Pipolo.it

Blog e Sito di Rosario Pipolo online dal 2001

Rivolta Battiquorum? No, Maestà. Questa è rivoluzione social!

Luigi XVI fu sciocco fino alla fine. Quando il popolo riuscì a mettere le mani sulla Bastiglia il 14 luglio 1789, chiese con quella flemma disgustosa: “E’ una rivolta?”. Gli risposero: “No, Maestà. E’ una rivoluzione”. Mi sembra che certi umori si ripetano. L’urlo della rete che ha sognato il Battiquorum è stato ridimensionato. Tolta qualche riflessione sparsa, dilaga una convinzione: la rivolta digitale ha fatto da supporto ai metodi tradizionali per il raggiungimento del quorum (non accadeva da 16 anni), quelli dei movimenti referendari, dei partiti politici o dei volontari sparsi in Italia sotto i gazebo.
Non è così, nonostante si voglia ridurre tutto nell’ottica di uno sgambetto al governo. Per qualcuno sarà stato pure uno sbalzo di pressione anti-berlusconiana, ma non commettiamo l’errore del sovrano francese. Questa è una rivoluzione social. Di mezzo non c’è semplicemente Internet, ma la sfera social del web, che mette a tacere chi spaccia ancora i social network per covi di ragazzini o fancazzisti. Intanto, i numeri ci dicono che in Italia il popolo di Facebook abbia raggiunto i 20 milioni di utenti unici. Tolti da mezzo coloro che si dilettano a postare inutili o mielose frasette fatte, c’è una popolazione consistente che davvero potrebbe decapitare i sovrani sgraditi. Diciamoci le cose come stanno. Noi italiani non siamo né i francesi delle banlieue né gli indignados di Porta del Sol per restituire alla “piazza” il valore di unione che abbatta ogni frontiera sociale, culturale, politica, religiosa.
Tuttavia, nella rete sociale si è riversato quella radice civica, che va oltre il nostro naso. Nelle settimane precedenti al Referendum del 12 e 13 giugno  a palleggiare il battiquorum da una bacheca all’altra di Facebook si sono ritrovati leghisti e comunisti, fricchettoni di destra e anarchici, bigotti clericali e proletari, bacchettoni e smanettoni, italiani e stranieri trapiantati nel nostro Paese.  Luigi XVI non distinse una rivoluzione da una rivolta e fu decapitato.  Sotto a chi tocca?

Il bacio da Facebook in una cannuccia. Non ci cascate perché non fa più filù filù filù filà

Sì, è vero: baciare è un’arte, ma è anche uno dei momenti a cui una coppia non dovrebbe mai rinunciare. Spesso lo si affronta con una tale sfacciataggine o leggerezza da privarsi del risveglio di quel gesto. Un bacio non è forse lo scrigno segreto che custodisce il sapore, la fisicità e la fragranza della dolce metà? Adesso sarà davvero dura spiattellare a tutti gli autori che lo hanno messo in versi– da Catullo a Cesare Pavese, da Alda Merini a Jaques Prevert – l’amara verità. Nell’euforia dei rapporti virtuali che nascono e muoiono nella rete dei social network, ecco che arriva quello che potremmo tranquillamente battezzare come il bacio da Facebook. Una diavoleria che i giapponesi vogliono metterci in testa, anzi direi “in bocca”: il Kiss Trasmission Device, uno strano aggeggio che, attraverso una cannuccia, ci fa baciare chi sta dall’altra parte dello schermo. Come? Muoviamo la lingua e poi sarà il PC ad elaborare il tutto e trasferirlo alla persona amata. E chi sta dall’altra parte, si attacca alla cannuccia, ricambia e i sensori computerizzati provvedono alla trasmissione.
La tecnologia ci sta dando davvero così alla testa da trasformare una meraviglia in un gesto bionico per farci assomigliare sempre più ad una macchina. E questa, ahimé, non è fantascienza., ma un bizzarro tentativo di chi vorrebbe convincerci che pure un bacio non debba fare più “filù filù filù filà”.

