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Lo Sport ci salverà

Mentre la politica italiana gioca a dadi in vista delle prossime amministrative e i No Vax fanno rumore per nulla, c’è un’immagine che ci rassicura in quello che si prospetta un’autunno caldo tra le insidie del filo spinato post-pandemia: i pallavolisti italiani che balzano da campioni sul tetto d’Europa. Lo Sport ci salverà dalle acque torbide dell’incertezza?

LO SPORT CI SALVERÀ

Per una volta non è la malattia del calcio – chapeau alla Nazionale di Mancini che ci ha regalato un’estate azzurra – o il campanilismo all’italiana del campionato ad oscurare il resto. Si tratta dello Sport con la “Esse” maiuscola, che spesso e volentieri nella vecchia tv generalista dovevamo andare a cercare da nottambuli: è scoprire l’acqua calda se ribadiamo che il pallone è re dei botteghini e degli ascolti televisivi.

FRAGRANZA

Di questi sportivi campioni, mi ha colpito la fragranza, negli occhi accesi dei pallavolisti, nel campione azzurro in lacrime che si scusa con la fidanzata per averla trascurata o la dedica alla sua piccina, nell’abbraccio lungo di Valentina (Rodini) e Federica (Cesarini), canoiste Oro alle Olimpiadi di Tokyo. Un profumo autentico che va controcorrente rispetto alla contraffazioni di oggigiorno.

RADICI

Mi hanno emozionato Myriam (Sylla) e Paola (Egonu), le due azzurre che hanno riportato il Volley femminile nell’olimpo degli dei e la cui italianità ha radici lontane: la prima figlia della Costa D’Avorio, la seconda della Nigeria.
La mia generazione è figlia di emigranti dal Sud Italia, chi più chi meno, e tanti campioni sportivi di oggi sono l’espressività della nuova Italia meticcia che raccoglie nella multietnicità extra-europea i germogli del futuro.

DISABILITÀ

La montagna di medaglie azzurre collezionate alle Paralimpiadi di Tokyo ha dimostrato che lo sport è un grande motore per combattere la sedentarietà della disabilità e agevolare l’integrazione sociale.
L’Oro di Ambra (Sabatini) nell’atletica, l’Argento di Stefano (Raimondi) nel nuoto, il Bronzo di Federico (Mancarella) nella canoa, l’Argento di Vincenza (Petrilli) nel tiro con l’arco o l’oro record mondiale di Antonio (Fantin) nel nuoto hanno tratteggiato con l’evidenziatore un bel pensiero dell’ex giocatore di baseball Jim Abott: Non è la disabilità che ti definisce, ma il modo in cui affronti le sfide che la disabilità ti presenta.

ANTIDIVISMO

Matteo (Berrettini) con la sua racchetta in finale sul prestigioso campo di Wimbledon ha restituito dignità all’individualismo sportivo del tennis, chiarendo che si può restare sé stessi anche nelle imprese più ardue dando un calcio in culo al divismo. Cosa dire del Matteo sobrio davanti al Presidente del Consiglio, al ritorno da Londra insieme alla Nazionale di Mancini?
Lui, senza allori sulla testa, è stato un bell’esempio per tutta la classe dei suoi coetanei ventenni, annegati spesso nel divismo di cartone a tutto social.

TRASFORMISMO

Lo Sport ci salverà? Sì, questo Sport e i suoi campioni autentici ci salveranno dal trasformismo canonico che invade ogni angolo delle nostre vite terrene, spingendoci su una zattera lontano dai Tale e Quale Show e Grandi Fratelli Vip televisivi, dall’insulso camaleontismo politico che si aggrappa all’ultimo Green Pass, dalle scorregge social che puzzano a seconda del giro di boa.
Il trasformismo cronico non ci mancherà finché sbatteremo contro un muro di parole come queste di Alex Zanardi:

Quando mi sono risvegliato senza gambe

ho guardato la metà che era rimasta, non la metà che era andata persa.

Diario d’estate: Alex Schwazer e il doping azzurro alle Olimpiadi

Pensavamo di ricordare le Olimpiadi di Londra 2012 per la faccia afflitta di Federica Pellegrini che, dopo la batosta olimpionica, è finita tra i ritagli dei giornali riservati alle reginette del gossip. Mentre ci chiediamo quanto durerà la riflessione per la nuotatrice veneta, dobbiamo ingoiare un brutto rospo, quello del doping di Alex Schwazer. L’amarezza è doppia. Uno perché di mezzo c’è l’atletica. Due perché “accadde” ai giochi olimpici, che rappresentano l’utero dello sport, cantato e raccontato da lirici, poeti, scrittori.

A questo punto meglio tornarsene a casa dignitosamente con la coda tra le gambe alla maniera delle Pellegrini, che sfilacciare agli occhi del mondo il sorriso del campione dopato. Alla fanghiglia del calcio italiano ci stiamo abituando – tappate la bocca al fetente del calcio scommesse che vuole il lasciapassare dello stinco di santo – ma al colpo basso di Schwazer no. Al di là dello steccato del linciaggio pubblico sul web, si finisce sempre a fare il giochino dello strizzacervelli tra la fragilità dell’atleta e il desiderio spasmodico di vincere, di essere a qualsiasi costo primo tra i primi.

Il perdono o l’assoluzione stanno al di fuori del perimetro di queste riflessioni. E se questo non è il caso di giudicare, risulterebbe (dis)umano non concedersi il lusso di un’opinione. Chi tradisce la lealtà dello sport pensa di cavarsela con la squalifica dalla gara. Invece no. Non sa che la discesa agli inferi comincia dopo, quando con il passare tempo si prende coscienza che perdere la “sportività” significa rinunciare per sempre all’umanità, l’unica medaglia che dovrebbe restare per sempre sul petto di un vero campione.
Degli esseri bionici non sappiamo che farne, perché come cantò Lucio Dalla al suo amico Ayrton “un vincitore vale quanto un vinto”. Alex Schwazer non ha perso il titolo di campione inghiottendo “le false vitamine”, ma rinnegando l’unica ragionevolezza che fa di un atleta olimpionico il poeta dello sport.