Pipolo.it

Blog e Sito di Rosario Pipolo online dal 2001

Tag DIARIO DI VIAGGIO

Cartolina da Sarajevo

Sarajevo

Rosario PipoloHo fatto colazione in compagnia di un giovane serbo. Lui parlava qualche briciola di spagnolo. Ci capivamo, ma poi è finita a paccate sulla spalla come se ci conoscessimo da una vita, tra capuccini e una scorpacciata di burek. Non succede tutto per caso: lavorava come giornalista presso un’emittente televisiva serba.  E’ iniziato così il mio viaggio a Sarajevo, la città flagellata da una sporca guerra raccontata dai nostri media  come un videogioco. Bisogna entrare nel cuore della capitale della Bosnia-Erzegovina per non fare a meno di pensare che il conflitto  serbo-bosniaco abbia lasciato i suoi segni. In centro è tutto normale, Sarajevo è meravigliosa perché è vitale dalla mattina a notte fonda, e sa come essere cordiale con gli stranieri. Il quartiere ottomano di Bascarsija ti porta altrove, verso Oriente e non ti aspetti una Turchia in miniatura accanto agli edifici da cartolina. Basta fare fare pochi passi fuori e lo sguardo si posa sulle lapidi gelide dei cimiteri che raccolgono le salme delle vittime. Accompagnato da una jeep, mi sono spinto nei pressi dell’aereoporto dove c’era quel tunnel costruito per mettere in contatto la gente con la città assediata. Adesso c’è un museo ed è emozionante. La domenica pomeriggio ho passeggiato per quattro ore lungo il fiume Miljacka e mi soffermavo sui visi delle persone. Mi sembrava di essere tornato a Belfast, in Irlanda del Nord, tra le facce giovani e anziane che nascondevano piccole cicatrici. Sarajevo sa come sorprenderti. Prima di partire, Alen mi ha scorazzato in città. Gli ho chiesto una semplice indicazione, ma poi ho attaccato bottone. Mi ha raccontato della sua visita ad amici a Seregno, a pochi passi da Milano, e del suo Ramadan. Mi ha mostrato la foto della sua deliziosa bimba, manifestando il desiderio di rivedere musulmani, cattolici e ortodossi vivere in pace. A Sarajevo c’era un tramonto rosso quando ci siamo salutati con un forte abbraccio. Mentre il mio autobus si allontanava,  ho capito che la voglia di cambiare può cancellare le atrocità del passato e tenerci alla larga dalla nostalgia o dai sensi di colpa.

Cartolina da Podgorica e Cetinje

Sulla strada da Podgorica a Cetinje

Rosario PipoloRaggiungere il Montenegro dall’Albania è un’impresa. Arrivati a Shkodra, c’è la rituale contrattazione con i tassisti – la categoria non mi è simpatica! – per farti portare oltre il confine.  Mantenendo sempre lo spirito low cost, ho ottenuto un viaggio a Podgorica per 30 euro (75 km). Eravamo io ed un altro sventurato della Puglia e così abbiamo diviso le spese! La capitale del Montenegro sembra un paesotto di provincia. Non c’è davvero niente, a parte un ponte costruito alcuni anni fa. L’unico vantaggio è l’Euro e ti risparmi il cambio. Il centro? Nulla. Dopo qualche ora ti innervosisci perchè ti sembra di essere finito “in culo al mondo”. La sola via di salvezza è fare una corsa “mordi e fuggi” a Cetinje (in italiano Cettigne), capitale del Montenegro fino alla Prima Guerra Mondiale. In un’oretta di autobus siete lì e il percorso è interessante per la vista panoramica tra le montagne montenegrine. Tra la corte del Re Nicola e un vecchio monastero, che vanta una mano di San Giovanni Battista e un pezzo della Santa Croce (?), ho trascorso un piacevole pomeriggio. Nella piazza centrale speravo di ascoltare musica locale ed invece c’era il rock degli anni ’60 tra Beatles e Rolling Stones. L’appassionato era un uomo grosso di mezzà eta che vendeva souvenir e in cambio ti omaggiava dei suoi ricordi made in UK. Come è piccolo il mondo! Ho assaggiato una buona crepe alla nutella e mi sono perso in una passeggiata a piedi tra le montagne. C’è sempre un angelo caduto in volo: una coppia di studenti mi ha riportato sulla retta via. Purtroppo, anche Cetinje ha le sue pecche. La stazione degli autobus non ha neanche un cartello con gli orari e sembra una fermata della diligenza in un vecchio western di John Ford. Occorre aspettare, avere pazienza e sperare che l’autobus arrivi. Da questo punto di vista i Balcani mi hanno messo a dura prova…

