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Non insegnate ai bambini: Date fiducia all’amore, il resto è niente.

Rosario PipoloBuon compleanno, Zoe. Io e il tuo papà ci alleammo al terzultimo banco in un liceo della periferia di Napoli contro l’irrefrenabile nozionismo che voleva la recita a memoria di Natalino Sapegno. Scalpitavamo per percorrere altre strade e trapiantare nell’anima la letteratura italiana.

“Non insegnate ai bambini, non insegnate la vostra morale. È così stanca e malata, potrebbe far male. Forse una grave imprudenza, è  lasciarli in balia di una falsa coscienza. Non elogiate il pensiero, che è sempre più raro. Non indicate per loro, una via conosciuta. Ma se proprio volete, Insegnate soltanto la magia della vita”*.

Buon compleanno, Zoe. Ci pensi, Io e il tuo papà in piedi su una sedia, a fine lezione, in quello che fu scambiato per l’irriverente sfottò di due eccentrici e arroganti maturandi.
Invece no, fu la nostra protesta. Non ne potevamo più di inghiottire come rospi a quantità industriale versi latini e greci, per riempire i buchi dei programmi ministeriali della scuola miope e strabica dei nostri tempi.

“Non insegnate ai bambini, non divulgate illusioni sociali, non gli riempite il futuro di vecchi ideali. L’unica cosa sicura è tenerli lontano dalla nostra cultura. Non esaltate il talento che è sempre più spento, non li avviate al bel canto, al teatro, alla danza, ma se proprio volete raccontategli il sogno di un’antica speranza”.*

Buon compleanno, Zoe. In una mattina di primavera io e il tuo papà trasformammo l’odioso “filone” del liceale radical-chic in un viaggio a corto raggio: parlammo, condividemmo, sbottonammo  sogni futuri azzannando un panino caldo e mortadella, ci staccammo una volta e per sempre da quel provincialismo che premia i bagordi del vivere per apparire anzichè la sostanza dell’essere.

“Non insegnate ai bambini. ma coltivate voi stessi il cuore e la mente. Stategli sempre vicini, date fiducia all’amore, il resto è niente”.*

Buon compleanno, Zoe. Alzati da quella sedia, proprio come facemmo io e il tuo papà, svestendoci del pregiudizio di chi diceva che non potevamo farcela con le nostre forze. Giro giro tondo, cambia il mondo.

*Giorgio Gaber – Sandro Luporini, Non insegnate ai bambini, dall’album “Io non mi sento italiano”, CGD, Italia 2003

Quando il viaggio serve a dare una svolta alla nostra vita

Rosario PipoloCi sono viaggi e viaggi. La maggior parte li vive come momento di relax e svago per fuggire temporaneamente dalle oppressioni della routine. Pochi sono quelli che invece sanno essere viaggiatori fino al midollo, facendosi trascinare da ciò che sarà.

Osservando i bagagli di Max accanto all’auto, ho riletto con il pensiero quella perla di saggezza di Kerouac: “Le nostre valigie erano di nuovo ammucchiate sul marciapiede; avevamo molta strada da fare. Ma non importava, la strada è la vita”.

Ci sono viaggi e viaggi. Non sono quelli che ci illudono di alleviare le pene dei malesseri quotidiani. Sono piuttosto i viaggi dell’insostenibile leggerezza dell’essere che però vestono una piccola pena: lasciare le piccole sicurezze, messe una sopra all’altro come i mattoncini della Lego, per qualcosa che ci appare troppo lontano per prendere forma. Del resto, come ripeteva qualche vecchio saggio, non viaggiamo per scappare dalla vita ma viaggiamo perché la vita non ci sfugga dalle mani.

E forse Paul Morand concorderebbe come me quando ribadisco che la sola virtù del viaggiatore è l’infedeltà, perché “dobbiamo essere viaggiatori senza rimorsi. Dimenticare i nostri amici per degli sconosciuti”. Saranno proprio gli sconosciuti che incontreremo nelle tappe del tragitto ad aiutarci a tracciare le linee del nostro futuro.
Non ci saranno gli amici che, assorbiti dallo squallore della routine, non coglieranno lo spirito del  “viaggio della svolta”, quello che in piena notte ci fa scambiare le stelle per le lentiggini di Dio.

Ciò che conta per un viaggiatore, che per giunta è destinato a non arrendersi mai, è lasciarsi alle spalle “l’uomo inserito” cantato da Gaber, “che attraversa ossequiosamente lo squallore della propria sopravvivenza quotidiana”.
Noi viaggiatori abbiamo tutta una vita davanti. Perciò buona vita, Max.

