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Lucky Planets, cartolina musicale da Napoli

Roberto Murolo e Totò

Rosario PipoloCosa ci fanno un giornalista curioso e due discografici partenopei della vecchia guardia a condividere un aperitivo lampo nella uggiosa Milano? Non parlano del più e del meno, ma di canzoni napoletane: ci voleva un’etichetta discografica come la Lucky Planets per mettere al suo posto alcune gemme musicali nate all’ombra del Vesuvio. E poi lo sappiamo bene che il canzoniere partenopeo contemporaneo meriterebbe una volta per tutte di essere ricatalogato. Giancarlo Spadacenta ed Enzo De Paola sembrano due personaggi usciti da un film musicarello: il primo è colui che ne ha viste di cotte e di crude nell’industria discografica; il secondo è il classico napoletano “appassionato” che staresti lì ad ascoltare per ore. Tra un Martini e noccioline, Enzo passa con disinvoltura a raccontarti dalle serate sul terrazzino di casa Gragnaniello ai ricordi vaporosi con Roberto Murolo. Gli brillano gli occhi quando evoca Roberto che lo salutava ogni sera dal balconcino o i tempi andati di Napoli e del suo sound. Sostengono che la musica sia finita con Internet, nonostante vendano i loro dischi anche on line! Ed io replico: “Siete testardi. Perché non investite sulla musica dei talent show, dei “pacchi” o di Alessandra Amoroso?”. Mi fulminano con lo sguardo per questo oltraggio e mi regalano la ristampa di Quanno figlieto chiange e vo’ Canta’ di Peppino Gagliardi, un disco poetico fatto di piccole meraviglie, dove sentimenti e stati d’animo si muovono in punta di piedi. E pensare che un nastro di Gagliardi era finito tra le mie mani quando ancora girovagavo per casa a carponi: papà lo aveva regalato a mamma con una radio nel giorno del loro fidanzamento!  

L’alluvione di Messina e le “Mani sulla città”!

L'alluvione a Messina

Rosario PipoloIl nubrifagio che ha colpito il messinese fa tornare nella nostra memoria la parola allarmante: abusivismo. Quell’abusivismo edilizio che è stato la fortuna di pochi e la sfortuna di molti (dipende dai punti di vista), quello fatto a regola d’arte per inquinare le prove e, senza mezze misure, non mettere in allarme le coscienze dei quaquaraquà. Nella mia ultima permanenza estiva in Sicilia, mi sono fermato una notte ad una manciata di chilometri da Cefalù. Alloggiavo in una casa che era praticamente sulla spiaggia. Quando ho chiesto come fosse possibile, mi hanno rimproverato: “Duttu’, ‘un si preoccupasse. Siddu è, sta casa fa a fine ri lavutre, dà sutta u mare” (Tirate a campare. Male che va questa casa farà la fine delle altre, lì in mezzo al mare). E dire che neanche io potevo controbattere, provenendo da una città come Napoli che di abusivismo ne sa qualcosa (Riguardate in dvd Mani sulla cìttà di Rosi). Se ripenso allo scempio fatto alle falde del Vesuvio e a tutti quei comuni in pericolo in caso di risveglio del “buon vulcano”. E cosa dire delle nuove costruzioni in quelle zone? Messina e dintorni hanno un doloroso conto da pagare, ma mi pare ora che si faccia una perlustrazione in tutta Italia per individuare quelle aree che possono essere la nuova tragedia di domani!

