Grazie dei fior, Nilla!
“Grazie dei Fior, tra tutti gli altri li ho riconosciuti, mi han fatto male eppure gli ho graditi, son rose rosse e parlano d’amore”. Così si cantava l’amore nel secondo dopoguerra del secolo scorso, senza troppi fronzoli, perché anche in un mazzo di fiori si nascondeva il profumo di un sentimento vero. Chi riascoltò alla radio Nilla Pizzi in quel freddo 31 gennaio del 1951, in occasione della serata finale del Festival di Sanremo, si ritrovava nelle parole che stavano trasformando una litania musicale in un canto d’amore.
“In mezzo a quelle rose ci sono tante spinte, memorie dolorose di chi ti ha voluto bene”: La ascoltò mia nonna Lucia da quella radiolina in un angolo della stanza in affitto a Mergellina. La ascoltarono le sue vicine, riunite attorno ad un braciere, come se poi una canzonetta alleviasse le pene dei venti di guerra che avevano messo in ginocchio l’Italia.
Napoli allora era ancora sull’orlo della disperazione, ma la voce soave di Nilla Pizzi attraversò così in fretta l’Italia che tutti si sentirono uniti, tremendamente vicini. Aspettando l’anniversario dei 150 anni dell’Unità d’Italia, proviamo a dare un volto a quel periodo: un faccino qualunque che rappresentava con discrezione il nostro caro Belpaese. E vedete se non potrebbe essere Nilla Pizza, regina della Canzone Italiana, a prestare la faccia all’Italia, che ha tentato in più occasioni di trasformarla ingiustamente in icona folk e spassionatamente kitch.
I fiori appassiscono, le rose pure, ma chi sa riconoscerle, le restituisce un nuovo profumo che non va più via. Nilla Pizzi, in quell’interpretazione, ci è riuscita e chi la ascoltava, doveva solo scegliere da che parte stare. Mia nonna e le sue vicine presero le distanze dagli “urlatori” e scelsero quel timbro di voce. Oggi che la Regina della Canzone Italiana è volata in cielo come una colomba, abbiamo capito che nessuno meglio di lei avrebbe potuto sussurrare l’Italia canterina, povera, bella, intonata, composta. E tutto questo ci mancherà.