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Al cinema con Baarìa per tornare in Sicilia

Una scena dal film "Bariia"

Rosario PipoloIl cinema può solleticarti l’idea di fare un viaggio; un viaggio fatto alcuni anni prima può spingerti ad andare al cinema per ritrovare quei luoghi. Baarìa è l’omaggio di Giuseppe Tornatore alla sua Sicilia in un canto visivo e corale dove quasi tutto il ‘900 si consuma ai margini di vita vissuta.  Sì è vero: ci sono i paesaggi ampi di Sergio Leone; ci sono i connotati storico-politici di Bernardo Bertolucci e del suo Novecento; ci sono eccessi di uno sfilacciante sentimentalismo tipico di Nuovo Cinema Paradiso; ci sono i picchi musicali ruffiani di Morricone e altre combinazioni che potrebbero renderlo già da “Oscar” agli occhi degli Americani. Tuttavia, nel nuovo film di Tornatore c’è una gestione calibrata del tempo e dello spazio che allontana in parte una comunità dai soliti stereotipi e da quella stemperata iconografia. Baarìa ha riscattato alcuni ricordi dei miei viaggi in Sicilia, e sicuramenti non quelli turistici e da cartolina legati a Taormina, Cefalù, la Valle dei Templi o Siracusa. Ha riscattato il mio viaggio di un pomeriggio d’agosto nell’entroterra arido e deserto tra la visita riflessiva in un piccolo cimitero di San Giuseppe Jato, la rilettura di una lapide a Portella della Ginestra e il retrogusto acidulo della ricotta a Piana degli Albanesi. E’ quella la Sicilia che voglio ricordare. Non penso che “percorrendo avanti e indietro per anni poche centinaia di metri, puoi imparare ciò che il mondo intero non saprà mai insegnarti”. Prima o poi bisogna andarsene, percorrere distanze chilometriche e prendere coscienza di quello che credevi fosse “l’ombelico del mondo”. Giuseppe Tornatore avrebbe fatto meglio a risparmiarci “le tette” della Bellucci per un cammeo di tre siciliani dimenticati: Lando Buzzanca, Franco Franchi e Ciccio Ingrassia.  

Peter Pan, lascia fuori i nostri bambini dalla tv!

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Rosario PipoloNel calderone della tv generalista, affollata di veline e volgarità ad oltranza,  ecco che spuntano i bambini per evitare che lo share finisca ai minimi storici. Negli anni ottanta c’era Sandra Milo e i suoi Piccoli Fan e l’altro ieri Antonella Clerici con Ti lascio una canzone. Del resto la bella Antonella deve proprio al successo di quel programma la promozione all’ambita conduzione del prossimo Festival di Sanremo! I bambini in televisione funzionano ancora: inteneriscono, commomuovo il Belpaese con la loro ingenuità, e fanno ritornare in auge l’orgoglio di genitore e lo slogan pronto per la vicina di casa: “Hai visto ieri mia figlia in tv? Brava, anzi bravissima”. Ed ora anche Paolo Bonolis insegue la moda con la nuova edizione di Chi ha incastrato Peter Pan?. Non riesco a capire dove abita la controtendenza televisiva, se nel taschino di chi professa la tv del futuro e cade nelle trappole del vecchio tubo catodico . Non mi sento prevenuto a lanciare segnali di allarme e lo testimonia la recente dichiarazione al quotidiano La Stampa  dello scrittore Daniel Pennac: ” I bimbi di oggi sono clienti di una società consumistica perché la società li strumentalizza come clienti”. Nei primi anni ’80 ho partecipato ad una trasmissione per bambini su una rete televisiva campana. I miei genitori hanno accompagnato il mio stato emotivo, mettendomi subito in guardia dai “Peter Pan falsari” di allora. Sapevo che non sarebbe cambiato niente nella mia vita e non sarebbe stata di certo “una telecamera” a fare la differenza.  

McDonald’s colonizza il Louvre con hamburger e patatine

La Gioconda si protegge!

