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Il Santuario di Pompei ha il suo Bartolo Longo santo

IL Santuario della Madonna del Rosario di Pompei avrà finalmente Bartolo Longo (1841-1926) santo, a cui il mio nome Rosario mi lega dal giorno del battesimo. Papa Francesco, in queste ore difficili per la sua salute, riconosce la santità all’uomo del nostro Sud Italia che rinunciò alla vita agiata di famiglia per dedicarsi alle opere di carità.

I MIRACOLI NON SONO SOLO SOPRANNATURALI

Nel 1876 Bartolo Longo, quindici anni dopo l’unità d’Italia, con i fondi del patrimonio della moglie contessa cominciò a costruire il Pontificio Santuario mariano sulle ceneri della pagana Pompei romana. Ricordo ai tempi delle elementari il giorno in cui Papa Wojtyla lo beatificò.
Abbiamo atteso 45 lunghi anni da allora e questo momento tardava ad arrivare, perché il Beato di origine pugliese non aveva compiuto alcun “miracolo”, nel senso di evento soprannaturale.
I prodigi sono anche quelli di aver diffuso scritti e scritti di evangelizzazione e fare tanta carità.

BARTOLO LONGO E LA CASA PER GLI ORFANI

Bartolo Longo ha donato una casa a migliaia e migliaia di orfani per tutto il XX secolo. Andavo ancora all’asilo quando, tenendo per mano nonno Pasquale, mi fermai di fronte ad un grande edificio a pochi passi dal Santuario di Pompei.
A 5 anni se hai la fortuna di avere un papà e una mamma fatichi a capire che i tuoi coetanei, affacciati alla finestra di quell’orfanotrofio, vivono il dolore di un vuoto immenso. Nel 2017 scelsi di cresimarmi nel Santuario di Pompei perché il mio nome, Rosario, custodiva la riconoscenza per aver scampato la morte due volte: la prima, ancora nel pancione di mia madre, la seconda a vent’anni, vivo per miracolo, a seguito di un incidente stradale per un colpo di sonno.

LA SUPPLICA ALLA MADONNA TRA LETTERATURA E FEDE

C’era una volta un avvocato del nostro Mezzogiorno, Bartolo Longo, uno di noi, finalmente Santo anche per noi gente del Sud. Per noi la preghiera non è una superstizione folcloristica, come criticano alcuni, ma è un atto di fede anche nel mezzo di una processione o di una fiaccolata nel buio della notte.
Con gli occhi pieni di speranza, ogni anno puntualmente l’8 maggio e la prima domenica di ottobre, recitiamo la Supplica  alla “Augusta Regina delle Vittorie” che la sua penna da letterato e il suo cuore di fedele ci hanno donato: 

“Se tu non volessi aiutarci, perché figli ingrati ed immeritevoli della tua protezione, non sapremmo a chi rivolgerci.”

Siamo felici e orgogliosi. 

Carmine D’Amora, il capotreno Trenitalia che fa la differenza in Campania

I deficit del trasporto ferroviario regionale passano spesso ai doveri della cronaca, dimenticando il personale che può fare la differenza. Chi percorre come me migliaia e migliaia di chilometri in treno all’anno in Italia sa bene che il viaggiatore dell’Alta Velocità è più tutelato rispetto a quello di “serie B” del trenino regionale. Se poi capita l’inconveniente la forbiciata è ancora più ampia.

La Campania finisce spesso sotto l’occhio del ciclone per i disservizi del trasporto ferroviario locale, ma non si parla mai delle risorse che possono far luccicare Trenitalia in un momento di criticità.
Carmine D’Amora, ingegnere meccanico con lode di 27 anni, è un giovane Capotreno Trenitalia di Pompei, alla periferia di Napoli. Se non ci fosse stato lui sul treno metropolitano 26059 Caserta-Napoli Campi Flegrei, il ritorno nella terra in cui sono cresciuto sarebbe stato associato ad un venerdì nero: quante sono le probabilità di ritrovare un pacco dimenticato con documenti importanti?

La polizia ferroviaria di Napoli Centrale si è messa in contatto con Carmine, spiegando l’accaduto. Nel tratto metropolitano tra piazza Garibaldi e Mergellina, a prima mattina, il treno era zeppo di passeggeri e il giovane capotreno ha attraversato i vagoni, riuscendo a recuperare il pacco e tutto il suo contenuto. Non ho mai conosciuto di persona Carmine, perché in realtà la consegna è avvenuta in altre mani. Attraverso i social network mi sono messo alla ricerca di questo “eroe della ferrovia” per ringraziarlo e lui mi ha risposto con umiltà: “Ho fatto semplicemente il mio dovere, tutto qua”.

Aveva scritto un tempo lo scrittore e rivoluzionario cubano José Julián Martí Pérez “Aiutare chi ha bisogno non è solo parte del dovere, ma anche della felicità.” Carmine D’Amora lo ha messo in pratica con l’umiltà di chi è andato oltre il proprio dovere.
Un paio d’anni fa la mia Freccia da Milano per Napoli ritardò di mezz’ora. Fu avvertito il capotreno del locale corrispondente, per pochi minuti non volle aspettarmi e persi l’ultima coincidenza per Caserta via Cancello. Mi pagarono un taxi per raggiungere la destinazione. Questo per dire che non tutte le risorse di un’azienda sono uguali.

Viaggiando in 48 Paesi del mondo ho imparato che sul tuo cammino incrocerai spesso persone disposte ad aiutarti. Basta saperle intercettare. La routine e la frenesia ce lo fanno spesso omettere.
In Carmine ho ritrovato riflesso ciò che ero alla sua età, un ragazzo del Sud energico e pieno di voglia di realizzare tanti piccoli grandi sogni. Spero che questo gesto aiuti il suo datore di lavoro e tutti coloro accecati dal pregiudizio a confermare che il nostro Meridione può essere orgoglioso della generazione Millennials che il capotreno di Pompei rappresenta egregiamente.