50 anni con i Beatles oggi: Perchè un minorenne scappò a Liverpool
Non c’è nessuna icona della musica contemporanea che sia legata ai luoghi natali come i Beatles. In giro ci sono tante città-santuario, come la Graceland di Elvis Presley, ma non fanno altro che imbalsamare il mito. Per Liverpool invece è tutt’altra storia: quei posti sono vivi, Penny Lane o Strawberry Fields concimano nel territorio urbano la working-class di un tempo, tra dock e “ red bricks on the wall”.
Almeno lo erano fino a vent’anni fa, prima dell’invasione dei pellegrini del low cost di Ryan-air, prima che il comune optasse per la scelta infelice di cambiare alcune strade, di abbattere edifici fatiscenti, di dedicare ai Beatles tributi kitch qui e lì.
Io mi sono perso invece proprio tra quegli edifici fatiscenti, nell’estate del 1990, ancora minorenne, alla ricerca di posti e persone che avevano ruotato attorno ai quattro ragazzotti di provincia anglosassone: dalla vicina di casa di Paul alla birra con Williams, il primo manager; dall’abbraccio con un fantomatico zio di John alla passeggiata assieme ad una donna, figlia di una Anne che in gioventù aveva pomiciato con Pete Best.
Mezzo secolo fa, proprio oggi con il singolo “Love me do”, i Beatles entrarono nella storia personale di più generazioni; venticinque anni fa bussarono alla porta della mia adolescenza: ci sono entrati, ci sono rimasti per sempre, con costanza.
Sono stati la colonna sonora di gran parte della mia vita, ma non mi sono bastate le canzoni, gli album, i cimeli racolti nel tempo. Volevo guardarli da vicino, da giovanotti grezzi di periferia, prima che la Londra di Abbey Road li risucchiasse, trasformandoli in quattro baronetti metropolitani e sofisticati.
Mi accaparrai una mappa e scovai una cinquantina di posti, anche minori, che spesso parlavano più di quanto magari facessero Menlove avenue o il Cavern Club: una scalinata dove John e George si era fermati; il letto di un ospedale pubblico dov’era nato Ringo; un incrocio qualunque che aveva strappato via a John la madre Julia.
Le canzoni dei Beatles sono venute prima e dopo. Giusto in mezzo però c’è Liverpool, quella di vent’anni fa, che aveva raccontato un miracolo avvenuto nella Gran Bretagna del secondo dopo guerra: la classe operaria andò in paradiso con quattro sbarbatelli, cresciuti nell’Inghilterra “cafona”, che mischiarono sogni, poesia e musica come se fosse un gran bel gioco, destinato per volontà degli dei a non finire mai.
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