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Diario di viaggio: l’autenticità degli sposi in un autobus in Valle Camonica

Rosario PipoloNel giorno del matrimonio il cerimoniale vuole che gli sposi siano imprendibili e irraggiungibili. Baci e abbracci dopo il fatidico sì, pochi momenti durante la festa e poi il saluto con relativa fuga d’amore.
Capita pure che, nel giorno del proprio matrimonio, si mandi al diavolo il noiosissimo protocollo. Così gli sposini si mescolano agli invitati, diventando quasi irriconoscibili.

Anzi, la riconoscibilità da festeggiati non sta tanto nell’abito fiabesco, nella pettinatura impeccabile o nella scarpetta rubata al principe di Cenerentola ma in quella voglia matta di condividere con gli invitati ogni instante di questo giorno speciale, senza eccessi formali, senza l’ansia che il menu rientri nei canoni della grande abbuffata o negli obblighi mediocri che, il più delle volte, ci rendono prevedibili.

Perciò, il giorno dopo le nozze, non diamo così per scontato che gli sposi siano in luna di miele. Potreste ritrovarli, come è accaduto a me, in un autobus, di ritorno a casa con un gruppo ristretto di amici ed invitati. Questa scena ha qualcosa dello psichedelico del Magica Mistery Tour  dei Beatles perché, in fin dei conti, anche un viaggio come questo può essere visionario.

Visionario nel senso che indica il percorso per recuperare la massima del mio amico Piccolo Principe: “L’essenziale è invisibile agli occhi”. E su questa traiettoria si inserisce la perla di saggezza della nonna del mio amico Filippo: “L’autenticità delle persone si vede nei dettagli, nella loro spontaneità e non nei discorsi costruiti a tavolino”.

Anna e Luigi, nel viaggio che ha segnato il mio ritorno in Valcamonica, ci hanno dato una bella lezione: si può continuare ad essere sé stessi persino nel giorno del matrimonio.
Al termine di questo viaggio on the road con gli sposi – avrei voluto non finisse mai – ho sentito il riverbero della voce di Lucio Dalla che canticchiava Anna e Marco per l’occasione: “Anna avrebbe voluto morire, Luigi voleva andarsene lontano. Qualcuno li ha visti tornare, tenendosi per mano”.

Il finto incentivo di 25 mila euro per il matrimonio: sull’altare mi sposo con un Pesce d’Aprile!

Rosario PipoloFino a ieri pensavo che il Pesce d’Aprile più simpatico fosse quello architettato dalla Casa Bianca: Robby, il Presidente Obama in formato kid, che con la sue smorfie alla “Arnold” ha fatto sorridere mezzo mondo. Mi sono ricreduto quando mi hanno segnalato la news di un fantomatico Giornale del Corriere: 25 mila euro di incentivo da parte della Comunità Europea a chi si sarebbe sposato entro il 2015.

Una volta per sposarsi bastava un prete, invece oggi davvero vale il detto della nonna: “Senza soldi non si cantano messe”. La notizia bufala ha fatto venire “la voglia dell’altare” persino agli indecisi, perché il contributo non sarebbe stato malvagio visto i costi esorbitanti di un matrimonio al giorno d’oggi. Ho pensato subito al “mio caro Sud” dove vince il detto “Cumpà, facimme a chi mette ‘a copp!”. In vista delle nozze gli sposini subiscono lo stress dei costi e la minaccia del business gonfiato intorno al “fatidico sì”. Dalle parti mie non provate a far incazzare ristoratori, fotografi, parrucchieri e fioristi che hanno imparato a memoria la solita filastrocca: il giorno più bello per gli sposi si paga.

Venticinque mila euro di incentivo ci farebbero comodi per soddisfare anche il divimo modaiolo dei fioristi, che oggi marciano in passerella e propongono cifre da capogiro per tappeti di fiori che dalla casa della sposa arrivano fino alla chiesa. Bisognerebbe avere il coraggio di dire no a tutto questo tam tam. Non per puntiglio, bensì per la dignità che ci hanno donato i nostri “nonni contadini”.

