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Io piango: Josè Saramago lo scrittore che volle farsi “blogger”

O lo amavi, o lo detestavi. Non c’erano vie di mezzo. Io sono stato sempre un lettore volubile e scapestrato. Una volta mi è capitato tra le mani Il bagaglio del viaggiatore. L’ho letto con avidità – non perché portasse la firma di Josè Saramago –per la data di pubblicazione: il 1973,  anno della mia nascita. Saramago è scomparso alla veneranda età di 87 anni e a lui devo una cosa, molto prima che mi mettessi lo zaino in spalla per andarmene a zonzo in Europa. Uno spudorato amore per i portoghesi e per la loro terra, che da Porto verso Lisbona, continua a suggerirmi fugaci suggestioni del mio Sud. Quando vado in Portogallo non parlo né in inglese né in italiano, ma in napoletano.  Riesco sempre a farmi capire.
Ho avuto la fortuna di conoscere di persona l’altro grande portoghese, il regista Manoel de Oliveira, ma dello “scrittore scomodo” mi rimane il ricordo di quel libro e, soprattutto, gli interventi da blogger nel marasma della rete. O caderno de Saramago è l’ultimo atto coraggioso del Premio Nobel alla letteratura: un irregolare e poetico diario on line che non risparmia nessuno, neanche il premier italiano Silvio Berlusconi definito “una cosa pericolosamente simile a un essere umano”. Nessuno più di José è riuscito a somministrare una galanteria letteraria su più fronti, dalla poesia al teatro, coinvolgendo a suo fianco i grandi nomi del pianeta, da Chomsky a Pinter, quando c’era da gridare a voce alta.
E’ stato lo scrittore “polemico” per eccellenza, in esilio volontario alla Canarie, ma sempre voce di quel Portogallo che oggi deve riconoscergli un merito: aver innalzato la liricità della lingua portoghese, oggi più di ieri, ad arma di denucia delle balbuzie di questo tempo tenebroso.

Colazione svizzera con Kofi Annan

Rosario PipoloChi vuole fuggire da occhi indiscreti sceglie la Svizzera per un motivo: lì ognuno si fa i fatti suoi. I vip o i personaggi noti la reputano un rassicurante  “paradiso fiscale”, ma anche un rifugio perché hanno pace assicurata.

Lo scorso weekend ero in visita al Grand Hotel Villa Castagnola a Lugano. A colazione, mentre litigavo con la marmellata finita sulla mia polo, ho notato un distinto signore di colore. A dire il vero lo avevo scambiato per l’attore Morgan Freeman. Il metre gli ha portato il quotidiano ed ho capito che era Kofi Annan, Segretario Generale dell’Onu fino al 2006. Quando accadono questi incontri, per me scatta una doppia sindrome: quella professionale da “reporter” che non resiste alla tentazione di tornare a casa con un’intervista; quella genetica da “napoletano”, condannato dagli altri ad essere  il curioso di turno! Niente di tutto ciò: mi sono limitato ad osservare il diplomatico ganese mentre si godeva il breakfast tra latte bianco e corn flakes.

 

Ad un certo punto il savoir faire partenopeo ha preso il sopravvento e mi sono avvicinato per sussurargli: “Signor Annan, sono contento di condividere con lei la colazione di questa domenica mattina”. Il Nobel per la Pace mi ha sorriso – speriamo che non si sia accorto della chiazza di marmellata – ed ha replicato: “Gli italiani sono simpatici. Mi piace il vostro Paese”.

Sono ritornato al mio tavolo e ho continuato la colazione. Prima di andare via, Annan si è fermato al mio tavolo e mi ha sorriso. Mentre mi ha salutato con un cenno del capo, ha sussurrato: “La sua Napoli e i napoletani esprimono la solarità dei popoli del Sud del mondo”.  In quel momento mi sono reso conto che dal mio accento aveva capito la provenienza.

Kofi Annan si avviò lentamente verso l’uscita. Scomparve come in un acquerello.

Harold Pinter, quell’incontro mi cambiò la vita

harold-pinter150Alcuni giorni fa è scomparso il Nobel Harold Pinter (1930-2008), astro della drammaturgia britannica del ‘900. In un piccolo teatro di provincia sono stato spettatore di un suo testo, Tradimenti, e me ne sono innamorato. Per Pinter ho fatto follie. Nel 1996 sono andato dal compianto Prof. Franco Carmelo Greco a chiedergli una tesi sul suo teatro. Avevano scritto fiumi di parole. Ho svoltato in direzione cinema, focalizzando sul rapporto tra le sceneggiature pinteriane e il cinema di Joseph Losey. Per Pinter ho rischiato. Nessun professore della Federico II voleva firmarmi una tesi che avevo progettato a mio modo per filo e per segno. Nel luglio 1997 sono partito su un autobus Roma-Londra per andare a raccogliere materiale. Per Pinter ho sfiorato una tirata d’orecchi da parte della polizia londinese. Mi sono messo con le braccia incrociate sotto casa sua per intervistarlo e la povera governante di casa Pinter era lì a ripetermi: “Lo vuole capire che il signore non c’è?”. Io ero lì ad osservare lo studio dalle vetrate, immaginando quell’incontro che sarebbe avvenuto quattro anni dopo. Mi sono laureato con quella tesi, alle mie condizioni, e nel 1999 la Facoltà di Sociologia ne autorizzava la pubblicazione. Per Harold Pinter sono stato davvero cocciuto: avevo in mano il mio primo libro “Harold Pinter sceneggiatore per il cinema di Losey tra letteratura, cinema e multimedialità” e nel 2001 sono stato invitato a relazione ad un convegno a lui dedicato. Quando gli ho consegnato il mio saggio, gli ho sussurrato: “Il suo teatro, la sua scrittura, la sua coerenza politica hanno aperto nuovi varchi nella mia coscienza con prospettive simultanee, innescando nella mia formazione un misto tra ragione e sentimento”. Mi mancherà Harold Pinter così come a tutti coloro che gli hanno dedicato anni di studio. Le passioni non vanno mai barattate con niente, qualsiasi sia il prezzo da pagare. Quei testi sono un grande tesoro, per noi e per le prossime generazioni, a cui potremmo raccontare che ci sono stati uomini capaci di dare un significato profondo alla cavalcata misteriosa della vita.