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Blog e Sito di Rosario Pipolo online dal 2001

Parco Tivoli a Copenaghen: un’alternativa a Eurodisney?

Bisogna andare per forza in parchi di divertimento modello Disneyland per tornare ad essere bambini? Perché continuare a sottoporci a trattamenti emotivi congelati, sotto l’abbaglio di un effetto speciale o di un’animazione in 3d? Sono anni che mi annoiano i parchi a tema in Italia e all’estero. Eppure visitando il Tivoli Park a Copenaghen, tra i più antichi d’Europa, ho riscoperto la magia perduta: niente maxi schermi, niente robot, niente musical broadwayani. Eccomi nel classico luna park stile ottocentesco con cavalli di legno; auto in miniatura come quelle che si fabbricava mio padre; montagne russe uscite da vecchi film muti; spettacoli tradizionali fatti da attori allergici al portamento da star hollywoodiana. Dove è allora la magia? Nell’atmosfera, nelle centinaia di palloncini luminosi sparsi qua e là, nel mangiucchiare del soffice zucchero filato senza sforzarsi di assomigliare all’ultimo eroe di turno. In giro vedo cataloghi che offrono a prezzi bassi volo e soggiorno a Eurodisney a Parigi, ma poco su un’alternativa intelligente come il Tivoli Park. Perché non lo proponiamo ai nostri bambini? Mettiamoli in guardia perché non troveranno Shrek, ma una punta di romanticismo che li farà apprezzare il divertimento dei loro nonni. Non c’è niente di male perché in fondo si tratta di un naturale “ritorno al futuro”.

Copenaghen, un brivido in bicicletta

Sono un imbranato da sempre, anche in bicicletta. Fino all’età di sette anni marciavo ancora con le rotelle laterali di supporto. In un pomeriggio di luglio del 1980, a Paestum, mio padre mi disse: “Basta!”. Mi fece montare in bici e, dopo vari tentativi, mi lasciò andare lungo il viale. Provai un sottile brivido lungo la schiena quando mi accorsi che stavo pedalando da solo, senza il supporto di quelle maledette rotelle. Quel fremito di libertà l’ho ritrovato andando in bici a Copenaghen. La capitale della Danimarca e’ una sopresa con il suo clima gelido e le sue sfumature autunnali. Le bici al crepuscolo si trasformano in uno sciame di lucciole che anima la citta’. E poi non ne ho mai viste di cosi’ bizzarre e stravaganti: all’alba di questo mio sabato mattina, in centro ce ne erano un paio con una carrozzella per portare a zonzo i bambini. Che spasso sara’ per loro! Tra una pedalata e l’altra non si fa fatica ad amare Copenaghen. Sono qui da ventiquattro ore e gia’ mi sento a mio agio. Quando la luce va via e luna smette di giocare a nascondino, diventa inaspettatamente romantica. Ops, mi sono distratto e la mia bicicletta stava per finire in un canale. Riprendo a pedalare e ritorna quel fremito di liberta’, a cui non rinuncerei per niente al mondo!

Atm Milano, viaggi cittadini da incubo?

Sono un abbonato annuale dell’Atm, l’Azienda dei trasporti milanese, e sborso in anticipo quasi 400 euro. Per me viaggiare con i mezzi pubblici è davvero uno spasso, una grande risorsa alla faccia di chi saccheggia la città con auto e smog. Tuttavia, non possiamo più tollerare il pericolo di tornare a casa feriti o moribondi. Lasciando perdere i disagi dovuti alla scarsa manutenzione delle linee metropolitane (il guasto sulla linea verde della scorsa settimana è scandaloso), non sono più tollerabili gli incidenti sulle linee di superfice. A Milano il 14 febbraio scorso un autobus si è scontrato con un tram ed è morta una donna. Il 13 ottobre la stessa sorte è toccata a due tram in viale Bigny. Si parla di 25 feriti. Di chi è la colpa? Dei conducenti “spericolati” o di un’azienda che ha perso di mano il controllo? Milano si atteggia a capitale economica d’Italia, ma questi disagi continuano a farci essere il fanalino di coda. E la tutela dei viaggiatori dove è finita? Quando si parla di cacciar soldi per biglietti e abbonamenti, Atm è la prima ad alzar la voce. Non ci stiamo più. Vogliamo sentirci tutelati perché Milano non sia un set da film horror, ma torni ad avere un servizio pubblico dignitoso.