Cartolina da Istanbul

burka

Rosario PipoloL’unica amica turca si è trasferita in Canada e così non avevo nessuno che mi guidasse in questa affacciata in Turchia. Arrivare ad Istanbul alle 6 del mattino, dopo otto ore di autobus, è un’esperienza unica: l’alba che si alza sulla città sembra uscita da un acquerello e il brusio delle persone mattiniere in centro diventa il sottofondo insostituibile di un fine settimana d’agosto. Istanbul ce l’ha la faccia di Napoli e, cazzeggiando tra la sponda europea e quell’asiatica, ritrovo i vicoli della mia città. “Nu turco napoletano” sogghignò Eduardo Scarpetta (rivedete pure il film di Mattioli con Totò!) e poi dice che ogni mondo è paese, anche se al posto dei calzoni fritti o delle pizze accartocciate ci sono i kebab. Ci sono le dovute eccezioni naturalmente: il burqa ad esempio. E immaginare le nostre ragazze “ciacione” partenopee andarsene in giro tutte coperte è roba fantascientifica. Scherzi a parte, la Turchia si vanta di avere abbandonato da un pezzo gli estremismi dell’Islam. E non mi riferisco al semplice velo sul capo delle donne, ma al così detto “burqa afgano”, che copre le donne dalla testa ai piedi. Purtroppo in giro ne ho viste decine e decine di donne e ragazze coperte integralmente. Non era l’abbigliamento a mettermi a disagio, bensì provare a dare un senso a quella scelta. Mi sembrava di essere più in Iran che nella Turchia che immaginavo, quella che anela ad entrare nell’Unione Europea. La convivenza pacifica con l’Islam è un gradino obbligato per sentirci “europei” nel XXI secolo, ma l’accettazione del burqa integrale è un’immagine che voglio cancellare dalla mia cartolina da Istanbul. Un paese che sbandiera la sottomissione della donna e nasconde ancora scheletri nell’armadio (il genocidio armeno)  è davvero maturo per far parte di quell’Europa che eleva i valori di eguaglianza e rispetto reciproco?

Napoli, Luigi Cesaro butta giù dal trono Bassolino e Iervolino

palazzo matteotti150La fine del Vicerè Antonio Bassolino è un dato di fatto. Dopo lo scandalo della “monnezza”, finisce un’epoca per l’imperatore così come per “la lady di ferro” della vecchia Balena bianca, che racimolava voti parocchia per parrocchia. La vittoria di Luigi Cesaro alle elezioni della Provincia di Napoli segna un passaggio epocale nella politica territoriale e non è legata al partito che lo rappresenta. Gigino – così lo chiamano gli amici appassionati – sarebbe arrivato a Palazzo Matteotti ugualmente, anche se fosse stato candidato in una lista civica. I napoletani hanno capito che bisogna rimboccarsi le maniche, puntare alla persona e mettere da parte anche il colore politico se è necessario.  Mentre il neo Presidente offre all’avversario Nicolais un assessorato, tacciono quelli con la puzza sotto il naso:  per alcuni il politico santantimese era “il paesano della provincia” che si è fatto strada “inviando mozzarella di bufala” a Palazzo Chigi. Adesso è l’ora del riscatto in una realtà complicata e piena di contraddizioni, dove però non può essere sempre tutto “malavitoso”. 

Napoli, Totò e l’oltraggio al cimitero cittadino

tomba150Ha destato scalpore la notizia di alcuni giorni fa del furto dello stemma nobiliare sulla tomba di Totò. Nessuno si sarebbe mai aspettato che i napoletani oltraggiassero il luogo dove riposa il Principe del sorriso. Per fortuna l’oggeto è stato ritrovato, ma Liliana De Curtis picchia duro e minaccia di chiudere il sepolcro. Comprendo l’indignazione e la rabbia, ma privarci di porgere il nostro omaggio a questo grande artista sarebbe un grave errore. Piuttosto bisognerebbe mettere in discussione la pessima gestione del cimitero da parte del comune di Napoli.  E non mi riferisco soltanto all’area del monumentale, ma anche a quella del “cimitero vecchio” tra Poggioreale e la Doganella. Ci sono passato alcuni giorni fa a visitare i miei nonni e ho ritrovato alcune zone totalmente abbandonate. A questo punto mi chiedo: non è forse più “oltraggioso” il totale disinteresse da parte delle istituzioni locali e la strafottenza di alcuni dipendenti a tutelare lo storico cimitero cittadino? Eduardo De Filippo aveva ragione a sostenere che “i vivi fanno più paura dei morti”. In questo caso, aggiungerei infangando la memoria dei nostri cari defunti!