Bella ciao: L’elogio funebre a Franca Rame che oggi non leggerò allo Strehler

Rosario PipoloUna mattina mi son svegliato, o bella ciao, bella ciao, bella ciao ciao ciao, una mattina mi sono svegliato ed ho trovato i violentatori. Pensavo tu fossi a teatro, immersa tra copioni e maschere, nella lunga notte che non vede mai il giorno arrivar. Invece eri lì sotto il branco, o bella ciao, bella ciao, bella ciao ciao ciao, ma io quella mattina non mi ero svegliato per venirti a salvar.

O partigiana del teatro portami via che mi sento morir quando picchiano una donna, quando la schiaffeggiano, quando la sottomettono, quando il maschilismo arrapato ne mercifica il corpo, quando non ne riconoscono l’intelligenza, quando una carezza dell’alba diventa il pugno di ferro della sera.

E se io muoio da partigiano del teatro, o bella ciao, bella ciao, bella ciao ciao ciao, tu nella Palazzina Liberty mi devi seppellir: tra quelle mura in cui l’urlo col megafono ti ha trasformata da dea della bellezza a dea dei diritti civili, portandoti tra le piazze dietro gli striscioni, perché solo gli imbecilli pensano che il palcoscenico sia fatto di sterili clown.

Mi seppellirai lassù dove resterà acceso l’ultimo riflettore, o bella ciao, bella ciao, bella ciao ciao ciao e a tutte le genti che passeranno gli racconterai che sono figlio legittimo di una casalinga appassionata che mi svezzò con il teatro e mi raccontò di te fin da quando ero in fasce.

È questo il fiore della partigiana del teatro, bella ciao, bella ciao, bella ciao, ciao, ciao, che con Enzo (Jannacci) e Giorgio (Gaber) ha già scatenato in uno spettacolo lassù la gioia di tutti gli angeli, alla faccia del clero benpensante convinto che finisse diritta all’inferno. E’ questo il fiore della partigiana della libertà, che adesso dorme tra le braccia di Dio.

Grazie, Franca.

Da Milano Pisapia fa tremare l’Italia: E pensare che c’era il pensiero…

Non è la stessa Milano stamattina. La terra ha tremato e lo scossone di Giuliano Pisapia lo ha sentito tutta l’Italietta, quella che mette sulla stessa barca benpensanti e clericali, trasformisti e papponi, cialtroni e farabutti, angeli e demoni, mercenari e valvassori. All’alba avrei bussato volentieri alla porta di Giorgio Gaber per inzuppare una brioche calda nel suo cappuccino – alla maniera provocatoria di Nanni Loy – e canticchiare assieme a quel milanese intelligente parole sagge: “E pensare che c’era il pensiero che riempiva anche nostro malgrado le teste un po’ vuote”.
E come se improvvisamente Milano fosse tornata a pensare, come se il lato umano assopito sotto la corteccia della capitale economica avesse preso il sopravvento, come se il cantico di Roberto Vecchioni in piazza Duomo sabato scorso fosse stato profezia musicale di una strada complicata da percorrere. Ora che i palazzi e gli imperi della metropoli sono costretti a far silenzio, questa Milano non può tacere più di fronte ad una multi etnicità culturale e sociale che la rende sempre più “meticcia”, nel viso e nell’anima.
Riguardando i manifesti sparsi in città con il volto di donna Letizia, ho rivisto il ghigno ingessato della Thatcher, la Lady di ferro anglosassone che un dì ha temuto di essere sbaragliata da qualche ragazzotto sbarbatello laburista della porta accanto. Certo, questo Pisapia sbarbatello non è, ma ha quell’aria scanzonata che al primo impatto lo rende poco padano.
Un boomerang, un uragano? Può darsi. E anche se si fermasse al ballottaggio, l’aspirante sindaco anti-Berluscones ha fatto tremare la terra sotto i nostri piedi. Per una volta una minoranza allargata ha gridato: Milano un pensiero ce l’ha e non è figlio del dio denaro.