Cartolina da Tirana

Tirana

Rosario PipoloA Tirana essere italiano è una buona raccomandazione perché con noi gli albanesi sono davvero affettuosi, a parte i tassisti che tentano di spillarti quattrini in ogni modo. Alloggiavo in un edificio fatiscente a pochi passi dalla piazza centrale, ma in compenso l’appartamento e  i vicini erano deliziosi: c’è chi mi ha fatto scroccare il collegamento ad Internet o il salumiere sotto casa che si è ricordato della massima “dare da bere agli assetati se non hanno cambiato ancora l’euro” e mi ha regalato una bottiglia d’acqua fresca, leggermente frizzante. Gli italiani vanno nella capitale dell’Albania per lavoro e sono rari quelli come me che decidono di fermarsi per turismo. Di giorno non c’è tanto da fare, ma la sera la città cambia pelle e diventa la culla della nightlife albanese: le decine di locali che pullulano nella zona del block (chiamata così perché ai tempi del regime non era accessibile) ravvivano l’atmosfera in tanti modi. Gli incontri non capitano mai per caso: ero indeciso se portarmi come souvenir una statuetta di artigianato locale. Un signore mi ha spiegato che raffigurava Marigot, la donna che ha cucito la prima bandiera dell’Albania dopo l’indipendenza. Siamo diventati amici e così Albano – ha precisato che il suo nome non aveva niente a che fare con quello del  cantante italiano – mi ha offerto un cappuccino. Mi ha raccontato i suoi 4 anni in Italia a Bassano del Grappa, donandomi tante pagine dal diario intimo della vita del suo Paese. E’ stato quell’incontro il souvenir più emozionante da portarmi via per buttar giù i soliti luoghi comuni. Gli albanesi hanno tanta voglia di raccontarsi e condividere con noi i sogni delle nuove generazioni!

Cartolina da Istanbul

burka

Rosario PipoloL’unica amica turca si è trasferita in Canada e così non avevo nessuno che mi guidasse in questa affacciata in Turchia. Arrivare ad Istanbul alle 6 del mattino, dopo otto ore di autobus, è un’esperienza unica: l’alba che si alza sulla città sembra uscita da un acquerello e il brusio delle persone mattiniere in centro diventa il sottofondo insostituibile di un fine settimana d’agosto. Istanbul ce l’ha la faccia di Napoli e, cazzeggiando tra la sponda europea e quell’asiatica, ritrovo i vicoli della mia città. “Nu turco napoletano” sogghignò Eduardo Scarpetta (rivedete pure il film di Mattioli con Totò!) e poi dice che ogni mondo è paese, anche se al posto dei calzoni fritti o delle pizze accartocciate ci sono i kebab. Ci sono le dovute eccezioni naturalmente: il burqa ad esempio. E immaginare le nostre ragazze “ciacione” partenopee andarsene in giro tutte coperte è roba fantascientifica. Scherzi a parte, la Turchia si vanta di avere abbandonato da un pezzo gli estremismi dell’Islam. E non mi riferisco al semplice velo sul capo delle donne, ma al così detto “burqa afgano”, che copre le donne dalla testa ai piedi. Purtroppo in giro ne ho viste decine e decine di donne e ragazze coperte integralmente. Non era l’abbigliamento a mettermi a disagio, bensì provare a dare un senso a quella scelta. Mi sembrava di essere più in Iran che nella Turchia che immaginavo, quella che anela ad entrare nell’Unione Europea. La convivenza pacifica con l’Islam è un gradino obbligato per sentirci “europei” nel XXI secolo, ma l’accettazione del burqa integrale è un’immagine che voglio cancellare dalla mia cartolina da Istanbul. Un paese che sbandiera la sottomissione della donna e nasconde ancora scheletri nell’armadio (il genocidio armeno)  è davvero maturo per far parte di quell’Europa che eleva i valori di eguaglianza e rispetto reciproco?

