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Blog e Sito di Rosario Pipolo online dal 2001

Facebook, sia febbre da telefonino!

L’oracolo Censis ha detto la sua. Il 2009 è l’annata dei social network e gli italiani mostrano un attaccamento morboso per Facebook con quasi il 62% di adesione. Potrebbe essere una moda passeggera secondo i disfattisti del Belpase: i social network tolgono tempo alla lettura. Questa cantilena va avanti da una vita e, ai tempi del mio liceo, dicevano che i videogame sottraevano tempo a cose più utili, leggere appunto. Sappiamo che non siamo “un popolo di lettori” e  mi sono convinto che le demonizzazioni servono a poco. La crociata contro Facebook è partita da un pezzo, senza contare che i social network hanno convertito al Pc persino quelli come mio cugino Massimiliano, che fino all’altro ieri sogghignava: “Che caspita ci faccio con quel mostriciattolo tecnologico”. A questo punto la riflessione è un’altra. Facebook sta già vivendo una seconda giovinezza, ma sui cellulari degli italiani. Ammettendo che siamo allergici all’innovazione, traghettiamo pure l’utilità di Facebook e simili sul mobile. Persino i nostri operatori telefonici lo hanno capito: Wind vi offre 50 ore al mese di connesione al costo di 9 euro,  in una versione smart per la vostra ricaricabile. A Natale manderemo in soffitta gli sms e tutte le promozioni ad essi legati? Sempre connesso, perchè no! Senza diventare vittime di un’ossessione,  può essere stimolante  confrontarsi con conoscenti o amici geograficamente “lontani”. E’ ora che il termometro del grado di “socializzazione” cambi unità di musura!

L’acqua è un diritto, no ai privati!

Ci hanno tolto uno dei pochi diritti in nostro possesso: l’acqua. Il decreto Ronchi è diventato legge e la gestione dell’acqua finisce tra le grinfie del processo di privatizzazione. Già è dura mandar giù il business spavaldo che, negli ultimi quindici anni, ha tolto l’acqua del rubinetto dalla maggior parte delle tavole degli italiani. In Italia, siamo pieni di acque minerali e continuiamo ad essere sedotti da quella “diavoleria” chiamata etichetta.  Finiti i tempi in cui riempivamo le bottiglie per strada – fatta qualche rara eccezione – al supermercato mi imbatto in discorsi da fantascienza sulla scelta dell’acqua in base alle proprie esigenze. Pagare una bottiglia d’acqua quasi quanto il vino è davvero vergognoso. E adesso ci tocca pure rinunciare alla gestione idrica “pubblica”. Per il gas ci hanno infinocchiati con la promessa di riduzione dei costi e miglioramento del servizio. Avete visto qualcosa di tutto questo? Insomma, appiccichiamo un’altra etichetta all’acqua che uscirà dalla nostra doccia o dal nostro lavandino! Dovremmo avere lo spudorato coraggio di mettere i sigilli alle nostre condutture idriche, non solo per “protesta”, ma per prendere coscienza di dove finiremo se andiamo avanti così!

Il Festival di Sanremo canta in dialetto?

Il teatro Ariston di Sanremo

Rosario PipoloI venti leghisti tirano così forte da incidere anche su un evento nazional-popolare come il Festival di Sanremo. Svecchiare un regolamento dopo quasi 60 anni si può, ma recriminarne la natura ed inserire le canzoni in dialetto mi sembra troppo. Da buon napoletano ritengo che cultura musicale dialettale sia un patrimonio immenso, a cui neanche io da ascoltatore vorrei rinunciare. E non ne faccio questioni geografiche o antropologiche perchè ascolto con la stessa partecipazione emotiva il comasco Davide Van De Sfroos così come il parneopeo Peppe Barra. Il palco del teatro Ariston è l’agorà del Festival della Canzone italiana, una manifestazione che non dovrebbe essere né una vetrina del nazionalismo tricolore né l’oasi del federalismo canzonettaro. E’ vero che il Festival di Sanremo perde il suo seguito anno dopo anno, ma non è questa la trovata giusta per far acquistare sprint all’intrigante macchina discografica che ne fa da supporto. Le canzoni in dialetto possono essere valorizzate in altri spazi, possibilmente costruiti su misura. Per quanto riguarda l’esterofilia sanremese, dico la mia: no ai superospiti strapagati, ma sì ai duetti con gli stranieri per esportare qualche canzone all’estero. Mica tutti si chiamano Ramazzotti, Bocelli o Pausini? E poi se in passato non fosse stato così, nel 1990 non ci saremmo emozionati con  Ray Charles che cantava Good Love Gone Bad, versione in inglese di un pezzo di Toto Cutugno.