Vick Arrigoni, ecco l’agnello di Dio…

Terra amara, terra piena di contraddizioni quella lì. Lo stesso territorio in cui più di duemila anni fa si vendevano per pochi denari i pacifisti e si crocifiggeva chiunque non fosse allineato con i palazzi del potere. Il movimento pacifista è nato paradossalmente lì e vogliamo legittimarlo a pochi giorni dalla Pasqua Cristiana. La storia torna e fa i suoi giri: c’è sempre qualcuno che se ne lava le mani, c’è sempre chi tradisce, c’è sempre chi finisce in croce.
Vick, il pacifista barbuto e tatuato, è stato fatto fuori senza neanche battere ciglio, senza nemmeno una finta e mostruosa messa in scena processuale che lo condannasse perché era un libero pensatore. E poco importa del surriscaldamento emotivo che infervora la rete, tra blog e social media, perché Vittorio Arrigoni nel suo slogan “Restiamo umani” aveva detto tutto. Aveva capito che le dittature invisibili palleggiavano tra il pugno di ferro di Israele e l’ombra bombarola di Hamas; aveva capito che la striscia di Gaza era più di una borderline: era un piccolo ombelico del mondo in cui travestiti da blogger si potevano raccontare storie quotidiane che a noi sfuggono. Arrigoni aveva preso una posizione netta che, al di là della condivisione o del’appoggio ideologico, lo aveva distanziato da chiunque volesse appropriarsi di lui.
Per rispettare la sua memoria, dobbiamo stare in guardia da chi vuole trasformare questo “agnello di Dio” in un pass-partout iconografico, spacciandosi per messaggero di pace. Sarà pure un imperdonabile sacrilegio, ma della salma di Vittorio Arrigoni poco importa, perché i liberi pensatori non finiranno rinchiusi mai in tombe buie e giammai avranno gelide lapidi. Vick è ancora lì, in quella terra straniera, tra chi vorrà essere un suo apostolo e continuare a portare avanti un pensiero, nell’ottica gaberiana della “libertà come partecipazione”. E noi non possiamo sempre tirarci indietro.

Arriva il 2010, Buon anno a te!

Quando sta per finire l’anno, mi guardo allo specchio e conto quanti capelli bianchi sono sopraggiunti. Sono ospiti inattesi, ma graditi: a 36 anni meglio essere brizzolato che calvo! Ops, il 2009 si porta via  un altro decennio e ci sono una serie di cose che vorrei portarmi dietro oltre il confine: il gusto della Birra Moretti, edizione speciale per i 150 anni; il viaggio on the road negli USA e le 20 capitali europee dove ho raccolto storie e ho fatto incontri incredibili; il film Le vite degli altri di Florian Henckel von Donnersmarck; i concerti di Keith Jarrett, Rolling Stones, David Gilmour, Bruce Springsteen e AC/DC; il mio trasferimento a Milano e le tante avventure vissute qui; una foto assieme a miei zii Mimmo Palanza e Lilina Bazin; la colonna sonora di Once, album atipico da un film romanticissimo; la rosticceria di Gangi e la cassata del bar Alba a Palermo; l’intervista al drammaturgo Harold Pinter;  l’ultimo sorriso del sognatore polacco Karol Wojtyla; la canzone Non insegnate ai bambini del cantastorie Giorgio Gaber; Persepolis, il diario a fumetti di Marjane Satrapi; gli ultimi versi scarabocchiati da Alda Merini. E le persone speciali incontrate o ritrovate tra il 2000 e il 2009? Eccome se ci sono, si contano sulle dite di una mano, ma quelle preferisco nominarle a bassa voce! Mollo a terra la nostalgia e scappo via con un aforisma intelligente: “Il futuro è un mistero, ma le cose belle devono ancora arrivare”. E queste parole sagge le ritroverò negli occhietti di Alice, la mia nipotina che nascerà nel 2010. Non è  la figlia di mia sorella, ma di mio cugino Andrea. Per me i rapporti di parentela sono una stupida invenzione, perciò conta ciò che si è costruito gomito a gomito, come è successo con Andrea appunto. Quando guarderò Alice nella culla, troverò il futuro di cui parlo. Buon anno anche a te, caro lettore, con cui condivido parte di me!

