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Diario di viaggio: Berlino e la memoria sfilacciata

Rosario PipoloDopo sette anni di assenza da Berlino, pare che la capitale tedesca si sia rassegnata all’affermazione di Scheffler per cui “é una città condannata per sempre a diventare mai ad essere”. 

Proprio questa ansia del divenire costantemente si lascia alle spalle il peso di chi non vuole essere ricordata più come “la città del Muro”, ma come il territorio che sfreccia verso il futuro.
Le gru che accerchiamo la vecchia Berlino Ovest sbranano le prospettive sopravvissute fino all’alba del nuovo millennio e Alexander Platz, crocevia di Berlino Est, è stata trasformata in un circo commerciale.

I vezzi delll’architettura contemporanea riescono sempre a sorprenderti, dall’armonia di Potsdamer Platz alla spavalderia della stazione centrale che si apre su Europaplatz. La crisi c’è e si sente: la sera i 3.000 metri di Rossmann, il mega store sulla Friedrichstrasse, contornano un vascello fantasma tra scaffali di libri, musica, oggettistica.

Lo scandalo delle emissioni della Volksvagen, icona di tutto il Paese, sembra così distante ai berlinesi che una coppia alla fermata dell’autobus mi dice senza esitazione: “L’onestà non è né da tutti né per tutti”.
Kreuzberg, tana dei Turchi a Berlino, da una parte è “il quartiere dei balocchi” della bella gioventù, sommersa dalla notte dei bagordi; dall’altra, lungo la Bergmanstrasse, è l’arcipelago dei localini dove ritrovarsi a bere o a mangiar un boccone.

Le briciole della Cortina di Ferro sono finite intrappolate nel sigillo del souvenir, perché in fin dei conti soltanto in minuscole oasi come il museo del Check Point Charlie riusciamo a fare i conti con la storia.

La bellezza della musica ci salverà? Sì, perché sull’altare della Philharmonie, casa della Filarmonica di Berlino, il tempo sembra sospeso. Ed è proprio questo stadio di sospensione che ricongiunge la memoria sfilacciata della capitale tedesca agli angeli custodi della memoria, ormai lontani dal cielo sopra Berlino.

E’ notte fonda. Vago nel buio. L’ultima luce è quella della Philharmonie lungo la Herbert-von-Karajan-Straße. Ich bin ein Berliner, ma restituitemi la Berlino dell’essere.

25 anni fa giù il Muro di Berlino. Quanti ne abbiamo ricostruiti da allora?

Rosario PipoloE’ risaputo che io non ami gli obblighi delle ricorrenze e degli anniversari ma mi piace commentarli. Ricordo le immagini in tv la sera del 9 novembre del 1989 che mostravano la caduta del Muro di Berlino. Mi colpirono gli abbracci e le lacrime di uomini, donne e bambini.
Non avevo l’età giusta per comprendere le sfaccettature dell’avvenimento. Non ne furono all’altezza i miei insegnanti di allora, la cui preoccupazione era quella di rincorrere il diktat dei programmi ministeriali.

Per tornare indietro di 25 anni non ripescherò dal mio archivio la prima pagina del quotidiano il Mattino con la notizia della fine della Cortina di Ferro, prezioso dono di nonno Pasquale che mi fece piccolo archvista della memoria storica. Piuttosto rovisto nel mio viaggio a Berlino del 2008, in cui per la prima volta mi trovai faccia a faccia con un pezzo del Muro. Fino ad allora, l’unica Cortina toccata con mano era quella disegnata sulla copertina dell’album The Wall dei Pink Floyd.

Le lunghe scarpinate a piedi attraverso la Berlino Est e quella Ovest mi fecero raccattare i pezzi mancanti. Alcuni tasselli importanti me li portai via dopo la visita al museo del Checkpoint Charlie, ovvero il posto di blocco sul confine del Muro di Berlino. Quel viaggio mi incoraggiò a riflettere e a staccarmi dall’odioso e qualunquista pregiudizio che vorrebbe il berlinese come un austero tedesco. I Berlinesi sanno bene cosa sia vivere una vita divisa.

Dovremmo saperlo tutti noi che, negli ultimi 25 anni, abbiamo continuato ad alzare altre Cortine di Ferro, dentro e fuori l’Europa, pensando che ci bastava un “Muro simbolo” abbattuto per avere la coscienza pulita.

Diamo un valore aggiunto a questo anniversario e interroghiamoci: quanti muri alziamo ogni giorno nella nostra vita? I muri che impediscono ai legami di ricercare gli orizzonti perduti; i muri sul posto di lavoro che trasformano la produttività in guerriglie meschine; i muri tra genitori e figli che offuscano il confronto generazionale; i muri che negano ad una storia di vita di essere protagonista dell’esistenza; i muri che fanno delle divergenze religiose, politiche e sociali l’opportunità di muovere piccoli passi sulla ricchezza della diversità.

Il “Muro simbolo” è a terra da 25 anni. Quando cominceremo a darci da fare per abbattere gli altri?

Muro contro muro, Berlino 20 anni dopo

L'abbatimento del Muro di Berlino

Rosario PipoloIl 5 novembre gli U2 suonano gratis a Berlino per ricordare i 20 anni della caduta del Muro. Chi lo avrebbe detto il 9 novembre del 1989 che Bono e compagni, reduci allora dalla pubblicazione del loro primo album-documentario (Rattle and Hum), si sarebbero trovati a suonare anni dopo davanti alla Porta di Brandeburgo. Io mi ricordo le immagini in tv di quel giorno: un fiume di persone si spingeva lungo la Bornholmer Strasse. L’abbattimento fisico della cortina di ferro fu fiseologico, quel passaggio da Est a Ovest richiamò all’appello i misfatti della storia, e la gioia e gli abbracci tra le persone furono incontenibili.  Eppure nessuno ha saputo spiegarmi davvero cosa ci fosse dietro e davanti al Muro. L’ho capito soggiornando a Berlino, riflettendo alla Casa museo del Checkpoint Charlie, un luogo intimo per raccogliere storie, testimonianze raccapriccianti, soffermarsi sui particolari. Berlino, 20 anni dopo, ha lasciato in giro pochi brandelli di muro. In un sondaggio dei primi mesi del 2009 risulta che il 51% dei tedeschi rimpiange la cortina di ferro perchè dopotutto la massima vale ovunque: si stava meglio quando si stava peggio. Il muro del “disfattismo” sotto le vesti del rimpianto si scontra con l’altro muro religioso e ideologico, eretto in Europa tra l’89 ed oggi. La nostalgia non porta da nessuna parte, ma la spericolatezza di chi dovrebbe guidarci  è ancora più disastrosa. Vivrò questo anniversario con una punta di ironia, riguardando il bel film  di Wolfgang Becker Goodbye Lenin!.