Benedetta e l’alba di un nuovo giorno

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Rosario PipoloQuando ti ho vista piccina piccina tra le braccia di tua madre e mi sono accovacciato nei tuoi occhi, mi hai riportato all’estate del 1992. Benedetta, ho conosciuto tuo padre allora, durante una vacanza studio a New York: lui era un milanese con la faccia da secchione (mi incantavo quando mi parlava di James Joyce) ed io un napoletano con la faccia stralunata, malato di teatro e musica. Lo sai quando siamo diventati amici per la pelle? Condividendo una notte indimenticabile al Greenwich village, girando tra i locali, con pochi soldi in saccoccia e sperando di incrociare Bob Dylan o Woody Allen. Rincasando gli ho chiesto un prestito di 50 dollari per comprare il primo lettore CD! Me li ha dati e si è fidato di un napoletano. Quando sono stato a Milano al concerto di Paul McCartney, mi ha ospitato a casa sua ed ho trascorso delle belle ore. Non c’era Internet , Facebook o le email per comunicare, ma siamo rimasti in contatto. Quando nel 1998 sono venuto a Milano con una valigia piena di sogni, tentando in vano di trasferirmi, tuo padre mi ha aiutato in tutti modi pur di non farmi sentire “un emigrante”. Ricordo quando mi ha accompagnato alla stazione a prendere un Espresso notturno (un treno da film in bianco e nero!) che mi avrebbe riportato a Napoli. Mi ha dato una paccata sulla spalla come per dire ” i sogni possono esistere se lo vogliamo”. Ho pianto dallo sconforto, ma lui non se ne è accorto. Tutto questo per condividere con te, Benedetta, la voglia di sognare, sì con te che sei venuta al mondo da poco più di un mese. Saranno in tanti a voler farti indossare una camicia di forza, ma con un paio di sogni in tasca non ti sentirai mai sola. E’ bello ritrovarsi, soprattutto di questi tempi in cui i legami veri sprofondano nella superficialità. Ho ritrovato Francesco, marito e papà, e non è poco. Ti sono grato, Benedetta, perché nel tuo sguardo ho ripescato qualche briciola di me, all’alba di un nuovo giorno della tua vita, un dono immenso. Felicità.

Napoli, facci sognare almeno allo stadio!

napoli150Non sono un tifoso incallito né uno sportivo, ma quando gioca il Napoli in tv mi fermo con entusiasmo a vedere la partita. E’ un modo per far tornare a galla il napoletano sanguigno che c’è in me. E’ vero che la squadra partenopea si  è giocata ai rigori con la Juventus la possibilità di andare in semifinale per la Coppa Italia, ma ha lanciato segnali positivi per essere il grande Napoli di una volta. I tempi di Maradona? Non credo che quelli ritorneranno più, ma ci sono i presupposti per tornare a dominare in campo. La città ha sempre visto nella squadra azzurra un solido riscatto dalla problematiche sociali. E’ accaduto ai tempi del Napoli di Ferlaino così come oggi con quello di Reja. Nei giorni in cui l’antica Neapolis è rappresentata da amministratori irresponsabili e da un Sindaco che dovrebbe dimettersi, mi solleva vedere una gioventù calcistica che dà l’idea di cambiamento. La restaurazione bassoliniana di facciata è da un pezzo sul viale del tramonto, nonostante c’è chi si ostina a credere il contrario. Una coppa o uno scudetto a breve darebbero ai napoletani un sospiro di sollievo, con o senza la complicità miracolosa di San Gennaro . Che almeno allo stadio il cielo torni ad essere azzurro perché Napoli non sia solo “gomorra” o “corruzione”.

Nel covo dei Terrasonora

terrasonora150Mi sono impigrito in questi giorni perché tra le band emergenti ci sono migliaia di proposte e troppo fumo in giro. Abbandono per un po’ il pop e il rock e naufrago tra la musica folk, quello di matrice partenopea. Il primo pensiero va alla Nuova Compagnia di Canto Popolare, ma quella è acqua passata. Rimane per fortuna un testamento musicale, ricco ancora di proposte e provocazioni. Di recente sono tornato a casa e allo svincolo autostradale di Afragola, alla periferia di Napoli, mi sono trovato in auto con un gruppo di musicisti. Sono i Terrasonora (www.terrasonora.it), che apprezzo molto da quando ho tirato fuori dalla mia sterminata discografia il loro album Core e Tamburo. Mi hanno invitato a visitare il loro “covo”, in un palazzo pittoresco delle vecchia Afragola. Ho assistito alle prove, da cui mi sono portato via una riflessione. A Napoli e dintorni c’è un’innata malattia, tutti pensano di essere musicisti e cantanti, alcuni hanno addirittura la presunzione di atteggiarsi a piccoli divi. Sarà la mia deformazione professionale, ma io ci vado cauto. I Terrasonora hanno avuto il coraggio di incidere un album, producendo la stessa e identica atmosfera che si respira alle prove, fatta di quelle piccoli imperfezioni a cui il mercato discografico ci ha disabituiti nei giorni grigi del “perfezionismo digitale”. Con Gennaro, Raffaele e Antonio Esposito, Fabio Soriano, Antonello Gajulli, Francesco Ferrara e Gaia Fusco la musica ritrova emotività ed umanità, la folgore della tradizione e la sperimentazione del futuro (visitate il loro Myspace). E se fossero loro in qualche modo gli eredi della Nuova Compagnia? Ne hanno di strada fare, ma sono coraggiosi, umili e professionali, tanto che in alcuni paesi europei si parla già di loro. Sarà una maledizione, ma ogni volta che vado ad un concerto dei Terrasonora non riesco mai a raggiungerli. Sarà la volta buona per gettar via il televisore, e trovarmeli un bel mattino nel soggiorno di casa a fare una jam session tutta per me!