Rosario PipoloMi fa rabbrividere l’idea che Monna Lisa finisca tra hamburger, patatine e ketchup. I tempi cambiano e i musei si mettono alla prova con il lancio di spazi polifunzionali. Non basta più una belle opera d’arte per motivare il prezzo di un biglietto d’ingresso? Il Louvre era fino alla settimana scorsa uno dei musei europei che si distingueva per il giusto equilibrio tra tradizione e innovazione. Adesso che McDonald’s aprirà all’interno del museo parigino, scatta la motivata indignazione.  Punto uno: Va a farsi friggere il nazionalismo gastronomico francese, piegato dal colonialismo della catena americana di fast food.  Punto due: Che caspita centra un Mc menu con o senza la Maxi bibita e le proposte culturali del Louvre? Punto tre: Perchè dovrei pagare quasi 15 euro di ingresso e rovinarmi la visita con gli odori puzzolenti di hamburger e patatine? Insomma Mc Donald’s festeggerà i 30 anni di attività in Francia, ma il palazzo che ospita la Gioconda di Leonardo  e la Venere di Milo diventerà l’esempio dell’ultima degenerazione di arte e cultura. Speriamo che lo spirito rivoluzionario dei nostri cugini d’oltralpe si faccia sentire ed eviti questo scempio a dir poco disgustoso!

Lodo Alfano, il Belpaese perde il pelo o il vizio?

Silvio Berlusconi

Rosario PipoloStropicciato nella centrifuga del caos mediatico, il pensiero dell’italiano medio vacilla dopo la bocciatura del Lodo Alfano da parte della Consulta. Il lettore arguto smanetta su Internet e si appella all’oracolo della stampa straniera. Il quotidiano inglese Times picchia duro contro Silvio Berlusconi e, senza troppi raggiri di stile, scrive con fermezza: “Silvio Berlusconi ha gettato vergogna su se stesso e sul suo paese con le sue buffonate sessuali e i suoi tentativi di evitare i processi. Ora si deve dimettere”.  Quale è il destino del Premier e del suo governo adesso che le quattro cariche più alte dello Stato perdono l’immunità temporanea? I fantasmi e gli orrori della Prima Repubblica tornano a fare toc toc alle nostre porte, mentre un’indagine parla di crisi nera e povertà alimentare: quasi 4 milioni di italiani non hanno abbastanza soldi per fare una spesa adeguata. Adesso l’Italia ha un semaforo rosso sul suo cammino politico e sociale, e non può stare più con due piedi in una scarpa. Questa vicenda mi fa tornare in mente un episodio di tanti anni fa. Passando in piazza Giovanni Leone a Napoli, mi chiedevo tutte le volte perchè la mia città avesse intitolato uno spazio pubblico ad un Presidente della Repubblica, travolto dallo scandalo Lockheed e  costretto a lasciare il Quirinale. Ahimè, gli eroi della mia generazione erano “un partigiano come Presidente” (Sandro Pertini) e un Papa rivoluzionario che sognava il dialogo delle religioni (Karol  Wojtyla). Non sempre il significato di “eroe” o “martire” sta dalla parte giusta!  

Lucky Planets, cartolina musicale da Napoli

Roberto Murolo e Totò

Rosario PipoloCosa ci fanno un giornalista curioso e due discografici partenopei della vecchia guardia a condividere un aperitivo lampo nella uggiosa Milano? Non parlano del più e del meno, ma di canzoni napoletane: ci voleva un’etichetta discografica come la Lucky Planets per mettere al suo posto alcune gemme musicali nate all’ombra del Vesuvio. E poi lo sappiamo bene che il canzoniere partenopeo contemporaneo meriterebbe una volta per tutte di essere ricatalogato. Giancarlo Spadacenta ed Enzo De Paola sembrano due personaggi usciti da un film musicarello: il primo è colui che ne ha viste di cotte e di crude nell’industria discografica; il secondo è il classico napoletano “appassionato” che staresti lì ad ascoltare per ore. Tra un Martini e noccioline, Enzo passa con disinvoltura a raccontarti dalle serate sul terrazzino di casa Gragnaniello ai ricordi vaporosi con Roberto Murolo. Gli brillano gli occhi quando evoca Roberto che lo salutava ogni sera dal balconcino o i tempi andati di Napoli e del suo sound. Sostengono che la musica sia finita con Internet, nonostante vendano i loro dischi anche on line! Ed io replico: “Siete testardi. Perché non investite sulla musica dei talent show, dei “pacchi” o di Alessandra Amoroso?”. Mi fulminano con lo sguardo per questo oltraggio e mi regalano la ristampa di Quanno figlieto chiange e vo’ Canta’ di Peppino Gagliardi, un disco poetico fatto di piccole meraviglie, dove sentimenti e stati d’animo si muovono in punta di piedi. E pensare che un nastro di Gagliardi era finito tra le mie mani quando ancora girovagavo per casa a carponi: papà lo aveva regalato a mamma con una radio nel giorno del loro fidanzamento!  

L’alluvione di Messina e le “Mani sulla città”!

