Canada on the road: Cartolina da Niagara
Le cascate del Niagara mi fanno risalire su un autobus della Greyhound americana. L’ultima volta c’ero stato quattro anni fa nel Tennessee, sulla tratta Nashville-Memphis. Quando Sean, il simpatico autista della Greyhound, viene a sapere delle mie scorribande negli USA con i loro bus – nel 2005 avevo percorso oltre 6.000 chilometri da San Francisco a New Orleans – mi concede questo selfie souvenir che fa da cover a questo articolo.
Dopo aver visto le insuperabili Cascate di Iguazù in Sudamerica, avevo scritto che mai avrei intaccato quella visione strabiliante. Mai dire mai, la tentazione canadese è stata forte e poi avrei fatto un torto a mia madre: da bambino avevamo visto insieme il film in bianco e nero “Niagara” di Henry Hathaway, indimenticabile Marylin alle prese con le atmosfere criminali della sceneggiatura.
Le cascate del Niagara sono rimaste raggomitolate tra i ricordi dell’infanzia, ma il patto di arrivarci sarebbe stato evitare le stupide escursioni turistiche. Il confine con gli USA è ad una manciata di chilometri e carovane di turisti arrivano dalla vicina Buffalo per godersi lo show. Sono tanti gli europei che pagano 200$ l’escursione in giornata da New York e arrivano qui magari per provare l’eccitante esperienza dell’impatto con una cascata.
La giornata è grigia e uggiosa, nonostante tutto le cascate del Niagara sanno com farsi valere per fascino e potenza delle acque. I turisti collezionano selfie dalla migliore posizione, io e una famiglia della Repubblica Ceca ci ritroviamo fuori dalla calca, ascoltiamo il vocio delle acque e ci incamminiamo lontano dalla “piccola Las Vegas canadese”, perché a questo si è ridotta ad essere la località di Niagara.
A 3 chilometri di cammino, mentre le cascate dell’Ontario si dissolvono alle nostre spalle, scovo il vecchio nucleo di Niagara, dove il turismo di massa invadente non arriva. Mi sembra di essere finito in un villaggio del Far West americano, entro in un locale deserto con l’insegna luminosa “Open”. Chiedo un caffè americano caldo, ma mi rendo conto che non accettano carte di credito. Faccio cenno di non avere contanti e mi allontano. Il tizio al bancone mi chiama e, indicandomi il tazzone, mi dice in uno slang nordamercano: “Un caffè qui non lo neghiamo a nessuno, soprattutto a chi arriva da lontano come te.”
Lo ringrazio, bevo frettolosamente, guardo l’orologio e mi rendo conto che Sean sta per tornare. Salgo sul bus della Greyhound, accanto a me una ciurma di scolaretti si ingozza con hamburger e patatine fritte. L’odore è nauseabondo.
Toronto non è poi così lontana, a poco meno di due ore di strada.