Pipolo.it

Blog e Sito di Rosario Pipolo online dal 2001

Sanremo 2010: fischiati i vincitori Valerio Scanu, Marco Mengoni, Pupo & il Principe

Siamo stati presi tutti per il sedere perché dietro il televoto non c’è il popolo sovrano. Le voci di corridoio che giravano tra gli addetti ai lavori erano profetiche ed io, poco prima delle 21, avevo pubblicato su twitter l’amaro tris finalista: Scanu, Mengoni, Pupo ed Emanuele Filiberto. Ho dato a Valerio Scanu e al suo brano la piena sufficienza, ma Tutte le volte che non era la canzone regina. Ed anche il pubblico dell’Ariston ha manifestato il dissenso per quella che sarà ricordata come l’edizione più contestata. Persino l’orchestra si è ribellata – sembrava di rivedere Prova d’Orchestra di Federico Fellini – all’annuncio che Malika Ayane, la reale vincitrice di Sanremo 2010, era fuori dal gioco. Possiamo continuare a protestare fino all’anno prossimo, ma Valerio Scanu, il pupillo di Maria De Filippi, è il vincitore del Festival di Sanremo per la categoria dei Big. Marco Mengoni, caduto nella trappola degli starnazzi effeminati, si salva comunque rispetto alla canzone-scandalo dell’Ariston: Italia amore mio, dichiarazione d’amore di un principe che vuole cancellare un passato ingombrante, all’ombra di una monarchia che ci ha mortificati, impoveriti, umiliati. Date alla musica quel che è della musica (Emanuele Filiberto ha fallito come politico e cantante), date alla storia quel che è della storia. E Ghinazzi, pardon Pupo, prima di farci il sermone dal palco dell’Ariston, dovrebbe mettere ordine nella memoria. Mentre su blog e social network, Facebook in testa, si scatena l’indignazione, protesto a voce alta ed invito ad alzare la mano chi è con me: o Sanremo cambia pelle, o quando sarà estinto il popolo della tv, noi del Web diserteremo, mettendo fine a questo rito. Siamo concordi tutti che questo è stato il Festival delle donne? Sul podio dovevano esserci Malika Ayane, Irene Grandi e Noemi. Così non è stato. Ogni anno viviamo con la speranza che le cose cambieranno, cercando di non farci travolgere dall’amaro cinismo. Dimentico che siamo in Italia e il Belpaese cialtrone resta la culla dell’inciucio, in politica come nello spettacolo. Lo Show deve continuare, ma è ora che qualcuno spenga i riflettori abbaglianti. Dobbiamo ritrovare il buio e, qualche volta, l’oscurità ci fa capire di chi siamo figli. Ed io mi vergogno.

La mia TOP TEN:

1. Malika Ayane

2. Irene Grandi

3. Noemi

4. Povia

5. Irene Fornaciari

6. Marco Mengoni

7. Simone Cristicchi

8. Nino D’Angelo e Maria Nazionale

9. Valerio Scanu

10. Enrico Ruggeri

Sanremo 2010, Tony Maiello scippa la vittoria a Nina Zilli

Castellamare di Stabia – la città che ha dato i natali a Raffaele Viviani ed Annibale Ruccello – sale sul podio del Festival di Sanremo con la vittoria di Tony Maiello nella categoria Giovani. Il timido cantante campano, sotto l’ala protettiva della scuderia di Mara Maionchi e le magie del Televoto,ha strappato con il brano Il linguaggio della resa la vittoria a colei che meritava lo scettro: Nina Zilli. Vince la melodia scontata, la canzonetta in puro stile sanremese che non ha niente a che fare con il “fattore X”. Maiello fa solo tenerezza, soprattutto quando il padre si fionda sul palco ad abbracciarlo e la serata si chiude secondo il copione della sceneggiata napoletana. Un 2010 che dimenticheremo in fretta perché quelle che dovevano essere le nuove promesse, si sono rivelate davvero un tonfo, a parte la Zilli con L’uomo che amava le donne e qualche timido accenno traversale tra gli esclusi Romeus e La Fame di Camilla. Il varesino Luca Marino può consolarsi perché sono convinto che la sua sarà il tormentone radiofonico dei prossimi mesi. Antonella Clerici e il suo Festival hanno maltrattato i giovani: io avrei mantenuto il tabù dell’inedito, mettendo in gioco più canzoni e dando più visibilità alla vera linfa dell’Ariston. Diciamocelo francamente: questo è il Sanremo dei Big, ma anche il Festival che si piega sfacciatamente ai ricatti del Televoto. Passano in finale Pupo ed Emanuele Filiberto tra i fischi della platea (che caduta di stile l’intervento di Marcello Lippi in loro difesa!), mentre tornano a casa Enrico Ruggeri (simpatico il duetto con i vecchi Decibel) e Fabrizio Moro. Quale brutta sorpresa ci aspetta dietro l’angolo? Lo sapremo stasera, ma io vorrei chiederlo al francese Bob Sinclair, il dj principe dello show di ieri sera.

