Musica nigeriana a palla contro il razzismo che ha ucciso Emmanuel Chidi Namdi
Oggi dall’archivio posso tirar fuori con orgoglio tutti i vinili del nigeriano William Onyeabor. Mi importerà poco della vicina di casa, che si lamenterà della musica a palla per il bimbo che fa la nanna. Sveglieremo il piccolo con questo funky graffiante che viene dall’Africa, per raccontargli dell’Italia razzista, dopo la morte senza scrupoli del giovane Emmanuel Chidi Namdi.
Un ritaglio di cronaca da film dell’orrore che ha indignato la comunità di Fermo, nelle Marche, dove Emmanuel era arrivato insieme alla sua ragazza per fuggire dal terrorismo di Boko Haram. Il trentenne nigeriano è stato ucciso dopo aver difeso la fidanzata da atti di razzismo. E adesso cosa si fa? Affonderemo la rabbia nella vendetta e nel linciaggio dell’ultrà marchigiano che si è macchiato di sangue?
La giustizia avrà da fare il suo dovere, ma noi dovremmo cominciare ad interrogarci seriamente su quanto le insidie del razzismo si siano infiltrate nei piccoli centri dell’Italietta di provincia. Sono come esplosivi che possono fare danni da un momento all’altro, rompendo gli equilibri di qualsiasi comunità che difende con gli artigli i propri diritti, senza però rinnegare i propri doveri.
Torniamo ad essere razzisti tutti, senza distinzione, ogni qual volta per strada abbassiamo gli occhi di fronte a gesti che minano la sicurezza di chi è arrivato nel nostro Paese, senza più niente alle spalle, solo dolore, ma con il diritto sacrosanto di stringere forte un sogno futuro.
Sembra di essere tornati negli USA degli anni ’60, culla primogenita della segregazione razziale. Quando sono ripartito da Memphis l’anno scorso, mi sono riportato l’urlo I have a dream di Martin Luther King, che l’episodio delle Marche seppellisce sotto il letame.
Oggi torna a suonare William Onyeabor, graffia con il tuo funky ribelle e nigeriano i solchi del mio vinile. L’indignazione passa, l’indifferenza resta.