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Principe Filippo, un passo indietro please!

Ho messo piede la prima volta a Londra nel 1988, non avevo compiuto ancora 15 anni, per me era come essere arrivato sulla luna. Il Principe Filippo di Edimburgo era già coetaneo di mio nonno.

LE MUG SENZA IL PRINCIPE FILIPPO

Allora la popolarità dei Windsor si misurava con i souvenir in vendita su Oxford Street: le mug, i famosi tazzoni inglesi, erano le più gettonate e i volti più popolari erano la regina Elisabetta, la quasi novantenne Regina Madre e Lady Diana. Del Principe Filippo quasi niente e i turisti, sulla via del ritorno, si sarebbero giocati a sorte una delle “tre mug tutte al femminile.”
Io sono stato più diplomatico, ho dissipato le ultime sterline per regalare a mia madre una piatto da appendere alla parete che ritraeva Big Ben e Buckingham Palace, due icone londinesi, senza far torto a nessun reale.

IL CONSORTE DAL PASSO INDIETRO

Del Principe Filippo non se n’è parlato mai in questi ultimi 99 anni come in queste ore dopo il trapasso o nel ’47 quando il suo sangue greco si mescolò a quello di velluto di una delle dinastie reali più influenti d’Europa.
Non bisogna conoscere a memoria gli ultimi settant’anni di monarchia inglese per sapere che il Principe di Edimburgo sia “il consorte dal passo indietro”. Tuttavia, resta davvero infelice uno dei titoli dei nostri giornali: “Addio al Principe Filippo, ombra discreta della Regina Elisabetta per 70 anni”.

LE OMBRE NON SONO MENO IMPORTANTI DELLA LUCE

Ripeteva Charlotte Brontë, tra le mie scrittrici preferite dell’epoca vittoriana, che le ombre non sono meno importanti della luce”. Filippo sarà stato pure l’ombra di Lilibeth – questo era il soprannome di Sua Maestà appiccicatole dal principe consorte – ma ha saputo difendere fino alla fine il ruolo istituzionale nonostante il cinismo, le gaffe, l’aplomb a tratti altalenante, un lungo matrimonio reale fatto di rose e insidiose spine.
Appartiene a una razza in estinzione il Principe Filippo, che non uscì bene neanche dal pungente film The Queen dell’acuto Frears, interpretato dall’impeccabile James Cromwell. Lo ricorderemo nei libri di storia, lontano dai suoi nipoti e pronipoti schiavizzati da consorti volgari.
La Regina di Elisabetta ha perso “la sua fedele ombra” e il cammino in solitaria sarà faticoso.

Londra saluta Margaret Thatcher e dimentica gli angeli caduti in volo

Rosario Pipolo“Oggi siamo tutti thatcheriani”. Le parole di Davi Cameron, nel giorno in cui Londra ha dato l’ultimo saluto a Margaret Thatcher, sono inesatte. Non è così e lo sanno bene il volto pallido della storia britannica, sulla coda del ‘900, così come i minatori che hanno organizzato una festa folk dall’altra parte del Paese. Mentre il feretro della Lady di Ferro si muoveva lento verso St. Paul, ripensavo ad un altro funerale affollato, quello di Lady Diana Spencer, la principessa amata dal popolo e osteggiata da Buckingham Palace.
Quella era la fine di una favola da fotoromanzo popolare con la regina coronata, che non sapeva se abbassare il capo dinanzi al passaggio del feretro. Qui si trattava di un capo di Stato, di un ex ministro che aveva tenuto in pugno, dal 1979 al 1990, il destino della Gran Bretagna. Persino il Big Ben si è ammutolito. Non accadeva dai tempi dell’addio a furor di popolo a Winston Churchil.

Troppa scena per dare solennità al momento, per restituire smalto ai nuovi rampolli del partito Conservatore, per fare uscire dallo zoo della politica d’oltremanica le scimmiette come Tony Blair, che fecero crogiolare i progressisti sulle gambe del thatcherismo. “Oggi non siamo tutti thatcheriani”, ribadirei, aggiungendo però che la Sinistra blairiana lo è stata quando non sapeva più che pesci prendere.

La regina Elisabetta in testa, era lì nel silenzio tombale che ha trasformato la ciurma dei capi di Stato invitati come un set di manichini da vetrina. La verità spetta di diritto alla voce delle nostre coscienze. Quando la bara è uscita da St. Paul avvolta dalla bandiera, mi sono convinto che in quella cassa di legno pregiato non c’era Margaret Thatcher. C’erano tutti i corpi e gli spettri dei morti sotto il suo regime tra tensioni sociali, aggressività colonialista e vecchi rancori tenuti a marcire in Irlanda. Non ho più visto la folla che salutava Lady di Ferro, ma le urla di donne, uomini e bambini che si sono visti strappare un caro dalla loro famiglia, negli anni in cui quel pugno di ferro sfigurò il volto della Gran Bretagna, privandolo di umanità e facendolo a pezzetti nella più grande macelleria sociale.

Maggie riposa e basta. Se esiste una giustizia divina, la pace spetta agli angeli spediti all’inferno durante il tuo regime.