Stefano Cucchi, dov’è la giustizia?

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Rosario PipoloE’ trascorso quasi un mese dall’arresto di Stefano Cucchi, il giovane morto misteriosamente nel carcere di Regina Coeli. Cucchi era stato preso dai carabinieri perchè in possesso di stupefacenti e poi è finito dietro le sbarre in attesa dell’udienza definitiva. La notizia improvvisa della sua scomparsa ha destato scalpore ovunque. Per chi vuole recuperare qualche puzzle del fatto di cronaca può rileggere l’intervista alla sorella e al padre di Stefano, rilasciata al Blog Beppe Grillo. Dopo aver visto in rete video e foto raccapriccianti, c’è ancora chi cerca di convincerci che Cucchi non sia stato riempito di botte. Picchiato dove, in carcere o in tribunale? Fantasticherie o uno sfizio goliardico di una paio di guardie penitenziarie? Il sottosegretario Giovanardi ha dichiarato il 9 novembre: “Stefano Cucchi era in carcere perché era uno spacciatore abituale. Poveretto, è morto, e la verità verrà fuori, soprattutto perchè pesava 42 chili”. A cosa serve liquidare una fine così tragica? Se il caso Cucchi finisse sotto il tappeto, sarebbe l’ennesimo errore dell’Italia e la rivalsa della tendenza a nascondere gli scheletri nell’armadio. Ieri è venuta fuori la testimonianza di chi sostiene che “il pestaggio sia avvenuto in tribunale”. La giustizia non può attendere nel rispetto della famiglia e di chi ha espresso apertamente solidarietà e indignazione.

Io odio il lunedì perchè Pasquale Mautone se ne andò senza preavviso!

Stazione di Napoli - Cavalleggeri d'Aosta

Rosario PipoloMafalda, il personaggio a fumetti di Quino, odiava la minestra. Io odio il lunedì e non è mai stata una novità: come è pesante l’inizio della settimana! Questa mattina mi sono svegliato e ho visto che il 9 novembre cade di lunedì, proprio come diciassette anni fa. Quel lunedì non avevo impegni, non erano iniziati neanche i corsi all’università. L’unico appuntamento in agenda era imparare a declinare il dolore. Mi recai in un ospedale nel centro di Napoli e lui era disteso lì: immobile, non respirava, il viso pallido. Me ne andai, fiondandomi diritto in viale Cavalleggeri d’Aosta. Ero disperato. Chedevo a chiunque del quartiere se avesse visto passare un signore sulla settantina, capelli brizzolati, occhialuto, baffi. All’edicola sotto casa dissi che si trattava dell’uomo che tutti i giorni intorno alle 10 acquistava il quotidiano Il Mattino; a Pino il salumerie che era il tizio, nonostante l’ipertensione, che non avrebbe mai rinunciato ad una manciata di sale; al giocattolaio che era il tipo che tutte le domeniche mi comperava un paio d’occhiali da sole; a don Luigi, il portiere del numero 119 di Cavalleggeri d’Aosta, che era Pasquale Mautone, il condomino del  sesto piano. Nessuno seppe dirmi niente. Salii sopra e la casa era tremendamente vuota. Era vuota la sua poltrona, si era fermato l’orologio a pendolo che aveva scandito il tempo delle sue giornate; persino la stufa non sbuffava più. Fu in quel preciso istante che fui scaraventato a terra dal dolore e, ricordandomi che fosse lunedì, mi balzò in mente una sua riflessione: “Detestavo il lunedì. Svegliarmi con il terrore che non avrei venduto neanche un maglione.  Caricare sull’auto il bancone e avere a che fare con i clienti”. Corsi alla stazione della metropolitana di Napoli – Cavalleggeri d’Aosta. Mi risollevai quando sentii il fischio di una locomotiva e mi ricordai di quando mi portava a guardare  i treni: “Nonno – gli ripetevo – Voglio crescere adesso. Voglio partire su quel treno e vedere dove finiscono i binari”.  Ho percorso migliaia e migliaia di chilometri su quei binari. E non bisognava fare il ferroviere per capire che il dolore per la perdita di una persona speciale ti resta tatuato tutta la vita.