Facebook e le Over 30: in fuga dalle “zitelle” acide

Dimmi che bacheca hai e ti dirò chi sei. Ieri valeva per le Over 20, questa volta tocca alle Over 30. Un’altra bella traversata dello stivale italiano nei territori virtuali di Facebook, ma con le dovute precauzioni. Infatti, l’universo femminile è complesso e in balia degli sbalzi anagrafici si passa dal brio delle ventenni ad un’insolita acidità della generazione successiva. E’ tipico di alcune over 30 single – anzi io direi “zite” – che spiattellano in bacheca ciò che vorrebbero essere, ma non sono. Affollano le mura facebookiane con frasette preconfezionate, mentre gli ultimi principi azzurri superstiti fanno bene a darsela a gambe. Per fortuna quelle acide sono una ristretta minoranza, perché tra single, fidanzate, mamme e mogli ci sono comunque trentenni energizzanti. Quelle che cito di seguito rappresentano l’orgoglio delle trentenni perchè sono diverse dalla massa e sono piene di entusiasmo.
Calabria on my mind tra le assidue incursioni di Antonella M. e gli sbalzi frizzantini di Marida R., con una bella collezione di foto per entrambe che intravedono la famiglia come un bel nido. Annalisa C . non è “la bachecara assidua”,ma alterna la solarità abruzzese dei suoi post all’effetto nostalgia delle immagini che rincorrono i suoi vent’anni. Giada G. trasmette la passione vulcanica del suo Vesuvio con una presenza costante, post a 360° gradi, adeguato spazio alla famiglia e agli affetti. Si presenta così: “E’ da quando sono nata che cerco di capire come sono fatta e ancora non l’ho scoperto del tutto”. Di una cosa siamo certi: l’esplorazione dei territori del social network permette a Giada di essere sempre sé stessa ovunque sia.
Sabina C. è la campionessa dei “mi piace”, zigzagando tra le bacheche altrui e lasciando il segno gradito della sua presenza, mai invadente e con il pregio di spunti e riflessioni; Brigida M., mamma premurosa, si dondola tra provocazioni in sottoveste di aforisma e le segnalazioni di articoli a sfondo sociale; Alessandra N. sa sciorinare la sua romanità segnalando eventi “off” e coltivando il seme della maternità attraverso le foto della sua bellissima bimba. Le omonime giocano a fare ping-pong su i cambi delle stagioni più interiori. Stesso nome, stesso cognome, entrambe mamme, ma non sono parenti: Barbara P.! La prima è caprese e si barcamena tra aforismi nazional-popolari; la seconda è senese e galleggia su melodie e sentimentalismi. Attenzione, perchè si imbestialisce se sulla bacheca le postate un brano di Natale Galletta, nonostante sia cresciuta nei quartieri Spagnoli a Napoli.
Oltrepassando il Po ce n’è per tutti i gusti: Maria N., pugliese emigrata con l’inclinazione da poetessa e verseggiatrice di social network; Elisa D.B., impeccabile P.R., composta fino all’ultimo post in bacheca; Roberta V. con l’occhio fotografico ramingo e la semplicità dispersa tra i paesaggi dell’Oltre Po pavese; Rossella P. che difende con le unghie la bacheca da borseggiatori di tag e video fuori posto; Immacolta M. che anche su Facebook “parla in faccia” e lascia sussulti d’amore al suo brianzolo; Tania G., facebookiana mattutina, con un occhio sempre aperto ai soprusi e alle ingiustizie da segnalare e commentare; Daniela D.B. che al momento giusto piazza a singhiozzi parole e immagini della sua Sicilia.
E la sposa futura? Vi presento Sara P., il cui biglietto da visita è “Come me nessuno mai”. Foto del profilo solare (sorridente col suo cagnolino) e pronta a coinvolgere gli amici per il matrimonio imminente con l’adorato Gio: dopo il melodramma di abito bianco e bomboniere, è l’ora della prova trucco: riusciranno i nostri eroi a trovare un truccatore perfetto per questa deliziosa milanese dal cuore pugliese?
Nonostante non si conoscano tra loro, tutte queste over 30 hanno qualcosa in comune: sono nate negli anni ’70 e cresciute con i tegolini del Mulino Bianco, i cartoni animati di Lady Oscar e Occhi di Gatto, le mamme che le torturavano con Dallas e le telenovelas sudamericane, il rock grezzo di periferia di Vasco. E perdonatemi, se sono tornato a fare “lo spione da bacheca” per cucire altre storie da raccontare.