La vittoria dello sport in quel tuffo di Federica Pellegrini

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Rosario PipoloLo so di non avere voce in capitolo. Il mio stile di “nuotatore imbranato” è clownesco e mi vede fare splash sempre a pochi passi dalla riva. Giuro, non uso braccioli e salvagente, ma li tengo sempre a portata di mano! Quel tuffo e quella nuotata di Federica Pellegrini sta facendo impazzire la rete e mandando in tilt Youtube. E’ un bel riscatto per il nuoto in quest’Italia che vive solo e maledettamente di calcio. Ai tempi del regno della tv generalista e del monopolio dei palinsesti per guardare altri sport bisognava fare i nottambuli. Adesso per fortuna tra web e canali satellitari possiamo dirottare la nostra emotività sportiva a lungo raggio tra una pedalata, un tuffo o il lancio di un giavellotto. In un pease di vecchi come l’Italia, il successo di Federica Pellegrini torna a far sussultare il nostro orgoglio nazionalista, che non deve per forza venir fuori quando la Nazionale di calcio stravince ai Mondiali. Ai Mondiali di nuoto di Roma questa talentuosa e bella veneziana ha battuto il record nei 400 metri in stile libero. Che soddisfazione! Federica ha il merito di aver fatto sentire il Belpaese “unico ed indivisibile”, tenendo a bada anche le baruffe isteriche della nostra politica. Perdonami, Federica, ma certe volte come cantava Gaber “Io non mi sento italiano”. Nella tua nuotata spedita ho ritrovato un pizzico di italianità ed è perciò che devo impegnarmi anche io: a spingermi più a largo con le mie grottesche nuotate in stile libero!

Eroe, darsi fuoco per finire su Youtube?

fuoco150A Torino due adolescenti si sono dati fuoco con la benzina per finire su YouTube. Non avevano in mente alcun gesto eroico o ideologico, bensì la brama di diventare eroi della rete. L’amico era pronto a riprenderli con un telefonino e a caricare il video sul social network. La vicenda è drammatica perché in giro si moltiplica un isterismo da reality show, traslocando dalla televisione ad Internet. Molte insoddisfazioni dei bassifondi della vita privata si insediano appena siamo davanti al pc. Per alcuni è all’ordine del giorno seguire la vita privata di sconosciuti o conoscenti, curiosando su Facebook o Twitter. Ci dà veramente soddisfazione far parte di una combriccola virtuale, in continua espansione, a cui dobbiamo raccontare i fatti nostri per sentirci reucci e reginette del web? Tornando alla vicenda dei due studenti ustionati, ma fuori pericolo, mi viene da fare un appello ai genitori e ai professori, che dovrebbero tornare ad essere “educatori” e non propagatori di “sterili nozioni”. I nostri ragazzi non hanno ancora compreso il significato di “eroe” perché sono accecati dai miti fasulli di questi giorni grigi. Basta fare zapping in tv e ce ne sono davvero a bizzeffe. Cosa facciamo per arrestare questa tendenza? I miei eroi erano altri. Ne ho ritrovato uno ieri sera, a luci spente nel mio soggiorno. Mentre Giorgio Gaber cantava un gioiello del suo teatro-canzone, mi è tornato in mente il nostro ultimo incontro. In quel camerino di un teatro avevo capito che gli eroi non esistevano soltanto nei libri di storia, ma anche nella realtà di tutti i giorni.  

Gaia e il teatro delle meraviglie

Sono finito nell’aula di un corso ed è rispuntata un’ala della mia vita: il Teatro. Il trainer di comunicazione, Gaia Catullo, mi ha involontariamente fatto un dono, quello di farmi ripescare il palcoscenico dal fondo della mia anima, in un fase di transizione: dall’esibizione all’espressione. E’ scoccata come una scintilla al pensiero che le vite possono incrociarsi. Nel 1993 Gaia era sul palco del Piccolo assieme a Strehler, io facevo su e giù Napoli-Salerno con pochi spiccioli in tasca, ripassando stralci da Molière e Shakespeare. Mi sforzavo di preparare il mio primo esame all’università e, accompagnando a casa la mia ragazza, sapevo che alle spalle dicevano: “Lascialo perdere quel clown, non farà mai nulla di buono nella vita”. L’arte dell’attore – colui che viene dal teatro e non dai riflettori degli “Amici” della De Filippi – ti aiuta ad esplorare te stesso ed il mondo che ti circonda. Gaia e il suo “teatro delle meraviglie” è stato un fulmine a ciel sereno per risollevarmi dalla “ripetitività della quotidianità” e farmi ritrovare “il teatro perduto”. Possiamo sempre trovare un compromesso tra routine e creatività, ma chi sceglie la seconda via è destinato a stare fuori dal coro. Al termine del corso, ho ripensato ad una massima di Giorgio Gaber: “Da una parte l’uomo inserito che attraversa ossequiosamente lo squallore della propria sopravvivenza quotidiana e dall’altra il gabbiano senza più neanche l’intenzione del volo”. Grazie a Gaia mi sono allegerito come un gabbiano, “ma con l’intenzione del volo”. E’ questo l’effetto di chi ha continuato a fare del teatro il suo mestiere?