Capriccio d’estate a Torino senza i soliti cliché

Torino by night

Rosario PipoloAvevo un capriccio e me lo sono tolto: girovagare a Torino in un fine settimana d’estate e godermi la città semivuota. In parte ci sono riuscito e devo dire che le Olimpiadi invernali di tre anni fa hanno fatto decisamente bene al capoluogo piemontese. Escludendo i miei blitz al Festival Cinema Giovani, Torino non me la ricordavo ringiovanita a tal punto da brillare per le proposte allettanti di intrattenimento, per i graziosi locali che pullulano ovunque e, soprattutto, per avere una seconda vita fino all’alba del giorno dopo. Mi sembra che le nuove generazioni, perlopiù figli di emigranti del Sud Italia, abbiano rinunciato ancora più marcatamente alle schizofreniche nostalgie sabaude – circoscritte per fortuna a Palazzo Reale – e all’iconografia della famiglia Agnelli e della Fiat nel tempo in cui il vecchio stabilimento del Lingotto è diventato un centro commerciale. La jenuesse torinese ha una grande responsabilità: far sì che il processo di integrazione degli stranieri in città non diventi “discriminazione” come il secolo scorso è successo con i nostri meridionali. E mi fa incazzare incrociare il torinese dall’accento pugliese che trasforma il piccolo kebabbaro del centro nel capro espiatorio di turno. Si raccomanda la visione del film Rocco e i suoi fratelli di Visconti per cancellare dal vocabolario di ieri “terrone” e da quello di oggi  “extracomunitario”.  Le intrusioni criminali ci sono e dovrebbero essere gestite al meglio dalle istuzioni affinché una città sia sicura sempre.  Se così non fosse, Torino rischerebbe di far offuscare la sua vitalità nei risaputi cliché che la hanno isolata per decenni.

Montreux Jazz Festival ci serva da lezione!

Prince al Montreux Jazz Festival 2009

Rosario PipoloLa Svizzera può insegnarci qualcosa su come si fa un festival. Aggirandomi al Montreux Jazz Festival, ho ritrovato la concezione di “festa”, quella stessa che Gillo Pontecorvo cercò di portare negli anni ‘90 al Festival del Cinema di Venezia. Pontecorvo non tradì la sua indole di “innovatore” perché aveva capito che un festival doveva essere “condivisione” per tutti, e non passerella elitaria di pochi. Ritornando alla musica di Montreux, mi ha fatto immensamente piacere vedere migliaia di giovani assiepati sul lungo lago, nel parco o fuori all’Auditorium ad ascoltare musica, condividere divertimento e un buon bicchiere di birra, senza avere necessariamente il biglietto della grande serata. Chi se ne frega di tirar fuori dalla tasca 120 euro per Prince, quando poi al Jazz Cafè ci danno la possibilità di vederlo in diretta video gratis? Questa sì che è vera democrazia! Ispirarsi ad una manifestazione, non significa copiarne in parte soltanto il programma. E’ lo dimostra la scarsa presenza di pubblico al Milano Jazzin’ Festival che scimmiotta Montreux. Per non parlare delle date annullate, come l’interessante duetto tra Occidente e Oriente con Hancock e Lang lang. Non sono un arcipelago di live a casaccio all’Arena Civica a farci sentire ad un festival. Eppure l’anno scorso il Milano Jazzin’ Festival era tutta un’altra musica. Montreux ci serva da lezione per fare qualche riflessione intelligente, senza piangerci addosso.

Colazione svizzera con Kofi Annan

Rosario PipoloChi vuole fuggire da occhi indiscreti sceglie la Svizzera per un motivo: lì ognuno si fa i fatti suoi. I vip o i personaggi noti la reputano un rassicurante  “paradiso fiscale”, ma anche un rifugio perché hanno pace assicurata.

