L’innocenza del male e i versi di Antonio Lillo
“Ci siamo cresciuti noi con questo dolore pendolari/ci abbiamo fatto il callo/ci siamo arrangiati sfogliando i giornali”. Leggo questi versi ad alta voce in treno e i pendolari mi guardano sbigottiti. Significa cominciare la settimana in un modo insolito, decifrando le poesie di Antonio Lillo. Mi incuriosiscono i versi raccolti nel volume L’innocenza del male (LietoColle,2009) perché questo giovane pugliese ha il pregio di racimolare gli istanti della realtà dal vivere di tutti i giorni. A parte le digressioni in dialetto e le citazioni, ci sono “le parolacce”, ci sono “i Pink Floyd”, c’è “il kebab”, c’è “la bici alla moda dei Cinquanta”, c’è la smania di prenotare i “bed & breakfast”, ci siamo tutti noi. Il lunedì mattina voglio prendere la sana abitudine di affidarmi ad una “speranzella” – avrebbe cantato il mio compaesano Renato Carosone – senza le melodrammatiche notiziole di “Leggo” e “Metro”. I pensieri che ti sbatte Lillo sulla lastra del cuore aiutano a ritrovare noi stessi, le nostre radici, senza andare troppo lontano, fermandoci nei paraggi del quotidiano. Ritornando ai versi iniziali dell’intensa Beltà dei pendolari, penso al “pendolarismo” come condizione dell’essere. Tra coloro che lo hanno scelto a vita ci sono io. Da “pendolare” mi sento libero di uscire in qualsiasi momento dalle gabbie sociali e culturali che mi circondano. E la poesiola di Lillo me ne ha convinto ancora di più, in un istante fugace, di lunedì mattina.