Facebook e le Over 20: Quello che le donne (non) dicono

Dimmi che bacheca hai e ti dirò chi sei. Sappiamo bene quanto Facebook sia abitata da tanti alter-ego virtuali che non corrispondono alla realtà, ma forse ci sono rare eccezioni. E se fare lo spione da bacheca è un peccato veniale, allo stesso tempo può essere anche un modo originale per attraversare l’Italia, dalla Sicilia alla Lombardia, e guardare la quotidianità con lo sguardo delle over 20.
Marika DM. si presente con l’aforisma “Il cinismo è l’anestetico più economico che sono riuscita a procurarmi”, ma poi in bacheca sprizza la sua solarità non lontana dalle falde dell’Etna. Non è una facebookiana cronica – pochi aggiornamenti e rari cambi di foto profilo – ma questo perché a volte i suoi impegni da studentessa glielo impediscono. Patrizia C. sa raccontare con scatti fotografici e tanti link la sua terra, la Puglia, a cui non rinuncerebbe mai per niente al mondo, nonostante in lei ci sia l’istinto da fotografa giramondo. Alessandra G. è la facebookiana col megafono e assomiglia un po’ ad una di quelle manifestanti, tipo Barbara Streisand nel film “Come Eravamo” di Sidney Pollack, che nei tempi dei social network protesta attraverso una selezione di notizie interessanti, che rischieremmo di perderci. Alla falde del Vesuvio c’è Luisa A.,facebookiana sporadica, quella che nasconde bene in bacheca i suoi stati d’animo. Spesso cambia la foto del profilo e trasmette dal suo l’album la sua solarità. Sbirciando il suo album fotografico, traspare il bisogno di stare assieme alle persone a cui è legata davvero. “L’amore non vive di parole né può essere spiegato a parole.” è il biglietto da visita di Luisa, che spesso condivide in bacheca i video musicali del suo Biagio (Antonacci), di cui è una fan sfegatata.
Giusy L. sa come movimentare la bacheca e la sua spigliatezza da blogger raggomitola molte frasi in argute riflessioni; Katia M., a detta sua “la gioia fatta persona”, condivide il profilo tra il marito, la dolcissima figlia e le persone care, la ciliegina sulla torta della vita di questa varesina emigrata in “terronia”; Amanda S., “scrive, guarda e ascolta” e si lascia andare ad innocenti evasioni che fanno della musica il suo pane quotidiano. Perchè non far evaporare i suoi sogni brianzoli verso gli spazi indefiniti metropolitani?
A pochi passi dal Po c’è Laura C., che sul terreno scivoloso dei social network grida ad alta voce: “Nella vita ci si innamora due volte: la prima pensando che sia l’ultima e la seconda sapendo che è la prima”. La sua bacheca assomiglia ad un diario work in progress sopra le righe e le foto del profilo non sono mai casuali, perché connotano gli interni dell’anima e i passaggi, dall’infanzia alla gioventù. Infine, le immagini prendono con prepotenza il sopravvento sulle parole sulla bacheca di Alice D.F., iphonista doc, in cui il mondo di questa milanese atipica viene circoscritto da scatti deformanti. Le foto sembrano un singhiozzante flusso di coscienza joyciano e lasciano i segni di un mondo interiore in continua evoluzione, come se Alice fosse uscita da un cartone animato – sottolinea attraverso la voce della scrittrice Ann Marie MacDonald “Sono perdutamente innamorata della mia vita” – o dall’omonima canzone di De Gregori.
Cosa hanno in comune tutte loro? Essere nate sotto lo stesso cielo, quello degli anni ’80 e adesso con la solarità dei loro vent’anni sono lì che lottano per realizzare piccoli sogni e dare concretezza al loro mondo interiore. Forse non si incroceranno mai, ma esistono nella realtà. Questa volta sono entrate a far parte di un piccolo racconto, cucito inconsapevolmente sul filo di quello che le donne (non) dicono!