Sanremo 2010 atto III: sconce magie da Televoto!

Non ci sto ai giochi di prestigio del Televoto. Che torni in gara Valerio Scanu (corre in aiuto Alessandra Amoroso!) mi può star bene, ma non accetto il rientro indesiderato di Pupo e Emanuele Filiberto, che hanno la canzone peggiore del Festival di Sanremo 2010. Una ventina di anni fa c’erano le cartoline del Totip che facevano balzare in vetta il peggio della musica italiana, e oggi ci risiamo. La terza serata è stata all’insegna del revival – bella la sequenza di immagini in apertura di 60 anni di Festival – ma con il solito ricatto. Io ti canto la vecchia canzone di Sanremo e tu mi fai promuovere il nuovo album, dalla Mannoia a Bennato. Noioso Cocciante, emozionante Carmen Consoli, strepitosa Elisa con il doveroso omaggio a Sergio Endrigo, ingiustamente dimenticato.  E questa nostalgia canaglia ha raggiunto l’apice con il ritorno in gara – tifavo per Nino D’Angelo e Maria Nazionale – di Pupo & il Principe, come se l’esilio dei Savoia dovesse essere cancellato dalla storia e clonarsi in uno stupido motivetto. Toc, toc! E i giovani dove sono finiti? E chi li ha visti che sono usciti dopo la mezzanotte, tanto da sostenere una scelta scandalosa: mandare in onda la registrazione dell’esibizione di Jessica Brando con il pretesto che era minorenne e quella era già ora di nanna. Scusate, ma i giovani non potevano cantare in apertura? Anche ieri sera la Nuova Generazione Sanremo 2010 ha deluso e così la spuntano Tony Maiello e “la virtuale” Jessica, a cui avrei rinunciato volentieri per Romeus e La Fame di Camilla. Lasciamo perdere Nicolas Bonazzi, figlio illegittimo di Massimo di Cataldo. Pardon, ho dimenticato di nominare Antonella Clerici almeno una volta. Basta e avanza.

Sanremo 2010 atto II: la delusione dei giovani

La seconda serata del Festival di Sanremo l’ho vissuta con un presupposto: Antonella Clerici e la sua goffaggine, farcita di carinerie, c’è e dobbiamo farcene una ragione. Assillo galoppante: perchè questa sessantesima edizione non ha una sigla originale (dobbiamo rimpiangere i tempi del Baudismo?) e ieri abbiamo ricorso alla colonna sonora di Forrest Gump? Misteri della direzione artistica. Ieri a farla da madrina di casa è stata la regina Rania di Giordania con la sua eleganza e savoir faire. E le canzoni? Quest’anno c’è una controtendenza. I giovani hanno deluso le aspettative e i brani dei Big sono di gran lunga superiore. C’è stato un gran parlare della categoria Nuova Generazione e poi i primi cinque emergenti li hanno mandati in onda dopo le 23.30, quando “l’abbiocco” poteva essere giustificato. Mandare in radio le loro canzoni da diverso tempo – a parte Luca Marino io non ho mai sentito nessuno – non è una buona giustificazione per liquidarli in così poco tempo. Nina Zilli e Luca Marino hanno passato il turno: la prima ha un brano stuzzicante e riesce a modularlo bene; il secondo si gioca tutto con una ballata vecchio stile molto orecchiabile. Gli altri dimentichiamoli. I Broken Heart College sembrano la copia riuscita male dei Sonohra; Mattia De Luca un clone di Tricarico con manie di un pop acustico; Jacopo Ratini gioca a fare il giovane impegnato scimmiottando lo stile di Simone Cristicchi e Daniele Silvestri. Tra i big sono usciti  i Sonohra (era ora!) e Valerio Scanu, che invece avrei tenuto al posto di Arisa, perché la Pippa non può pretendere di salire sul podio con la solita filastrocca scemotta. Speriamo che i cinque giovani della terza sera diano un senso alla “Nuova Generazione Sanremo 2010”, altrimenti siamo proprio messi male.