Il matrimonio felice della contrada, in una cartolina in bianco e nero del Secondo Dopoguerra, con il monello di mio padre e i suoi amichetti che passavano da una festicciola all’altra per mangiare qualche dolcetto. La sposa era bellissima con l’acconciatura fatta dalla vicina; lo sposo era radioso nell’unica foto in posa che veniva scattata; gli invitati erano soddisfatti del banchetto nunziale preparato in casa; la festa era indimenticabile nella cornice dei fiori del giardino tra petali profumati.

Lo scherzo dell’incentivo di 25 mila euro è stato un Pesce d’Aprile utile a farci riflettere. Svendere la magia di un giorno speciale calza la stessa taglia della meschinità.

Non occorre “il boss delle cerimonie” di Real Time per sentirsi Kate alle nozze

Eugenia Sposa

Rosario PipoloPer sentirsi come Kate Middleton nel giorno del proprio matrimonio non ci vogliono di certo i docu-reality, imbevuti di folclore napoletano, che propone Real Time. E non è necessario “il boss delle cerimonie”, alter ego del wedding planner in stile meridionale, portavoce del solito e volgare “facimme a chi mette ‘a copp”. Come se poi la grande abbuffata del banchetto nuziale, l’arrivo della sposa con carrozza e cavalli o il giro in elicottero circoscrivessero il significato di un matrimonio nel cerchio dell’essenziale.

Real Time dovrebbe racimolare le storie dei matrimoni delle nostre nonne napoletane, quando sposarsi non si riduceva ad una becera e volgare pagliacciata. Le nonne che si facevano cucire il vestito nel secondo dopoguerra, quelle che promettevano amore per l’eternità, che andavano a fare il viaggio di nozze nel raggio di pochi chilometri in groppa ad un asino o su un treno, quando andava di lusso. Ci sono ancora nonne disposte a svelare i loro pudici segreti e non per smania di protagonismo da reality, ma perché sanno che il dono della memoria è impagabile.

Per sentirsi come Kate Middleton nel giorno delle nozze non occorre neanche piegarsi ai ricatti del vivere per l’apparenza. Basta sentirsi come Eugenia, la sposa di questa immagine, avvolta nella semplicità del suo abito, che ha rateizzato l’attesa per il giorno più bello della sua vita nel significato del rito, sia esso religioso o civile. Il banchetto nuziale è passato in secondo piano rispetto all’atto della promessa, alla gioia di vivere ogni attimo assieme al suo sposo, nel sogno che, come in una fiaba, ha accompagnato il passaggio dall’adolescenza all’età adulta.

“I reality sono tutti di gran moda in tv in questo momento, ma non si tratta di realtà: è solo un’altra forma estetica della fiction”, ha ribadito il regista Steven Soderbergh. Perciò è necessario toccare la realtà con mano propria. La sposa pensosa, colta in questo scatto di raccoglimento come in un fotogramma del cinema di Pupi Avati, sveste la volgarità del nostro tempo e la riveste con la memoria. Perciò Eugenia sarà ricordata come l’ultima Kate che ha inorgoglito le vecchie nonne napoletane, spose “finché morte non ci separi”.

paul mccartney e nancy shevell: il terzo matrimonio non seppellisce il dolore

Nell’estate del 1991 mi presentai al Marylebone Register Office di Londra, e richiesi una copia del certificato di matrimonio di Paul McCartney e Linda Eastman. Gli addetti mi guardarono stupiti quando si accorsero che si trattava dell’ex-Beatles. La spuntai e quella bravata di un ragazzotto incuriosì qualche anno dopo Red Ronnie. Mi invitò ad una sua trasmissione e lo mostrai per la prima volta in pubblico.

