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Caro Babbo Natale, ecco perchè non ti ho scritto più!

Caro Babbo Natale,
in giro sento dire che non servi più, che anche per te è arrivata l’ora della pensione: la previdenza sociale di quest’Europa traballante potrà sostenerti? Secondo me ti rinchiudono in una triste casa di cura per anziani e ti liquideranno così: “Era troppo stanco, si sentiva inutile”. Macché, questa è la solita frase fatta per tenere a bada i rimorsi delle nostre coscienze quando sbattiamo gli anziani negli ospizi.
Ho visitato la prima casa per anziani, nei primi anni ’80, durante le scuole elementari. La maestra ci disse che avremmo adottato un nonno per Natale. Io allora ne avevo già uno e credevo che tutti i vecchi avessero una bella nidiata di nipotini. Mi sbagliavo così come sugli spot che mi facevano vedere le case di cura come degli alberghi.  Il mio “nonno per un giorno” si chiamava Vincenzo e ti assomigliava tanto. Per un periodo mi convinsi che fossi davvero tu, quell’anziano signore sulla sedia a rotelle, prigioniero in quell’ospizio alla periferia di Napoli. Tentai invano di persuadere i compagni di classe a liberarlo e a portarlo a casa con noi. Nessuno mi diede ascolto.
La maestra mi suggerì di scriverti una letterina per chiederti di prenderti cura di Vincenzo. Ed io che pensavo tu portassi solo i doni ai bambini! Qualche mese dopo tornai dal mio nonno adottivo, ma lui non c’era più. Mi fecero credere che la mia calligrafia era così pessima che tu non avessi letto la mia richiesta. Per tanti anni ce l’ho avuta con te ed ecco perché non ti ho più scritto.
Caro Babbo Natale, torno a scriverti dopo trent’anni: puoi caricare sulla tua slitta più bambini possibili e fare in modo che trascorrano il giorno di Natale con i tanti nonni e nonne dimenticati?
Chissà che non sia il Natale giusto che io ritrovi pure Vincenzo, quel vecchietto sulla sedia a rotelle che ti assomigliava tanto.

19 marzo, di papà ce n’è uno!

Non mi ricordo più di chi sono figlio, nel marasma delle famiglie allargate, dei papà che vanno e vengono, nel boom di divorzi e separazioni. Oggi potrebbe essere il legittimo dubbio di un figlio, sì o no? La Festa del Papà se l’è inventata una ragazza americana più di un secolo fa per omaggiare il proprio genitore e così anche l’Italia ha pensato bene di importarla con qualche adattamento in “cattolico style”. La data? il 19 marzo, scomodando dal calendario dei santi il falegname Giuseppe! Penso quanto sia dolorosa questa ricorrenza per chi non ne abbia mai avuto uno. All’asilo avevo un compagno orfano e ricordo il suo viso quando preparavamo il lavoretto da portare al nostro papà il 19 marzo. Lui sorrideva appena la maestra Rosilde gli ribadiva che l’impegno non era inutile, perchè il suo papà lo avrebbe visto dal cielo assieme agli altri angeli. Affittare o noleggiare un papà, anche solo per la festa del papà, è un atteggiamento da evitare. Ho visto mariti e fidanzati che il 19 marzo si sono trasformati in damerini ossequiosi, aderendo al sacrilegio più grande: pronunciare questo nome sacro per il padre della propria compagna. Al Sud Italia accade spesso ed è quasi un obbligo sottinteso. Fa parte delle regole buone per sopravvivere schiavizzato nel clan della famiglia. C’è una minoranza di noi che si sottrae a questo rito, anche perchè un papà può essere associato a ideali, rivoluzioni,utopie e spesso ti ritrovi dinanzi a miserabili muri di gomma. Di papà ce n’è uno – il mio si chiama Antonio – ed io ho iniziato a chiamarlo papà quel dì che l’ho visto difendere i più deboli e i propri ideali e non di certo da posizioni comode. E’ stato un caso che in radio passavano Father and Son di Cat Stevens?

Il mio Natale, in quella casa del Sud Italia!

Mai come quest’anno mi sono distaccato dal fastidioso tam tam natalizio, dall’affannosa corsa al consumismo che stressa le famiglie italiane. L’unico scambio di doni a cui tenevo, l’ho anticipato la scorsa settimana sotto i primi fiocchi di neve. Ero felice come un bambino perché mi hanno regalato una borsa rossa della collezione Vespa-Piaggio. Per un “vespista” incallito come me, andarse in giro con quella tracolla è uno spasso! E il Natale dov’è finito? Risucchiato dalle vetrine o dagli addobbi natalizi? Mi è tornato in mente un vecchio racconto di Dino Buzzati e mi sono sentito come il protagonista, don Valentino, alla ricerca di una briciola del Natale. Alcune settimane fa sono passato a trovare due amiche di vecchia data, Cinzia e Rosa, nella loro casetta a pochi passi da Napoli. In quel recinto domestico mi sembrava che il tempo si fosse fermato al nostro primo incontro, in quella cucina, in ogni viso di quella famiglia, travolta da un invidiabile spirito di serenità. Il papà e la mamma mi hanno fatto un cenno e siamo andati tutti ad osservare il bel presepe, allestito nel salotto.  C’erano i pastori alti come piacciono a me, una luce fioca, il rumore della cascata. Ci siamo guardati diritti negli occhi e abbiamo condiviso in silenzio quel momento. In quell’attimo di stupore ho ritrovato il Natale, quello fatto di incontri veri, dove il tempo non è tiranno, ma è complice dell’attimo intenso. Siamo capaci ancora di ritrovare a piccole dosi le cose speciali della vita?