Sanremo 2010 atto I: giù il Principe dall’astronave!

L’edizione numero 60 del Festival di Sanremo meritava un inizio diverso:  siamo nel classico polpettone serale dei palinsesti Rai o sul palco dell’Ariston? Troppo televisivo: nel prolungato siparietto d’apertura di Bonolis e Laurenti (extended version del solito teatrino pubblicitario?), nella goffaggine di Antonella Clerici, che pensa di stare ancora a La Prova del cuoco tra Cassano, che gioca a fare il simpaticone, e il fantasma di Morgan, l’esluso omaggiato con la lettura dei versi del suo pezzo.  La scenografia è salvabile, se non fosse per quell’astronave oscena che ci prepara a “gli incontri ravvicinati del terzo tipo”: chi sono i marziani? Pupo ed Emanuele Filiberto, in coppia per la canzone più brutta di questo primo atto,  la cui squalifica è segno che le coppie fatte a tavolino non funzionano più e i venti nostalgici del Belpaese monarchico soffiano in soffitta. Avrei tenuto Nino D’Angelo e Maria Nazionale per il sound pseudo folk – senza essere filopartneopeo – e mi sarei liberato volentieri dello zucchero filato dei Sonohra e Arisa. Il principe di “Amici”, Valerio Scanu, raggiunge la sufficienza, ma la sua canzone sembra una traduzione in italiano di un mieloso brano napoletano, fatto su misura per un neomelodico. Enrico Ruggeri, Toto Cutugno e Fabrizio Moro si autocitano e fanno autogoal, mentre si inizia a respirare con la satira spigolosa di Simone Cristicchi e l’inno istrionico di Povia, dedicato ad Emanuela Englaro (le polemiche sull’eutanasia lasciamole fuori dall’Ariston, per favore). Funziona Irene Fornaciari con i Nomadi perchè dietro Il mondo piange c’è lo zampino di papà, mentre si avviano in vetta gli energici  Irene Grandi, Marco Mengoni e Noemi. In alto al momento c’è una sola ninfa, la cui voce è sospesa tra cielo e terra con la delicata Ricomincio da qui: Malika Ayane.  E’ ancora troppo presto per parlare, perchè la giuria sanremese ci riserva brutte sorprese. Stiamo a vedere, tanto la vera regina della prima serata è stata Susan Boyle, la migliore invenzione di un talent show!

Morgan “fumante”, fuori dal Festival di Sanremo!

Tutta colpa del “crack”? Finanziario, certamente no perchè Morgan con le partecipazioni ad X Factor di soldi s’è ne fatti abbastanza. Crack, inteso come sostanza stupefacente, perchè il musicista milanese ha dichiarato al mensile Max di far uso “di droga come antidepressivo”. E’ scattata la bufera e così l’ex Bluevertigo si è ritrovato dall’oggi al domani squalificato dal prossimo Festival di Sanremo. Adesso, altro che fare l’antipatico come da copione di X Factor, qui si tratta di perdere una buona occasione, l’Ariston appunto, per approfittare della cresta dell’onda. E’ vero che ognuno nella vita privata può far quello che vuole, ma mi inquieta la spavalderia con cui Morgan ha tirato fuori certe considerazioni. Se è un vanto usare stupefacenti per “sballarsi” o come “antidepressivo”, allora siamo messi male. Siano contrastanti le opinioni a tal proposito, ma finiamola per piacere di dividere il gregge tra bigotti/bacchettoni o anarchici/progressisti. Sulla giustificazione dell’uso di stupefacenti non dovremmo neanche sprecare una frase compiuta, così come sulla proposta bizzarra di fare il test anti-doping a tutti i cantanti sanremesi. Giovanardi consiglia a Morgan di “ricoverarsi in una comunità di recupero”, ma per me è opportuno che faccia un corso di comunicazione accelerato! In tutta questa storia, io mi sento un pesce fuor d’acqua perchè uso la musica, il cinema, il teatro la lettura e i viaggi come antidepressivi e mi sballo cercando di prendere per mano la ragazza che mi piace, in silenzio, in riva al lago. Caro Morgan, lo sai dov’è il vero “sballo” della nostra esistenza? Essere venuti al mondo perchè la vita è un grande dono.

