avremmo voluto Papa

Il polacco Karol Wojtyla si era dimostrato un bravo talent scout e ci vide lungo nello sguardo algido di quel Gesuita, che sarebbe stato l’unico e legittimo successore. Carlo Maria Martini, l’Arcivescovo emerito di Milano, si è spento qualche ora fa a Gallarate, a pochi chilometri da Varese, dove da diversi anni combatteva contro il Parkinson. I non credenti hanno apprezzato il temperamento sobrio del filosofo, la sua apertura al dialogo verso le altre religioni; i fedeli invece l’integrità spirituale del padre Gesuita.

Carlo Maria Martini è stato capace di allenare una comunità, all’ombra del pontificato di Giovanni Paolo II, proteggendola dal conservatorismo che ha affossato la Chiesa, remando per mandare alla deriva il passato, guardando agli errori, simili ai peggiori scheletri nell’armadio, con le lenti del riformista. Battendo il pugno per affermare che “Dio non è cattolico”, il padre spirituale che era in lui ha ceduto il passo all’insuperabile biblista. Carlo Maria Martini aveva tenuto vigile lo sguardo sul futuro e sui cambi di stagione, fu sentinella mentre Milano usciva a fatica dal tunnel degli Anni di Piombo per finire affogata nell’ingordigia della movida degli yuppies e del rampantismo del tempo avvenire. Non lo aveva fatto però con lo scettro del sovrano despota, ma con l’intelligenza e la spiritualità che sanno fare di un Gesuita un principe e un essere davvero speciale.

Carlo Maria Martini è stato il Papa mancato, il Pontefice che alcuni di noi avrebbero voluto incrociare. E’ inutile girarci intorno, se non fosse stato per la feroce malattia, sarebbe arrivato a Roma con l’appoggio sacrosanto del Padreterno. E la manciata dei voti che ha fatto sogghignare i conservatori con l’elezione di Ratzinger, nella virata più a destra rispetto alle previsioni ottimiste, avrebbe consegnato la Chiesa nelle uniche mani che potevano tracciare la linea di continuità con il pontificato di Giovanni Paolo II.

Nel dicembre del 1998, in un gelido pomeriggio, lasciai in un angolo del Duomo di Milano un biglietto per lui. Quando tornai a Napoli, dopo una notte di treno, trovai una lettera che proveniva da Milano. C’era scritto pressappoco così: “Abbiamo trovato il suo biglietto nella Cattedrale. Il Cardinal Martini ha apprezzato le sue belle parole. Lui è vicino ai giovani. Rosario, non perda mai la speranza.” La conservai nella tasca del jeans e una settimana dopo risalii sullo stesso treno Espresso per tornare a cercare fortuna in una città che non era mia. Carlo Maria Martini, il Gesuita dalle ampie vedute, ha chiuso gli occhi a pochi metri da dove abito oggi. Di lui mi resta qualche goccia dell’ inchiostro che incoraggiò un ragazzotto del Sud a difendere valori e sogni dai paladini del cinismo.

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