Muro contro muro, Berlino 20 anni dopo

L'abbatimento del Muro di Berlino

Rosario PipoloIl 5 novembre gli U2 suonano gratis a Berlino per ricordare i 20 anni della caduta del Muro. Chi lo avrebbe detto il 9 novembre del 1989 che Bono e compagni, reduci allora dalla pubblicazione del loro primo album-documentario (Rattle and Hum), si sarebbero trovati a suonare anni dopo davanti alla Porta di Brandeburgo. Io mi ricordo le immagini in tv di quel giorno: un fiume di persone si spingeva lungo la Bornholmer Strasse. L’abbattimento fisico della cortina di ferro fu fiseologico, quel passaggio da Est a Ovest richiamò all’appello i misfatti della storia, e la gioia e gli abbracci tra le persone furono incontenibili.  Eppure nessuno ha saputo spiegarmi davvero cosa ci fosse dietro e davanti al Muro. L’ho capito soggiornando a Berlino, riflettendo alla Casa museo del Checkpoint Charlie, un luogo intimo per raccogliere storie, testimonianze raccapriccianti, soffermarsi sui particolari. Berlino, 20 anni dopo, ha lasciato in giro pochi brandelli di muro. In un sondaggio dei primi mesi del 2009 risulta che il 51% dei tedeschi rimpiange la cortina di ferro perchè dopotutto la massima vale ovunque: si stava meglio quando si stava peggio. Il muro del “disfattismo” sotto le vesti del rimpianto si scontra con l’altro muro religioso e ideologico, eretto in Europa tra l’89 ed oggi. La nostalgia non porta da nessuna parte, ma la spericolatezza di chi dovrebbe guidarci  è ancora più disastrosa. Vivrò questo anniversario con una punta di ironia, riguardando il bel film  di Wolfgang Becker Goodbye Lenin!.

Io sto bene senza Halloween!

La notte di Halloween

Rosario PipoloAl di là delle tendenze o dei capricci modaioli, non mi sono mai affezionato ad Halloween. A dire il vero quella volta che papà mi regalò una zucca con occhi, naso e bocca, non pensavo fosse il simbolo di questa festività, che continua a fare impazzire gli americani.  E ora che gli italiani ci vanno dietro, dalle prime settimane di ottobre dobbiamo sorbirci le vetrine allestite per accogliere nel migliore dei modi la notte delle streghe. Dolcetto, scherzetto o business folcloristico?

A casa mia, appena sbucava la vigilia di Ognissanti, ci preparavamo a condividire i giorni successivi con i nostri defunti: il 1 e il 2 novembre dalle mie parti si andava al camposanto. Le streghe e gli zombi mi fanno ancora paura  – e tanti anni fa ne ho dibattuto simpaticamente con il regista George Romero – ma i morti no.

Loro sono da tutt’altra parte, lontani dalla viltà e dalla fragilità umana. Quest’anno volevo andare controtendenza e far baldoria la notte di Halloween. Ho cambiato idea perchè in fondo non me ne frega niente. Non voglio rinunciare a fare un po’ di silenzio attorno a me e trovare il tempo di raccogliere un crisantemo.

Non voglio privarmi della speranza che il profumo di quel fiore raggiunga tutti coloro che oggi mi mancano profondamente. E loro non sono “zombi”, ma “vivi più che mai” sulla giostra della memoria. E pensare che il ricordo dei momenti speciali condivisi con i miei defunti trasforma ancora le mie notti buie in giorni soleggiati!

Marrazzo, tutta colpa di un trans?