Le bacheche di Facebook ammazzano i morti due volte

Le bacheche di Facebook ammazzano i morti due volte. Non tocca più solo ai personaggi famosi – criticano noi giornalisti e blogger perché tiriamo fuori dal cassetto “il coccodrillo” su misura – e alle vittime dei fatti di cronaca, ma a chiunque se ne vada all’altro mondo. Mi sembra di essere tornato nei piccoli paesi. Tutti mormoravano nella lettura del manifesto del defunto per capire chi fosse, a chi appartenesse (guai se il tipografo ometteva il soprannome per cui era conosciuta la famiglia), e se poi era un giovane strappato alla vita cominciava la litania collettiva. Eppure non si capiva bene se questa ostinata partecipazione comunitaria al dolore fosse la sindrome paesana dell’appartenere tutti alla stessa razza o si riducesse a una curiosità folcloristica che ci mette poco a diventare cialtroneria inviperita.
Torno a ripeterlo: le bacheche di Facebook ammazzano i morti due volte. Appresa la triste notizia, la morte diventa “social”: trovi un messaggio che ti invita ad andare su una tale bacheca per guardare la foto taggata, accertarti chi fosse il malcapitato e lasciare il tuo messagino di cordoglio o uno degli aforismi mielosi e preconfezionati che circolano nei social network. A questo punto mi permetto di suggerire alle pompe funebri la vendita di un nuovo servizio: una fan page-lapide o la gestione post-mortem del profilo della persona scomparsa secondo i canoni dell’animazione del villaggio turistico “facebookiano”, anzi pacchiano (fa pure rima!).
Il dolore è troppo serio per finire spiaccicato nella piazza rumorosa della rete; il dolore è privato e tale deve restare, e non può essere vissuto come un passaparola, ma con le persone a cui ci sentiamo davvero vicini. E i legami non si costruiscono sul quantitativo di pseudo-amici che abbiamo in rete, ma nella realtà che ci porta a condividere le emozioni e ci mormora l’amaro “fujetevenne” eduardiano da queste visioni grezze e meschine, a cui mi ribello da quando scalpitavo nel pancione di mia mamma.

14 febbraio, San Valentino: lo scintillio

Rosario PipoloMessaggi palleggiano da una bacheca all’altra, frasi confezionate affollano i social network e gli aforismi accartocciati dei Baci Perugina sembrano finiti in una vecchia soffitta. Ah sì, si avvicina San Valentino e persino chi non può far a meno della festicciola rubacuori commette la solita gaffe: il 14 febbraio non è la festa né dei fidanzati né degli innamorati, ma rischia di essere un giorno qualunque con i tempi che corrono. Quest’abbondanza di avance virtuali su Facebook o un solletico emotivo su Twitter ci allontana da una sorta di incantesimo, che non è prigioniero di una bella fiaba, ma è vivo nella realtà: lo scintillio.
Non si tratta né del colpo di fulmine, né della sbandata passeggera, né del fuoco di paglia che può spegnersi in una notte di passione. Lasciamo che il falò della vanità dei sentimenti si consumi nelle agorà finte dove il “mi piace” ad un foto tenta di sopraffare l’insostituibile incontro. Quello casuale, apparentemente insignificante, quello in cui ti freghi perché è lì che ci scappa lo scintillio. No, non è una scintilla, non fraintendetemi, è uno stato di benessere interiore che scivola tra le anime di due persone. E’ un equilibrio così denso da far entrare in un batter baleno il tuo essere in quello dell’altro, senza tener conto delle distanze anagrafiche, geografiche, sociali, culturali o del colore della pelle.

Lo scintillio
si manifesta in uno sguardo, nei suoi occhi e non è quella classica luminosità sul viso che può trarre in inganno. E’ una luce minuscola accucciata di sbieco tra le sue pupille, che si intravede persino se lei è occhialuta. Appena si toglie gli occhiali, lo scintillio ne approfitta e si manifesta in tutto il suo abbaglio. Al momento non ci fai caso, fai finta di niente e vai via come se nulla fosse successo. Invece è accaduto, perché lo scintillio arriva senza far rumore, a piedi nudi, come i passi silenziosi tra la neve.

E tu svampito che pensavi di restare a mani vuote nel giorno di San Valentino, hai visto come un giorno qualunque può diventare un giorno speciale.  Lei invece è lì, con la luce accesa fino a tarda notte, alle prese con l’ennesimo ripasso. Si stropiccia gli occhi, toglie gli occhiali e non si accorge che è San Valentino pure per lei, perché non vede il postit appiccicato tra le pagine del suo libro in cui è scritto più o meno così: “Mia cara, le principesse non sono quelle che hanno una schiera di servitori o vivono a corte, ma le ragazze speciali e distratte, che senza saperlo custodiscono in uno sguardo la magia dello scintillio”.

  Colazione da Tiffany, 50 anni dopo…

  Diario di Viaggio: oltre la strada della mia infanzia

  A te

Facebook: tutti pazzi per Cityville? Io, no!

