1 maggio, quale Festa del Lavoro?
Per chi se ne ricorda il 1 maggio è la Festa del Lavoro. Nonostante le urla dei sindacati, la tarantella finisce con i soliti bla bla bla. Del resto pure chi un lavoro ce l’ha, non ha tutta questa voglia di stappare lo spumante. L’aria che tira è deprimente tra disoccupazione, incertezze, precarietà e le morti bianche dimenticate. Come fai a confortare chi ti viene incontro, di qualsiasi età, e ti racconta la sua triste storia? Ci siamo passati un po’ tutti. C’è chi ha perso il posto di lavoro; c’è chi passa il giorno ad inviare curricula e si vede sbattuta la porta in faccia; c’è chi non ce la fa ad arrivare a fine mese; c’è chi a 50 anni si sente dire che è troppo vecchio per reinventarsi (Fabio Concato docet nel suo bel pezzo Oltre il giardino) o c’è chi vive lo stress per la scadenza di quel maledetto contratto a tempo determinato. Il lavoratore di casa nostra era mio padre e il 1 maggio a modo nostro gli facevamo festa. Nonostante la sua attività ce lo sottraesse continuamente, da ragazzo credevo che il lavoro fosse un diritto di tutti. Banalmente mi sono reso conto che non è così. L’unica consolazione di questo 1 maggio è il concertone di piazza San Giovanni a Roma, che quest’anno ci trasmette “il malumore dell’incertezza”, nel senso che a pochi giorni non conosciamo il programma definitivo. Nel 1998 ero di passaggio a piazza San Giovanni, ma quello fu un concerto piovoso. Nel backstage incrociai Julian Lennon, il figlio di John, che ad un certo punto mi disse: “Quanta gente sotto al palco. Tutti fanno festa per il lavoro”. L’erede dell’ex Beatles non aveva capito che quell’entusiasmo nascondeva altro, rabbia e amarezza, che oggi sono le stesse intraviste nel mio ultimo anno da spensierato universitario, in quella piazza. Il volume alto della musica stordisce e la speranza non è mai abbastanza.