Piero Marrazzo

Rosario PipoloMi hanno detto che a Brescia città un muro imbrattato recita: “Le escort alla destra, i culi alla sinistra”. La seconda parte dello slogan fa riferimento al gossip che ha inquietato il Belpaese lo scorso weekend: le dimissioni di Piero Marrazzo da Presidente della Regione Lazio a causa di un video che lo ritrae in mutande con un transessuale. Nella vita privata ognuno può fare quello che vuole a patto che non metta a repentaglio la libertà degli altri. Nei miei ricordi il nome di Marazzo non è legato all’emisfero politico, ma a quello del giornalismo, nella figura di un bravo professionista anche al servizio del sociale. Pardon, non per essere bacchettone, ma inorridisco all’idea di finire sotto le lenzuola con un trans. Mai dire mai direbbero i più audaci: la moda di essere cocainomani cronici o puttanieri d’assalto è carta straccia. “Le fesserie” o “le debolezze” si sono incamminate in altri sentieri, oltre certi confini che spesso ci spiazzano. Sì, la vicenda Marrazzo mi ha spiazzato davvero. Non voglio né puntare il dito nè fare il falso moralista e preferisco fare un passo indietro fermandomi all’uomo. A quell’uomo che si è sentito crollare il mondo addosso e, rincasando, ha dovuto delle spiegazioni alla moglie e alla sua bambina. Dal punto di vista umano mi sono pentito di averlo giudicato come ha fatto la maggior parte degli italiani.  Ci vuole più coraggio ad ammettere le proprie debolezze che a nascondersi dietro alla maschera esibizionista del Don Giovanni di turno. Preoccupiamoci piuttosto dei ricattatori che hanno mortificato il valore della “divisa” e dei colleghi che ogni giorno rischiano la vita nelle guerriglie metropolitane.  E se questo fosse un complotto a ripetizione, chi sarà il prossimo?

Margherita Buy e l’attesa di “Lo spazio bianco”

la locandina di "Lo spazio bianco"

Rosario PipoloAl cinema a Margherita Buy le appiccicano sempre il solito clichè: quello della “sfigata”. E questa tendenza me la ricordo fin dai tempi della sua partecipazione al film Fuori dal mondo di Giuseppe Piccioni. Stessa cosa accade nella nuova pellicola di Francesca Comencini Lo spazio bianco, tratta dall’omonimo romanzo di Valeria Parrella. Tuttavia, qui è passabile perchè la Buy è davvero convincente nel ruolo di questa mamma che deve attendere mesi per sapere se la sua bimba, nata prematuramente, riuscirà a sopravvivere. Non vi aspettate il solito cinema al femminile con quei luoghi comuni melodrammatici. Il taglio della Comencini è quasi “documentaristico”, asciutto e asettico, sospeso nel vuoto. Persino Napoli, città-sfondo della storia, è irriconoscibile senza stereotipici e la colonna sonora dalle intrusioni jazz è azzeccata. Lo spazio bianco mi ha riportato a riflettere su un anello ricorrente della nostra vita: l’attesa. Ogn giorno ci viene chiesto di attendere e “sapere aspettare” è davvero un dono. E non venite a dirlo a me che sono impaziente per natura!

Chiara, supervoce di X Factor e non chiamatela “Cicciona”!

Chiara Ranieri

Rosario PipoloIl fenomeno musicale made in UK di nome Susan Boyle cerca i propri simili. Alcuni pensano che Chiara Ranieri, la rivelazione canora di X Factor 2009, abbia tratti in comune con la casalinga scozzese che ha spopolato dagli schermi di Britain’s Got Talent. Si finisce sempre lì e il paragone riguarda “la presenza scenica ingombrante” di queste due splendide voci. Nell’annata in cui vanno di moda le anoressiche e in tv sfilano i fisici perfetti, ecco che arriva la rivincita delle ragazze XL : ce ne freghiamo della forma e badiamo alla sostanza e al talento. Lo hanno capito pure gli abitanti di Facebook che hanno creato diverse pagine a sostegno della ragazza di Crotone. In passato ci sono state interpreti femminili gettate nel dimenticatoio a causa dell’aspetto fisico. Facciamo in modo che questo non accada a Chiara Ranieri: qui non c’è in ballo solo la tecnica, ma la capacità di far veicolare le emozioni con grande energia. E per favore, non chiamatela “cicciona” e non vi azzardate a paragonarla a Linda Valori, il bluff di una delle passate edizioni sanremesi. Che salga pure la lancetta della bilancia, tanto la leggerezza di quei gorgheggi rapisce anche gli angeli. Ahimè, ce l’avessi io una ragazza così. Forse sarei meno incazzato del solito se a darmi il buongiorno ci fosse quel canto!