L’anno scorso un amico osò interrompere la nostra conversazione telefonica: “Adesso ti lascio, devo tornare alla mia fattoria”. Ed io con aria bonaria replicai: “Non sapevo di questa nuova attività”. Insomma, mi ero imbattuto in un’altra vittima del gioco facebookiano di Farmville.
All’inizio del 2011 il popolo del social network più affollato del pianeta si sta dando alla pazza gioia su Cityville, il nuovo game che vi trasforma in proprietari di una bella casetta, senza l’accollo di un mutuo. E’ nato pure il primo fan site tutto italiano con trucchi e segreti.
“Cos ‘e pazz”, direbbero nella mia Napoli, soprattutto se la ragazza che ti piace diventa abitante della nuova città facebookiana e non c’è niente che le faccia fare un passo indietro.
“Scusami, mi tocca andare a raccogliere le carote”, ti scrive improvvisamente in un messaggio. Insomma, un modo garbato per liquidarti. Tuttavia, c’è sempre una consolazione, prima che sopraggiunga l’estrema unzione: ti invita ad entrare nel paesotto virtuale di Cityville e diventare suo vicino di casa. Qui il vicino puoi scegliertelo su misura. Accipicchia, che fortuna mi sono detto inizialmente! E pensare che io mi stavo dannando per affittare un buco che affacciasse su casa sua per corteggiarla alla vecchia maniera.
Io non voglio la residenza a Cityville, ma nel suo piccolo mondo, quello vero in cui potremmo condividere anche il gioco, perchè no, magari facendo un furtarello di tanti pezzettini delle costruzioni Lego e abbozzare la casetta dove vorremmo vivere assieme.
Il rischio? C’è ed è quello che mi ripeta la solita filastrocca: “Mi spiace tu sia arrivato fin qui. Mi tocca andare a raccogliere le carote”. E non quelle che mia mamma mi spiattellava ogni settimana a pranzo, ma quelle finte di Cityville, che non hanno sapore e ci privano di un bellissimo piacere: tornare a “giocare” guardandoci diritto negli occhi.

Inter-Napoli, a San Siro con Napoli Fans Club London

Pensavo che la Befana mi avesse lasciato a mani vuote, senza neanche una briciola di carbone. Invece mi sbagliavo. Quella vecchia signora mi ha riportato allo stadio dopo vent’anni in una serata surreale: a San Siro ospite dell’Inter, ma con il cuore pulsante per il Napoli in corsa alle vette della classifica. Con me c’era Marco La Nave, un trentenne tifoso napoletano che è cresciuto sugli spalti dello Stadio S. Paolo di Napoli. Da diversi anni Marco vive a Londra ed ha fondato il Napoli Fans Club London, che raccoglie centinaia e centinaia di tifosi partenopei in Gran Bretagna e sulla Facebook Fan Page conta già più di un migliaio di sostenitori: “Ci raduniamo nei bar londinesi e ci godiamo le partite della nostra squadra del cuore. Di tanto in tanto organizziamo anche trasferte in autobus perché il tifo è una passione e non ha niente a che vedere con la violenza circolante negli stadi”.
Ieri sera a Milano per l’atteso incontro Inter-Napoli era tutto sotto controllo, anche se un ragazzo ha subìto una coltellata. Cose che capitano? No, non devono accadere, anche se ci premuniamo della “tessera del tifoso”. Io ero assieme agli interisti in tribuna a commentare la partita. Questa è vera sportività perché un pallone non può essere motivo di una guerriglia fratricida. Ho visto un ragazzo con una sciarpa del Napoli accerchiato da un gruppo di teppistelli, già pronti all’attacco. E’ intervenuta la polizia, tutto è finito lì. Quei quattro mocciosi si sono allontanati, ma ritorneranno in veste di aggressori perché non hanno capito la spiritualità che anima il calcio.
Forse l’ha capita Aniello, un meridionale adottato cinquanta anni fa da Milano, che di professione realizza merchindising per l’Inter. “C’è crisi – mi racconta alla fine della partita – ma i miei gadget li faccio con passione perchè in una sciarpa o nella riproduzione di una coppa trasmetto la voglia di stare assieme. E in giro non vedo più”.
La Befana se n’è andata e, come ogni anno, si è portata via tutte le festività natalizie. Ci lascia per fortuna la convinzione che una partita di pallone sia un bel modo di ritrovarsi, come fanno Marco e tutti i sostenitori del Napoli Fans Club London, anche quando lontano dalla tua terra natia gli altri cercano di convincerti che resterai per sempre “un miserabile emigrante”.