Per Lucia, regalo di Natale

nonnatif150Napoli, 24 dicembre 1945. E’ la vigilia di Natale. In serata una giovane coppia, sposata da pochi mesi, si ferma dinanzi alla vetrina della pasticceria Pintauro a via Roma. Lucia è incinta e Pasquale è disoccupato da un po’ di tempo. Lucia guarda i dolci e sofferma lo sguardo su una cascata di roccocò (tipici dolci natalizi partenopei). Pasquale mette le mani in tasca e riesce a sentire a malapena la forma di una monetina. Entra in pasticceria e mostra al commessa quel soldo, che gli vale mezzo roccocò. Mentre la sposa mangiucchia quel dolce natalizio, Pasquale le prende la mano e la conduce verso piazza del Plebiscito. E’ racchiuso in quel minuscolo gesto d’amore la loro cena della Vigilia di Natale. Non è né l’incipit di un romanzo né il primo capitolo di un romanzo d’appendice che fa il verso a Charles Dickens. La bambina nel pancione di Lucia era mia madre, che sarebbe nata cinque mesi dopo. Puntualmente il 24 dicembre mi ritrovo a Napoli, con gli occhi appannati appoggiati alla vetrina della pasticceria Pintauro, e faccio vivere nel mio cuore quell’istante come se Lucia fosse ancora lì. Lucia Alterio, mia nonna, ha raggiunto la sua metà durante le feste natalizie di dodici anni fa. Da allora per me l’albero di Natale si è spento. Eppure sono questi ricordi, racchiusi nel mio scrigno segreto, a farmela cercare nelle cose belle della vita e farmi canticchiare un melodioso motivetto di Riccardo Fogli che più o meno faceva così: “Per Lucia ci sarà la luna più piena ma non basterà. Io vorrei continuando un mare di grano per cullarla ogni tanto. Buonanotte quando spegnerai indosserai le stelle e sognerai, avrai un mare calmo dove navigare e un silenzio quando vuoi parlare”. Pensando a te, fino all’ultimo respiro. Buon Natale, ovunque tu sia.

Presepe, napoletanamente souvenir

MICHELA BRAMBILLA, SILVIO BERLUSCONIAl di là della storia ufficiale del Presepe, diciamo pure che la rappresentazione della Natività per un napoletano è qualcosa di speciale. Senza essere troppo bigotti o moralisti, ognuno sul presepe ci mette chi ci vuole, arrivando persino ad affiancare Pulcinella ai Re Magi. E’ così perché la magia del Natale partenopeo è la convivenza tra sacro e profano. Per me l’allestimento del presepe è stato sempre un atto magico ed emozionante. Nonno Pasquale mi ha insegnato a posizionare i pastori e mi spiegava il ruolo di ognuno. Lui aveva una passione per Gaspare, Zuzzurro e Baldassare e per Benito, il pastore dormiglione. Mi ripeteva: “Non fare come Benito, perché chi dorme non piglia pesci”. Tornando tra i vicoli di San Gregorio Armeno a Napoli ho ritrovato i miei presepi preferiti, anche se non mi entusiasma troppo il folk che fa a cazzotti con la religiosità. Per una statuetta di Barack Obama, divo del presepe 2008, mi hanno chiesto quasi 400 euro. E se Eduardo De Filippo ritornasse con l’assillo “Te piace ‘o presepio?”, cosa risponderei? Mettendo le mani in saccoccia, mi convincerei che anche l’artigianato locale è diventato un bene di lusso.