L'alluvione a Messina

Rosario PipoloIl nubrifagio che ha colpito il messinese fa tornare nella nostra memoria la parola allarmante: abusivismo. Quell’abusivismo edilizio che è stato la fortuna di pochi e la sfortuna di molti (dipende dai punti di vista), quello fatto a regola d’arte per inquinare le prove e, senza mezze misure, non mettere in allarme le coscienze dei quaquaraquà. Nella mia ultima permanenza estiva in Sicilia, mi sono fermato una notte ad una manciata di chilometri da Cefalù. Alloggiavo in una casa che era praticamente sulla spiaggia. Quando ho chiesto come fosse possibile, mi hanno rimproverato: “Duttu’, ‘un si preoccupasse. Siddu è, sta casa fa a fine ri lavutre, dà sutta u mare” (Tirate a campare. Male che va questa casa farà la fine delle altre, lì in mezzo al mare). E dire che neanche io potevo controbattere, provenendo da una città come Napoli che di abusivismo ne sa qualcosa (Riguardate in dvd Mani sulla cìttà di Rosi). Se ripenso allo scempio fatto alle falde del Vesuvio e a tutti quei comuni in pericolo in caso di risveglio del “buon vulcano”. E cosa dire delle nuove costruzioni in quelle zone? Messina e dintorni hanno un doloroso conto da pagare, ma mi pare ora che si faccia una perlustrazione in tutta Italia per individuare quelle aree che possono essere la nuova tragedia di domani!

L’ultima notte assieme ai Pooh

I Pooh

Rosario PipoloNel 1981 ero sul tetto di un palazzo storico del corso Garibaldi di Acerra. Eravamo a casa di un’amica di famiglia. Mentre io e mia sorella giocavamo a nascondino tra i panni  stesi, da una radio in soffitta volavano le note di Chi fermerà la musica dei Pooh. Continuo ad associare il ritmo di quella canzone a questo ricordo d’infanzia, ancora in volo sul panorama che vedevo da lì. Quando i Pooh hanno festeggiato 25 anni di carriera, ho dovuto mettere da parte tutti i miei risparmi (40.000 delle vecchie lire) per acquistare il biglietto dello splendido ed intimo concerto al Politeama di Napoli. E certamente ieri non mi aspettavo di finire per lavoro all’ ultima data del tour assieme a Stefano D’Orazio: 30 settembre al Forum di Milano. Non discuto la scelta del batterista di lasciare i compagni di lavoro di una vita, piuttosto l’idea che gli altri tre possano continuare con un’alternativa. Credo che la buona musica di queso longevo gruppo italiano sia finita tanti anni fa, poco prima dell’LP Uomini Soli. C’è chi li accusa di aver triturato i soliti temi melodrammatici all’italiana tra amori finiti e tradimenti. C’è chi come me li apprezza per essere stati i primi a diventare “manager di loro stessi” ed aver resistito alla tipica diffidenza degli anni ’70 in Italia: o facevi musica impegnata politicamente o eri uno sfigato raccontaballe! Scrivere una bella canzone “popolare” è il desiderio di molti, ma l’arte di pochi. Trascrivere sentimenti o vita quotidiana in maniera trasversale è stato il loro punto di forza. I primi accordi imparati alla chitarra sono stati quelli di Tanta voglia di lei. Ho dedicato quei versi stonati alla ragazza di cui mi ero invaghito negli anni del liceo. Non ha funzionato. Mi sa che non avevo capito il significato di quella canzone!

Cartolina da Belgrado

Belgrado by night

Rosario PipoloBelgrado guarda avanti. Niente pregiudizi e Tito resta solo un ricordo, nel rimpianto delle vecchie generazioni. La tomba del didattore icona della ex Jugoslavia è lontana dal centro, alle porte di un parco semi abbandonato. Vi arrivo dopo un’ora di cammino e scopro che c’è un biglietto da pagare. Rimprovero la guardia: “Non vi vergognate? Cosa direbbe il vecchio Tito se sapesse che avete trasformato la sua tomba in un’attrazione tustica?”. Mi fanno entrare. Il centro della capitale della Serbia è in pieno movimento a qualsiasi ora del giorno e le bombe della Nato sembrano roba di altri tempi. Passeggiare di sera sulle rive del Danubio è rilassante. Meglio mettere da parte i pregiudizi in materia di “sicurezza” e non fare figuracce: “L’anno scorso siamo stati a Milano e di notte è davvero pericolosa”, replica una giovane coppia serba. Belgrado ha l’aria di capitale sempre, anche quando ti mimetizzi talmente da dimenticare che sei un viaggiatore di passaggio. Di Emir Kusturica si parla poco, forse per i suoi giudizi audaci su fatti e luoghi. Mi sono portato come souvenir quasi tutti gli album di Goran Bregovic con una curiosa scoperta: non sapevo che avesse fatto parte dei Bijelo Dugme, il gruppo rock di punta dell’Jugoslavia che si è ispirato ai Led Zeppelin e ai Black Sabbath. Gli imprevisti capitano quando meno te lo aspetti, anche alla fine del viaggio. Sul treno del ritorno che mi riportava verso l’Italia, ero in bagno (mi scappava la pipì!) proprio mentre hanno fatto i controlli doganali. La polizia serba mi ha scambiato per un profugo italiano e non mi riconosceva dal passaporto. Saranno stati i cd di Bregovic a farli cambiare idea? La prossima volta è meglio farsela sotto!