Luigi Tenco, vedrai vedrai…

Quando spunta l’anniversario della morte di Luigi Tenco, avvenuta il 27 gennaio 1967, tutti si fiondano ad indagare sulla scomparsa ombrosa del cantautore genovese.  Al di là dei misteri irrisolti, dovremmo dare più spazio nella nostra quotidianità ai cantautori che hanno guardato  avanti, giocando in anticipo sui tempi. L’Italia musicale degli anni ’60 ancheggiava ancora con Celentano, ballava Con le pinne, fucili ed occhiali e si innamorava sulle note di Sapore di mare. Di quell’Italia era figlia una casalinga napoletana, appassionata sfegatata di Morandi, Don Backy e Ranieri. Nonostante la distanza dalla musica impegnata, tra i suoi beniamini c’era Luigi Tenco. Era un pomeriggio del ’79 e alla radio davano Ciao, amore, ciao. Ascoltandola capii che non era il solito brano e lei mi presentò così Tenco: “Eravamo abituati a raccontare l’amore alla maniera di Io, Tu e le Rose (il brano finalista di Sanremo ’67,ndr.), ma Luigi si espriveva in tutt’altra maniera, portando a galla altri aspetti. Non eravamo pronti allora e forse non lo siamo ancora oggi”. Aveva ragione quella casalinga, mia madre, perchè dopo tutto i sentimenti potevano restare intrappolati in una malinconia  dal sapore schopenhaueriano (Mi sono innamorato di te), l’esilio dalla terra natia in un acquerello sussurrato (Ciao, amore, ciao), la speranza in balia degli affanni del tempo (Vedrai vedrai). Nei sabato pomeriggio del primo liceo facevo lo speaker “abusivo” in una radio locale e, mentre dj Alex mi faceva segno di smettere per non perdere i quattro gatti che ci ascoltavano, lessi  i versi che Fabrizio De Andrè gli dedicò in Preghiera in Gennaio: “Signori benpensanti spero non vi dispiaccia  se in cielo, in mezzo ai Santi, Dio, fra le sue braccia, soffocherà il singhiozzo di quelle labbra smorte  che all’odio e all’ignoranza preferirono la morte”.

Amici, Marco Carta e Alessandra Amoroso la grande svolta?

Il 17 gennaio parte il serale di Amici e mi scappa proprio una riflessione, a seguito di una dichiarazione recente di Maria De Filippi: “Dopo la vittoria sanremese di Marco Carta e il successo di Alessandra Amoroso, tutte le grandi case discografiche hanno deciso di presidiare il programma e di diventarne parte integrante”. Scusate se mi intrometto, ma non sono convinto che la vittoria “contestata” allo scorso Festival di Sanremo di Marco Carta abbia rappresentato “una grande svolta”. Se fosse così, dovremmo rivedere un po’ di cose. Chi se la ricorda più quella canzone? Se solo proviamo ad accostarlo alle due vere rivelazioni dell’Ariston 2009, Malika Ayane e Sinoma Molinari, Marco Carta ne esce sconfitto in partenza. Alessandra Amoroso è nettamente migliore del suo compagno di scuola, nonostante abbia commesso un fallo: partecipare all’ultimo one man show di Gianni Morandi, come traino per alzare lo share delle vecchie guardie della moribonda Rai. E poi la Amoroso, oltre ad avere una bella voce, è una ragazza deliziosa: quella umile, che non si è montata per niente la testa! Dovrebbe dare una bella lezione in tal senso a Valerio Scanu, che adesso si sentirà ancora più “divo” da partecipante al prossimo Festival di Sanremo. Per quanto riguarda l’interesse dei “discografici”, mi permetto di dire la mia: in un momento di crisi e trasformazione inevitabile dell’industria musicale , la passerella del talent show di Canale 5 è un sentiero di salvezza per rialzare le vendite, anche se ci trovassimo con un pugno di mosche in mano. Le case discografiche sanno bene come coccolare  il popolo fedelissimo di Amici – che acquista comunque il cd del suo beniamino (che triste la Christmas edition di Valerio Scanu!). Facciamo tutti un passo indietro, perchè nei tempi di vacche magre torna la logica vincente  dell’asso pigliatutto.