Lo scorso weekend ero in visita al Grand Hotel Villa Castagnola a Lugano. A colazione, mentre litigavo con la marmellata finita sulla mia polo, ho notato un distinto signore di colore. A dire il vero lo avevo scambiato per l’attore Morgan Freeman. Il metre gli ha portato il quotidiano ed ho capito che era Kofi Annan, Segretario Generale dell’Onu fino al 2006. Quando accadono questi incontri, per me scatta una doppia sindrome: quella professionale da “reporter” che non resiste alla tentazione di tornare a casa con un’intervista; quella genetica da “napoletano”, condannato dagli altri ad essere  il curioso di turno! Niente di tutto ciò: mi sono limitato ad osservare il diplomatico ganese mentre si godeva il breakfast tra latte bianco e corn flakes.

 

Ad un certo punto il savoir faire partenopeo ha preso il sopravvento e mi sono avvicinato per sussurargli: “Signor Annan, sono contento di condividere con lei la colazione di questa domenica mattina”. Il Nobel per la Pace mi ha sorriso – speriamo che non si sia accorto della chiazza di marmellata – ed ha replicato: “Gli italiani sono simpatici. Mi piace il vostro Paese”.

Sono ritornato al mio tavolo e ho continuato la colazione. Prima di andare via, Annan si è fermato al mio tavolo e mi ha sorriso. Mentre mi ha salutato con un cenno del capo, ha sussurrato: “La sua Napoli e i napoletani esprimono la solarità dei popoli del Sud del mondo”.  In quel momento mi sono reso conto che dal mio accento aveva capito la provenienza.

Kofi Annan si avviò lentamente verso l’uscita. Scomparve come in un acquerello.

Benedetta e l’alba di un nuovo giorno

benedetta500

Rosario PipoloQuando ti ho vista piccina piccina tra le braccia di tua madre e mi sono accovacciato nei tuoi occhi, mi hai riportato all’estate del 1992. Benedetta, ho conosciuto tuo padre allora, durante una vacanza studio a New York: lui era un milanese con la faccia da secchione (mi incantavo quando mi parlava di James Joyce) ed io un napoletano con la faccia stralunata, malato di teatro e musica. Lo sai quando siamo diventati amici per la pelle? Condividendo una notte indimenticabile al Greenwich village, girando tra i locali, con pochi soldi in saccoccia e sperando di incrociare Bob Dylan o Woody Allen. Rincasando gli ho chiesto un prestito di 50 dollari per comprare il primo lettore CD! Me li ha dati e si è fidato di un napoletano. Quando sono stato a Milano al concerto di Paul McCartney, mi ha ospitato a casa sua ed ho trascorso delle belle ore. Non c’era Internet , Facebook o le email per comunicare, ma siamo rimasti in contatto. Quando nel 1998 sono venuto a Milano con una valigia piena di sogni, tentando in vano di trasferirmi, tuo padre mi ha aiutato in tutti modi pur di non farmi sentire “un emigrante”. Ricordo quando mi ha accompagnato alla stazione a prendere un Espresso notturno (un treno da film in bianco e nero!) che mi avrebbe riportato a Napoli. Mi ha dato una paccata sulla spalla come per dire ” i sogni possono esistere se lo vogliamo”. Ho pianto dallo sconforto, ma lui non se ne è accorto. Tutto questo per condividere con te, Benedetta, la voglia di sognare, sì con te che sei venuta al mondo da poco più di un mese. Saranno in tanti a voler farti indossare una camicia di forza, ma con un paio di sogni in tasca non ti sentirai mai sola. E’ bello ritrovarsi, soprattutto di questi tempi in cui i legami veri sprofondano nella superficialità. Ho ritrovato Francesco, marito e papà, e non è poco. Ti sono grato, Benedetta, perché nel tuo sguardo ho ripescato qualche briciola di me, all’alba di un nuovo giorno della tua vita, un dono immenso. Felicità.

