Lettera a un tibetano
Da bambino avevo messo il Tibet nel mio giro del mondo dopo aver visto con mia madre un vecchio film in bianco e nero che davano in televisione.
Mi ero convinto che Dio – nella mia immaginazione un gigante barbuto – utilizzasse la tua terra come divano per sedersi, fumare un buon sigaro e guardarci tutti.
Sul mappamondo in regalo mi rendevo conto che il Tibet era lontano, troppo, tanto che non sarebbe bastato rompere il salvadanaio né chissà quanti stupendi da operaio di mio padre che lavorava nella società nazionale dell’elettricità.
Non avrei immaginato che un giorno ce l’avrei fatta, ma con una tassazione da versare a cui in confronto il denaro è carta straccia: nascondere con sofferenza la propria identità.
Giornalisti e diplomatici sono bannati. Nascere in un Paese come il mio, che ti lascia fare della libertà di pensiero e d’espressione il ramo congiunto della tua crescita, ti serve quando ti guardi intorno e vedi chenon tutti hanno avuto le stesse tue chance.
Sono europeo, occidentale, di matrice religiosa cristiana e non sono di certo arrivato a Lhasa per fare il turista impiccione quanto per guardare diritto negli occhi ciascuno di voi. C’è chi si sente esploratore con l’immaginazione, chi con un libro, chi come me dentro il viaggio.
Girovagando nel mercato di Lhasa fai due conti e cerchi di far capire a chi ti sta di fronte che “gli europei non sono polli da spennare” perché c’è chi è arrivato sotterrando i propri risparmi per far fiorire un albero.
Vedevo con i miei occhi quell’albero trasformarsi in quercia quando salivo ogni gradino del palazzo del Dalai Lama, quando fuggiasco nei monasteri ero alla ricerca di monaci con cui barattare lo stress inutile di noi occidentali con spiritualità e saggezza.
Nel rallentamento dei movimenti e sfinimento per l’altitudine ho ritrovato quella forza di non voltarmi indietro più, guardando nella direzione del gigante barbuto che domina il tuo Tibet.
Da bambino pensavo che per vedere Dio bisognava morire, invece ne ho un trovato un poco in ciascuno di voi tibetani. Quando il treno ha ripreso il viaggio e tu sei scomparso dietro il finestrino, mi è sembrato di risvegliarmi. In realtà mi ero appisolato e ci ho messo un po’ per avere la certezza che una parte di me è rimasta lì.
Grazie, Tenzin.
Ero intelligente e volevo cambiare il mondo. Ora sono saggio e voglio cambiare me stesso. (Dalai Lama)