Quando il viaggio serve a dare una svolta alla nostra vita
Ci sono viaggi e viaggi. La maggior parte li vive come momento di relax e svago per fuggire temporaneamente dalle oppressioni della routine. Pochi sono quelli che invece sanno essere viaggiatori fino al midollo, facendosi trascinare da ciò che sarà.
Osservando i bagagli di Max accanto all’auto, ho riletto con il pensiero quella perla di saggezza di Kerouac: “Le nostre valigie erano di nuovo ammucchiate sul marciapiede; avevamo molta strada da fare. Ma non importava, la strada è la vita”.
Ci sono viaggi e viaggi. Non sono quelli che ci illudono di alleviare le pene dei malesseri quotidiani. Sono piuttosto i viaggi dell’insostenibile leggerezza dell’essere che però vestono una piccola pena: lasciare le piccole sicurezze, messe una sopra all’altro come i mattoncini della Lego, per qualcosa che ci appare troppo lontano per prendere forma. Del resto, come ripeteva qualche vecchio saggio, non viaggiamo per scappare dalla vita ma viaggiamo perché la vita non ci sfugga dalle mani.
E forse Paul Morand concorderebbe come me quando ribadisco che la sola virtù del viaggiatore è l’infedeltà, perché “dobbiamo essere viaggiatori senza rimorsi. Dimenticare i nostri amici per degli sconosciuti”. Saranno proprio gli sconosciuti che incontreremo nelle tappe del tragitto ad aiutarci a tracciare le linee del nostro futuro.
Non ci saranno gli amici che, assorbiti dallo squallore della routine, non coglieranno lo spirito del “viaggio della svolta”, quello che in piena notte ci fa scambiare le stelle per le lentiggini di Dio.
Ciò che conta per un viaggiatore, che per giunta è destinato a non arrendersi mai, è lasciarsi alle spalle “l’uomo inserito” cantato da Gaber, “che attraversa ossequiosamente lo squallore della propria sopravvivenza quotidiana”.
Noi viaggiatori abbiamo tutta una vita davanti. Perciò buona vita, Max.