Firenze, che canzone triste!

firenze150Mentre il Sindaco di Firenze Leonardo Domenici si incatenava per protesta dinanzi alla redazione di Repubblica, io passeggiavo per le strade del centro del capoluogo Toscano. Lascio perdere il teatrino di Domenici e i casi di corruzione che demoralizzano il Belpaese, e mi soffermo sulla città. Premetto che mi sento fiorentino d’adozione. I miei zii abitano nella zona di Novoli e negli anni novanta ho trascorso lì lunghi periodi. Più passa il tempo e più mi convinco che i fiorentini fanno bene ad essere incazzati con le amministrazioni. Firenze continua a pavoneggiarsi sotto la campana di vetro dell’arte, preoccupandosi del turista e tirando calci in culo a chi ci vive. E’ un atteggiamento ormai cronico che priva i fiorentini di un sacrosanto diritto: la “vivibilità”. Per non parlare dei cantieri aperti (quando metteremo fine alla barzelletta del completamento della linea tranviaria per Scandicci?) e della sporcizia in troppi angoli della città. In più si mette pure Trenitalia che, per l’apertura della linea veloce, ha dirottato gli Intercity su Campo di Marte e Rifredi, ques’ultima poco sicura dopo una certa ora. Interviene la saggezza spicciola di conducente di autobus: “Li abbiamo votati e ce li teniamo”. Io colgo l’occasione al volo e replico: “Perchè l’Ataf mi fa pagare 1 euro e 20 centesimi per una corsa? Troppo caro?”. Lui fa orecchio da mercante. Mentre i turisti stranieri si fanno spellare dagli albergatori e dai ristoranti del centro, fanno bene gli italiani intelligenti ad andare all’astero in stile low cost e per un trattamento migliore. Caro Dante, chissà in quale girone dell’Inferno li metteresti questi padroni della Firenze di oggi. Ed io, viandante di passaggio, non posso che canticchiare il ritornello di una canzone del saggio Ivan Graziani: “Per questo canto una canzone triste, triste, triste, triste come lei”. Firenze, che canzone triste!

La “cazzimma” in viaggio è una brutta bestia!

vigne_cazzimma150Per un non napoletano è quasi impossibile comprendere il termine “cazzimma” in tutte le sue sfumature. Ci vorrebbe un trattato e così chiedo aiuto al comico partenopeo Alessandro Siani che la spiega in una battuta: “Vuò verament’ capì che r’è a cazzimm’? Nun t’ò dic’. Chest’ è a’ cazzimma”.Premesso ciò, vi confesso che la cazzimma in viaggio è davvero una brutta bestia e l’ho constatato nei miei recenti vagabondaggi low-cost in Europa, nei paesi che non hanno l’euro come valuta. Ad Edimburgo ero al Museo degli Scrittori, a poche ore prima della partenza.Avevo in tasca gli ultimi spiccioli e volevo comprare come ultimo souvenir una tazza, decorata con parole di matrice scozzese. Mi mancavano 40 penny e quel cazzimmoso dell’addetto non ne voleva sapere di darmela con uno sconto di 60 centesimi di Euro. Ho avuto la sfacciataggine di fare la questua al museo, ma mi mancavano 10 penny (vi rendete conto?) e il cazzimmoso non cedeva. Mi ha aiutato una maestrina di scuola che ha esclamato in mio favore: “E’ ridicolo trattare così un turista”. A Copenaghen dopo aver speso più di 400 corone danesi in musica (quasi 60 euro), il cazzimmoso del commesso non voleva darmi l’ultimo cd perché mi mancavano 10 corone! Sono andato a protestare in un altro negozio della stessa catena, e mi sono salvato in calcio d’angolo: lì quell’album costava 10 corone in meno! Stessa cosa a Tallin, in Estonia, per un cd di musica locale. Nessun ufficio di cambio voleva cambiarmi i 2 euro che mi occorrevano… La cazzimma si ritorce contro? Capita, ma i cazzimmosi riescono perlopiù a farla franca. Per fortuna ci sono “gli angeli anti-cazzimma”, come il giovane di un chioscho alla stazione di Helsinki. Cosa fare quando si scarica la batteria della tua reflex a pellicola in una domenica e ti mancano ancora pochi scatti da fare per il tuo reportage? Mi ha regalato alcune batterie scariche, di cui ho utilizzato il residuo per le ultimissime foto. Meno male che non ci sono solo prigionieri della cazzimma… in giro per l’Europa!