Il Festival di Sanremo canta in dialetto?

Il teatro Ariston di Sanremo

Rosario PipoloI venti leghisti tirano così forte da incidere anche su un evento nazional-popolare come il Festival di Sanremo. Svecchiare un regolamento dopo quasi 60 anni si può, ma recriminarne la natura ed inserire le canzoni in dialetto mi sembra troppo. Da buon napoletano ritengo che cultura musicale dialettale sia un patrimonio immenso, a cui neanche io da ascoltatore vorrei rinunciare. E non ne faccio questioni geografiche o antropologiche perchè ascolto con la stessa partecipazione emotiva il comasco Davide Van De Sfroos così come il parneopeo Peppe Barra. Il palco del teatro Ariston è l’agorà del Festival della Canzone italiana, una manifestazione che non dovrebbe essere né una vetrina del nazionalismo tricolore né l’oasi del federalismo canzonettaro. E’ vero che il Festival di Sanremo perde il suo seguito anno dopo anno, ma non è questa la trovata giusta per far acquistare sprint all’intrigante macchina discografica che ne fa da supporto. Le canzoni in dialetto possono essere valorizzate in altri spazi, possibilmente costruiti su misura. Per quanto riguarda l’esterofilia sanremese, dico la mia: no ai superospiti strapagati, ma sì ai duetti con gli stranieri per esportare qualche canzone all’estero. Mica tutti si chiamano Ramazzotti, Bocelli o Pausini? E poi se in passato non fosse stato così, nel 1990 non ci saremmo emozionati con  Ray Charles che cantava Good Love Gone Bad, versione in inglese di un pezzo di Toto Cutugno.

Sanremo Web, Ania la vincitrice “sfigata”?

ania150Il Festival di Sanremo si è concluso da pochi giorni e non si fa altro che parlare su blog e forum di Marco Carta e Arisa, al di là di ogni polemica.  E’ passata troppo in sordina Sanremo Web, la prima competition online proposta dal festivalone di Bonolis.  E la vincitrice? C’è e si chiama Ania, partenopea di nascita e milanese d’adozione, che ha stravinto in rete con il brano Buongiorno gente. Questa volta non mi soffermo né sull’interprete né sull canzone, bensì sulla poco attenzione che la macchina festivaliera ha datto a Web Sanremo 59. L’esibizione di Ania  è stata lampo e poco valorizzata. Gli altri partecipanti della gara online sono diventati manichini ed hanno occupato un pezzo di scenografia di Castelli. Il Sanremo di Bonolis ha finto  di essere a passo coi tempi, usando la macchina del web come semplice vetrina. L’episodio più sconcertante è relativo al salotto di Baudo all’interno dell’ultima puntata di Domenica in. Ania è uscita fuori come “la sfigata della situazione” perché fa parte della scuderia di un’etichetta indipendente e il suo trofeo è frutto di voti di smanettoni della rete. C’è ancora chi ha il coraggio di demonizzare Internet?  Chi fa il mio mestiere dovrebbe ammettere una volta per tutte che la rete è l’unica via di scampo per fuggire dallo star system dell’industria discografica tradizionale. E meno male che esiste  Myspace e tanta altra roba, da cui  è possibile scovare proposte musicali interessanti e meritevoli di finire all’Ariston. Questa è la ragione – per la fortuna della generazione del web 2.0 – per cui il Festival di Sanremo ha perso da un bel pezzo il monopolio di trampolino di lancio delle nuove promesse della musica italiana.