Edimburgo, l’anima dark della Scozia

Essere qui mi fa sentire a casa, sarà perché in Gran Bretagna vi ho messo piede venti anni fa. Eppure questa Scozia dipinta a suon di cornamuse e folclore, mi ha fatto trovare un’anima dark, estranea ai miei viaggi. Un lato oscuro totalmente sconosciuto: appena si accende la luna, Edimburgo si anima di tour guidati alla ricerca di fantasmi sepolti nell’orrore di una città nascosta. Come per Napoli, qui c’è una città sotterranea dove sopravvivono antiche leggende che incuriosiscono i turisti. Sarà perché Edimburgo ha dato i natali a Stevenson, papà di Dottor Jekyll e Mr. Hide? Infatti, molte vetrine sono piene di allestimenti in stile Halloween perché qui la “Notte delle streghe” è un appuntamento atteso da grandi e piccini. Chi mi conosce sa bene che non sono stato mai “un vampiro”, un amante della notte. Preferisco la luce del giorno. Tuttavia, questi misteri notturni a Edimburgo hanno reso imprevedibile la mia permanenza, facendomi finire poi a chiacchierare con una ciurma di scozzesi in un pub. E la serata è terminata cantando a squarciagola “Hey Jude” dei Beatles. Questo pezzo per loro è come “La canzone del sole” di Battisti per noi. Il lato oscuro di Edimburgo si è trasformato in un leggero bagliore perché tutto sommato anche la notte può travestirsi di luce.

Scuola, caro o maledetto maestro unico?

Non vuole essere uno sdolcinato incipit da libro “Cuore”, ma io sono figlio della generazione che alle Elementari si è formato con la maestra unica. Il mio primo giorno di scuola? Settembre 1979, in cattedra la dolcissima maestra Iole e al mio fianco il compagno di banco Giuseppe. Quei cinque anni al II Circolo Didattico di via dei Mille ad Acerra, ad una manciata di chilometri da Napoli, sono stati davvero idilliaci. Quando “il maestro unico” è stato abolito, io avevo lasciato quei banchi da qualche anno, ma dal punto di vista sentimentale non l’avevo mandata giù! Lungo il percorso mi sono convinto che “il maestro multiplo” avrebbe colmato alcune mie lacune e avrebbe indicizzato la mia conoscenza su diversi fronti. Adesso, per tagliare i costi della “scuola sprecona italiana”, il Ministro Gelmini vuole fare un passo indietro e tornare al maestro unico. Mentre il mondo della scuola protesta (i sindacati hanno appena proclamato uno sciopero generale in data da definire), la Camera dice sì al nuovo decreto legge. Non devono essere né gli alunni né le famiglie a pagare questo scotto, ma i fannulloni. Per ridurre le spese inutili, Mariastella Gelmini dovrebbe puntare il dito contro gli sfaticati della scuola pubblica italiana: gli invalidi fasulli che sono balzati in vetta alle graduatorie; i supplenti che fanno tre giorni di annualità e poi si mettono in maternità; gli assenteisti che usano i certificati medici per fare “i cazzi loro”; o alcuni delle segreterie che si scaccolano il naso per metà giornata. Per fortuna, il corpo docenti come il resto del personale non è tutto così. Giù le mani dalla mia maestra Iole, ma per mio figlio non voglio inciampare nella nostalgia: un solo insegnante è roba da libro Cuore!