Col passare del tempo mi sono reso conto di non aver vissuto il documento come un cimelio, ma come il sigillo di una gran bella storia d’amore. Persino quando ascoltavo i primi album da solista di McCartney respiravo l’affiatamento della coppia. La mia visione infantile della fiaba d’amore si era trasferita in una casa di campagna inglese, dove il marito e la moglie condividevano amore, famiglia, passione per la vita e per il proprio lavoro. Ne ebbi conferma quando li vidi assieme sul palco la prima volta il 24 ottobre del 1989.

E’ complicato capire il dolore per la vedovanza, per la perdita della compagna di una vita. Nonostante il muro di vetro mediatico, abbiamo percepito il disorientamento dell’ex Beatles dopo la scomparsa prematura di Linda. Tuttavia, si fatica a guardare lo scatto di Paul McCartney invecchiato dopo la celebrazione del  terzo matrimonio con la ricca ereditiera Nancy Shevell, nello stesso posto dove si unì alla prima e adorata moglie. La mia non è né la sindrome di possessività del passato né l’attacco di panico nostalgico che potrebbe tornare riascoltando dal vivo  My Love. McCartney dovrebbe ricantarla il prossimo 27 novembre nella tappa italiana del suo tour al Forum di Assago.

E’ piuttosto il tentativo spicciolo di capire quale sia l’ultima strada da percorrere per un comune mortale o una rock star nell’amaro tragitto della vedovanza: seppellire sotto terra il dolore o restare da soli per condividerlo con il resto dei proprio giorni?

 Macca sposa Nancy

  McCartney in Italia: due date a Novembre

 Paul e Linda, Just married!

 

Matrimonio alla napoletana: o la busta o non mi sposo!

Busta o non busta, questo è il problema. Mica quella dell’immondizia, ma la bustarella con i soldi che non può mancare ad ogni matrimonio napoletano che si rispetti. Tutti lo snobbano, ma poi tutti vogliono il regalo in cash. Con la crisi che c’è in giro, ritrovarsi tra gli invitati di un banchetto nunziale non è confortante per niente.
Una volta le indagini si facevano via telefono, adesso basta aggirarsi sulle bacheche dei social network per sondare gli umori e capire quanto bisogna sborsare per far felice i neo sposini. Tuttavia, il regalo in busta è anche l’ultima spiaggia per pagare il conto salato della cerimonia: chi famiglia napoletana rinuncerebbe mai all’evento sfarzoso? Nel 1971, un cugino di mia madre, organizzò il matrimonio facendo i conti sui regali in denaro degli invitati, senza calcolare il rischio di non raggiungere la somma necessaria. Nonna Lucia fu molto chiara con nonno Pasquale dopo il taglio della torta e gli bisbigliò: “Pasqua’ dobbiamo raddoppiare la somma per Enzuccio, altrimenti restiamo qui a lavare i piatti”.
Quarant’anni fa come oggi la ruota gira sempre allo stesso modo, con una differenza: nel nuovo millennio i matrimoni durano il tempo di una stagione. Insomma, gli sposi dovrebbero impegnarsi con gli invitati a restituire il premio in caso di divorzio o separazione entro i primi 36 mesi di vita coniugale. Per non parlare dei separati e divorziati che circolano in Italia, molti dei quali hanno la faccia tosta: si risposano per la seconda, terza e quarta volta e pretendono pure la bustarella! E poi non ha ragione zia Concettina a starnazzare: “Il mio dovere l’ho fatto al primo matrimonio. Mmo’ basta”.
Scampato il pericolo della lista nozze, le alternative sono due: riciclare un vecchio regalo inutile, trafugato da qualche altra ricorrenza oppure donare i soldi agli sposi in sei comode rate.
Povero papà mio, meno male che non legge i miei articoli, altrimenti creperebbe dalla vergogna. Casomai salirò all’altare, ho già la soluzione: matrimonio “sponsorizzato” da piccole aziende agroalimentari locali,  senza dover chiedere niente a nessuno, con la speranza di poter scrivere con una bomboletta spray: “…E vissero felici e contenti”. O quasi!