Fottuto “cuore” ci porti via Mango, gran bella voce della musica italiana
La notizia di Mango stroncato da un infarto mi è apparsa come uno scherzo di cattivo gusto. Non volevo crederci. Forse ha ragione Enrico Ruggeri a tuonare dalla sua pagina Facebook: “Ora leggo belle frasi da giornalisti che non andavano da anni a un suo concerto, radio che non passavano le sue nuove canzoni e discografici che non avevano più voglia di investire su di lui”. Parto proprio da questo misto di dolore e rabbia.
Giuseppe Mango, una delle vocalità più interessanti del panorama musicale italiano, è rimasto l’outsider per eccellenza al tempo in cui la musica si è liquefatta e Lei verrà, che fece fare un botto di soldi ai potenti della Fonit Cetra, conserva nel suo isolamento musicale i canoni della ballata pop che si veste di world music.
Ho conosciuto Mango al Festival di Sanremo del 2007. Ci incrociammo per strada e mi restò impressa questa sua dichiarazione: “Devo molto al palco dell’Ariston. Penso che chi faccia il mio mestiere debba tenersi alla larga da ogni forma di snobismo”. In questo Mango aveva proprio la veracità dei lucani che sanno apprezzare le occasioni della vita. Mango si era portato con sé la Basilicata, proprio in quella vocalità capace di smuovere i sassi di Matera per fare della sperimentazione il punto di congiuntura con la voce che si fa strumento.
Detesto i famigerati “coccodrilli”, che fanno a volte di noi giornalisti, allevati nello spettacolo, dei viscidi avvoltoi. Lo tiravi fuori appena giungeva in redazione la triste notizia e ti affidavi a parole surgelate piuttosto che a riflessioni postume. Nel caso di Pino Mango il “coccodrillo” è stato utile a tutta quella ciurma, a cui Ruggeri in parte faceva riferimento, che lo ha dimenticato strada facendo.
Pino Mango non ha bisogno del rimorso post-mortem che scatta tra gli addetti ai lavori. Le dimenticanze si pagano e a caro prezzo. Perciò è giusto che le sue canzoni ora stiano alla larga dalle penne avvelenate dei giornalisti, dai microfoni delle radio distratte o dagli elogi funebri dei discografici che prima o poi ti lasciano crepare nella fossa dei leoni.
Le canzoni passano in eredità al pubblico che lo ha amato, che ha colto la spiritualità dietro la sua maniera di fare il musica, che ha legato gioie e dolori del privato ai versi di Mediterraneo, Oro, La rondine o agli atti di generosità come Io nascerò per la Goggi.
E pensare che Pino Mango il suo testamento lo aveva filato nei versi di questa poesiola musicata: “Nella mia città c’è una casa bianca con un glicine in fiore che sale, sale, sale su. Sulla mia città c’è un cielo grande che ti spalanca il cuore e non ti delude mai”. Ed è proprio in direzione di tale città che ricomincia il suo nuovo viaggio. Ci mancherà.