Cartolina da Medjugorje

La collina delle apparizioni

Rosario PipoloGli italiani sono molto graditi a Medjugorje perchè fanno fare affari d’oro ai bosniaci e croati. Celebre dal 1981 per le regolari apparizioni della Vergine Maria a sei persone del posto, la piccola località della Bosnia-Erzegovina è diventata un enclave dell’Euro. Provate a tirar fuori dal portafoglio la valuta locale e farete indispettire gli esercenti. La furbata è stata studiata: i prezzi sono stati adeguati a quelli nostri e vecchie catapecchie si sono trasformate in “pansion” per accogliere pellegrini e curiosi che vanno lì sperando di vedere il prodigio. E tra i cattolici c’è chi preferisce  Medjugorje perchè qui “le manifestazioni” riguardano il nostro tempo, come se poi Fatima o Lourdes fossero posti da libri di storia! Non mi pare che quando ci sia di mezzo “la fede” sia regolare fare differenza tra i luoghi. Opportunismo spirituale o cosa? Il business è ovunque, persino all’ufficio postale dove è disponibile il francobollo con l’immagine della Madonna. Per fortuna, incamminandosi sulla collina delle apparizioni tra pietre spigolose e sassi taglienti, si ferma la volgarità che mortifica la fede e il culto. “Arrivi fino in cima. Ne vale la pena. Non si faccia ostacolare da questo sole cocente”, mi ammonisce una signora croata che spiffera qualche parola d’italiano. In cima a quella collina è tutto diverso, ma non c’è il prodigio visionario a cui tutti vorremmo assistere. C’è una pace e una tranquillità che mettono quiete nel nostro spirito. E così che il viaggio a Medjugorje trova la sua motivazione affinchè quella “Bianca Signora” non diventi folclore e il sacrosanto rispetto per la fede altrui si riduca ad altarini illuminati. 

Il piccolo Martin come John Kennedy jr. in quella foto…

L'ultimo saluto di John Kennedy jr. al padre

Rosario PipoloCi sono scatti fotografici che entrano nella storia e ci restano per sempre. Te ne dimentichi, ma poi ti tornano in mente e ti convinci che certi accostamenti vanno oltre l’emotività collettiva. Il 25 novembre 1963, ai funerali di John Kennedy, il piccolo John John salutò il padre sugli attenti e quell’immagine fece in poco tempo il giro del mondo. Non si è mai saputo  se quel gesto-icona fosse stato frutto di un protocollo, oppure la presa di posizione instintiva ed emotiva di un bambino che percepiva il dolore privato e collettivo per la perdita del Presidente degli Stati Uniti d’America. Il 21 settembre 2009, ai funerali di Stato dei sei parà caduti in Afghanistan, il piccolo Martin ripete quel gesto: indossa il basco, si mette sugli attenti e saluta il capitano Fortunato, fino all’altro ieri suo padre, da oggi eroe riconsciuto a furor di popolo . Tra John John e Martin ci sono distanze ultraoceaniche: il primo era figlio di un presidente “martire”, generato paradossalmente dalla mostruosità delle lobby americane; il secondo è orfano di un caduto a Kabul che gli ha lasciato il peso di una riflessione. Indossare “una divisa” non è come salire sulla passerella di una sfilata di moda, ma assumersi le responsabilità del proprio ruolo e dei suoi pericoli.  Forse questa considerazione non ha toccato per niente lo scellerato che ha scritto con spirito goliardico “meno sei”, riferendosi ai sei soldati morti dopo l’attentato sponsorizzato dai Talebani. Il saluto del piccolo Martin ci depura da quell’oltraggio offensivo. Adesso anche l’Italia ha una foto da conservare. Non è in bianco e nero, ma a colori per cicatrizzare meglio le ferite ideologiche che dividono stupidamente il nostro Paese.