Diario di un blogger attraverso il 2010

Quando un altro anno se ne va via, un blogger ha un vantaggio dalla sua parte: un diario bello e fatto da poter sfogliare per ripercorrere a modo suo questo 2010. La scrittura è sempre farcita di emotività e di vita quotidiana, ma mi pare l’occasione per rivivere gli ultimi 12 mesi dell’anno.
Ricorderemo il 2010 per quella diavoleria tecnologica dell’iPad , ma anche per l’euforia di Facebook che a volte è diventata isterismo da “sindrome del mi piace”, onirico desiderio di calunniare, tenera strategia per corteggiare una donzella  o per festeggiare San Valentino . Le pagine del diario privato hanno preso il sopravvento nel calore della sciarpa di Antonia, nel disegno del dolcissimo Carmine, nei micro viaggi nei miei luoghi natali, in un racconto d’estate a puntate  o su un block-notes dopo la mia estate in Corsica. L’attualità mi ha ricordato la turbolenza della Fiat di Pomigliano , l’uccisione del Sindaco-pescatore, la guerra della monnezza a Terzigno  o la protesta degli studenti a Roma. Le buone o le cattive abitudini (dipende dai punti di vista!) mi hanno riportato nei matrimoni del Sud tra le bustarelle e le reunion familiari.
E poi ancora la delusione per l’uscita degli azzurri dai Mondiali, l’urlo dei ricordi per la Spagna campione del mondo, il sapore dello gnocco fritto di Ciano a Sabbioneta, Calabria on my mind, ed io autista per un giorno a Brescia.
Mi mancheranno tre volti noti che se ne sono andati nel 2010: Sandra Mondaini, Mario Monicelli e Enzo Bearzot.
Devo eleggere una persona dell’anno, rovistando tra i miei post? E’  Simona, l’educatrice tenace dei Quartieri Spagnoli di Napoli.  Con lei e con te, caro lettore, ho attraversato il 2010 e sono pronto per condividere  anche “l’anno che verrà”. Cin cin…

Matrimonio alla napoletana: o la busta o non mi sposo!

Busta o non busta, questo è il problema. Mica quella dell’immondizia, ma la bustarella con i soldi che non può mancare ad ogni matrimonio napoletano che si rispetti. Tutti lo snobbano, ma poi tutti vogliono il regalo in cash. Con la crisi che c’è in giro, ritrovarsi tra gli invitati di un banchetto nunziale non è confortante per niente.
Una volta le indagini si facevano via telefono, adesso basta aggirarsi sulle bacheche dei social network per sondare gli umori e capire quanto bisogna sborsare per far felice i neo sposini. Tuttavia, il regalo in busta è anche l’ultima spiaggia per pagare il conto salato della cerimonia: chi famiglia napoletana rinuncerebbe mai all’evento sfarzoso? Nel 1971, un cugino di mia madre, organizzò il matrimonio facendo i conti sui regali in denaro degli invitati, senza calcolare il rischio di non raggiungere la somma necessaria. Nonna Lucia fu molto chiara con nonno Pasquale dopo il taglio della torta e gli bisbigliò: “Pasqua’ dobbiamo raddoppiare la somma per Enzuccio, altrimenti restiamo qui a lavare i piatti”.
Quarant’anni fa come oggi la ruota gira sempre allo stesso modo, con una differenza: nel nuovo millennio i matrimoni durano il tempo di una stagione. Insomma, gli sposi dovrebbero impegnarsi con gli invitati a restituire il premio in caso di divorzio o separazione entro i primi 36 mesi di vita coniugale. Per non parlare dei separati e divorziati che circolano in Italia, molti dei quali hanno la faccia tosta: si risposano per la seconda, terza e quarta volta e pretendono pure la bustarella! E poi non ha ragione zia Concettina a starnazzare: “Il mio dovere l’ho fatto al primo matrimonio. Mmo’ basta”.
Scampato il pericolo della lista nozze, le alternative sono due: riciclare un vecchio regalo inutile, trafugato da qualche altra ricorrenza oppure donare i soldi agli sposi in sei comode rate.
Povero papà mio, meno male che non legge i miei articoli, altrimenti creperebbe dalla vergogna. Casomai salirò all’altare, ho già la soluzione: matrimonio “sponsorizzato” da piccole aziende agroalimentari locali,  senza dover chiedere niente a nessuno, con la speranza di poter scrivere con una bomboletta spray: “…E vissero felici e contenti”. O quasi!