Acerra, l’hip hop di Alea denuncia i mali della periferia

Una volta la città di Acerra, in provincia di Napoli, era conosciuta per aver dato i natali a Pulcinella. L’emergenza rifiuti partenopea ha destato l’attenzione dei media e la questione dell’Inceneritore e della diossina la hanno riportata sulle prime pagine dei giornali. C’è chi se ne strafotte della flemma degli amministratori e sceglie la musica per denuciare le emergenze locali: si chiama Alea (all’anagrafe Francesca Russo), la rapper di periferia impavida che si barcamena nell’hip hop per raccontare la realtà che la circonda attraverso la musica. Chi conosce il territorio come me – vi ho vissuto ventinove anni della mia vita – sa bene il significato dei brani Munnezza o Ghetto: “Si vaje dint’ ‘o Congo me pare ‘e stà ‘o Bronx: criature ‘mpustate ca màrchene ‘a boss, na guardata storta e te danno pure ncuollo, dice n’ata parola e te ròmpene l’osse”. Alea non risparmia nessuno e colpisce duro: “P’ ‘a Montefibbre e pò ‘a fabbrica de l’osse: ce manca sulo l’inceneritore e stamm’ apposto! Stammo ‘o Sud, troppi ccose storte: ‘o problemo è ca ce mànchene ‘e solde: guagliune disperate se ne fujene ‘o nord, ma manco stanno bbuono e se ne tornene”. La grinta rabbiosa di Alea ci fa tirare un sospiro di sollievo: la musica può ancora scuotere il nostro senso civico, ripartendo dalla periferia?

Vacanze low cost e fuori stagione

Sono sempre di più gli italiani che scelgono di far vancanza fuori stagione. Si spende meno prima di tutto e non si corre il rischio di essere vittima del caos e della confusione. Le mie vacanze low cost non sono più ad Agosto da un bel pezzo. E’ sicuramente più facile partire in una bella giornata d’estate, e non in un pomeriggio uggioso di Ottobre. I vantaggi sono troppi per rinunciare ad un viaggio in questo periodo. E poi ritrovarsi in una città fuori stagione e sbirciare lo stile di vita è a dir poco emozionante. Ricordo con entusiasmo i miei risvegli di lunedì mattina a San Francisco come a Berlino.  Perché perder tempo? Consultate i siti di compagnie aeree come Ryan Air e Easy Jet per sentirvi padroni dell’Europa. Pagare 60 euro un biglietto di andata e ritorno per Copenaghen o Edimburgo è davvero un bel colpaccio! Per l’alloggio fate un giro su hostelbooking.com ed il gioco è fatto. Fare il turista in Italia è diventata davvero roba da ricchi e in più bisogna stare alla prepotenza degli operatori turistici locali: la Liguria ci fa pagare pure l’aria, per non parlare del mare della Calabria che può costarci caro con un cagotto! Beati quelli che spalancano la finestra sugli altri continenti. Il mio amico Luca, detto “L’americano” (i suoi commenti dagli USA sul mio blog sono diventati leggenda!), adesso è lì che se la gode in giro per l’Australia. E’ vero che viaggiare ha un costo, ma rinunciando a qualche comodità e muovendosi con astuzia, si ha l’occasione di arricchire l’anima.

Trenitalia, sospeso il diveto ai cani di grossa taglia!

E’ vero che non sono un amante degli amici a quattro zampe. Chi mi conosce sa che non sono tipo da smancerie, né nascondo l’imbarazzo di quanto li trovo al mio fianco nel vagone di un treno. Tuttavia, sono contento che Trenitalia abbia revocato il divieto del 1 ottobre: bandire tutti i cani di peso superiore a 6 chili. L’allarme sarebbe avvenuto perché su un treno a lunga percorrenza un viaggiatore è stato visitato da un esercito di zecche. Al di là delle indignazioni degli animalisti, mi chiedo cosa sia stato a far cambiare idea a Trenitalia.  Si sono fatti un esame di coscienza e hanno ammesso che le condizioni igieniche dei treni notturni sono così indegne da poter causare questo e altro? Il cane sarebbe stato soltanto il capro espiatorio per adombrare la sporcizia degli Espressi come il 1920 Trinacria (Palermo-Milano), su cui ho viaggiato qualche estate fa, vergognandomi di essere italiano. La replica del capotreno? “Non si scaldi. Nei paesi dell’Est sono messi peggio di noi”. Trenitalia dovrebbe inviare le sue ditte di pulizia a fare un giro nei treni locali di nazioni come Polonia o Bulgaria. In realtà quelli messi male siamo noi. I nostri amici a quattro zampe tornano a viaggiare al sicuro, ma l’allarme igiene sui treni resta e non può passare inosservato.

Paul Newman, addio agli occhi blu dell’America sincera

I suoi occhi blu hanno avuto il colore di un’America pulita e sincera, il suo sex appeal ha frantumato i cuori femminili di mezzo mondo, la sua presenza attoriale ha bucato il grande schermo consegnando al cinema ruoli memorabili. Paul Newman, scomparso all’età di 83 anni, resta uno dei miti tra realtà e immaginario collettivo, che soltanto il XX secolo ha saputo procreare. Dell’attore dell’Ohio non ci piace ricordare questo o quel personaggio, ma colui che è stato dentro e fuori dal set: semplicemente Paul Newman. La sua prima arrampicata cinematografica è legata agli anni cinquanta, un decennio idilliaco per gli USA. Ed è proprio quella serenità che i suoi occhi hanno trasmesso fino a ieri, lo stato interiore di un americano che voleva vivere una vita tranquilla, senza troppi grattacapi, distaccandosi dagli errori e i traumi dell’America dei decenni successivi. Mia madre è stata una sua grande ammiratrice e me lo ha presentato in un pomeriggio di trenta anni fa: “Vieni qui, che ti presento Paul Newman… quel signore lì”. Alla tv davano “Lassù qualcuno mi ama”: dietro la macchina c’era il grande Robert Wise e Paul con i suoi guantoni dava vita all’incredibile storia di Rocky Graziano. Crescendo, ho imparato ad apprezzarlo in “La gatta sul tetto che scotta”, “Lo spaccone”, “Furia Selvaggia” e “Butch Cassidy”. Da adolescente, l’ho detestato perché “per colpa sua” mi andava sempre male con le ragazze. “Mi spiace, ma non hai gli occhi blu come Paul Newman”, mi dicevano. Ed io quatto quatto me ne andavo con la coda tra le gambe, maledicendo i miei occhi castani! Ahimè, le ragazze a cui facevo il filo non avevano capito che non si trattava solo del colore degli occhi, ma di una verità misteriosa oltre il suo sguardo. Una verità che adesso l’America non rivedrà mai più.

Gomorra, l’Oscar mi rende nervoso!

Ogni anno è una tribolazione per trovare un accordo sul film che rappresenterà l’Italia gli Oscar. E il malcontento rischia di essere all’ordine del giorno per alcune candidature passate, azzardate ed ingiustificate: il Pinocchio di Benigni nel 2003 o La sconosciuta di Tornatore quest’anno. Sarà Gomorra di Matteo Garrone, il film tratto dal libro cult di Roberto Saviano, a restituire all’Italia il 22 gennaio 2009 la speranza di rientrare nella rosa delle nomination per l’ambita statuetta. Tradotto in 33 lingue con quasi 2 milioni di copie vendute, il libro dello scrittore e giornalista partenopeo è una radiografia sconvolgente, in bilico tra saggio e inchiesta, sulle attività criminali della camorra. La trasposizione cinematografica di Garrone è un racconto epico, una tragedia in stile classico che trasforma quei mostri localizzati tra Napoli e la sua degradante periferia in un dramma universale. Non dimentichiamo che la maggior parte degli Americani guarda l’Italia come il Paese di “spaghetti, sole, pizza, mandolino e mafia”. Quel film è un coraggioso atto di denuncia, e non una radiografia pittoresca o folcloristica del morbo cronico di una città e del Sud Italia. L’ambita statuetta – che tutti ci auguriamo – acquisterà un valore culturale e artistico soltanto se rientrerà nei parametri di questa riflessione: il popolo napoletano non ha più bisogno di finire in pasto alle prime pagine dei tabloid di tutto il mondo per autorevoli critiche, compassione o commiserazione. Napoli, oggi più di ieri, ha bisogno di una presenza costante delle istituzioni e del sostegno a persone come Saviano, piccoli grandi eroi dei nostri giorni bui. Se così non fosse, allora vi diciamo: “No grazie, l’Oscar ci rende nervosi”.