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Cartolina da Mostar

Il ponte di Mostar

Rosario PipoloCi sono posti che fai di passaggio, ma non è detto tu non abbia il tempo di scrivere una cartolina. Il percorso per andare a Mostar, nella profondità della Bosnia-erzegovina, è degno di essere filmato. Dopo una bell’alzata mattutina per prendere il primo autobus, neanche il sonno o gli sbadigli riescono a tenere a freno lo sguardo che si perde accostandosi al fiume Narenta. Avete presente il ponte in primo piano sulla copertina della guida Lonely Planet “Balcani occidentali”? Ebbene quello è il famoso ponte di Mostar, distrutto purtroppo durante la guerra in Bosnia e ricostruito per la gioia dei turisti! E’ difficile pensare che quella deliziosa città sia stata assediata per 9 mesi. I segni della guerra ci sono, ma si nascondono quatti quatti dietro la Stari Grad, la città vecchia, presa d’assalto dai viaggiatori di passaggio. C’è chi si ostina a fotografare il ponte da ogni angolo, c’è chi perde tempo a cercare un souvenir da portarsi a casa, senza spingersi oltre, nelle strade poco turistiche dove la vita normale ha voglia di raccontare altro.  Cosa c’è da aspettarsi da una città di passaggio? Che si svesta all’improvviso e ti faccia vedere le cicatrici. Mentre scrivo questo post, Lucio Dalla canta Ciao nel soggiorno di casa mia: “La spiaggia di Riccione, milioni di persone le pance sotto il sole, il gelato e l’ombrellone abbronzati un coglione, non l’hai capito ancora che siamo stati sempre in guerra anche il 15 a Viserba in guerra con noi stessi, tra video e giornali e noi sempre più lessi a farci abbindolare con la nostra indifferenza (…) Una canzone mentre la stai cantando di là qualcuno muore qualcun altro sta nascendo, è il gioco della vita la dobbiamo preparare che non ci sfugga dalle dita come la sabbia in riva al mare”.

Al cinema con “Il grande sogno”

"Il grande sogno" di Michele Placido

Rosario PipoloMichele Placido si è messo a dura prova girando un film che fotografa il ’68. Nel 1995 la grande sceneggiatrice Suso Cecchi D’Amico mi svelò il limite dei nuovi registi: guardare con insistenza all’Italia delle due Guerre e del Boom economico, quasi fosse un privilegio dei Monicelli o dei Visconti quel vissuto cinematografico. Per fortuna in Il grande sogno Placido esce fuori da quel perimetro storico, ma inciampa in una visione troppo emotiva del ’68 in Italia. Il suo film scimmiotta troppo Mio fratello è figlio unico di Lucchetti (bocciato ingiustamente alle candidature degli Oscar!), persino nello scontro tra i due protagonisti maschili (Scamarcio-Argentero). E’ interessante, nel raggio dell’emotività, la polaroid dedicata a chi sognava di fare l’attore allora, tra le mura di un’Accademia teatrale soffocata dalla sua rigidità. L’unica ninfa reale del film è la brava Jasmine Trinca: mi piace il suo personaggio con quella femminilità decisa e sicura, pronta a lasciarsi alle spalle le certezze del nido familiare per condividere con gli altri un nuovo sogno culturale, sociale e politico (“Mi manterrò facendo lezioni private(…)”. Mi è dispiaciuto della polemica tra Michele Placido e il ministro Brunetta perché l’ex commissario di La Piovra è un attore e regista che si rimbocca le maniche e mette l’anima in quello che fa, anche quando non raggiunge i risultati sperati!

Cartolina da Sarajevo

Sarajevo

Rosario PipoloHo fatto colazione in compagnia di un giovane serbo. Lui parlava qualche briciola di spagnolo. Ci capivamo, ma poi è finita a paccate sulla spalla come se ci conoscessimo da una vita, tra capuccini e una scorpacciata di burek. Non succede tutto per caso: lavorava come giornalista presso un’emittente televisiva serba.  E’ iniziato così il mio viaggio a Sarajevo, la città flagellata da una sporca guerra raccontata dai nostri media  come un videogioco. Bisogna entrare nel cuore della capitale della Bosnia-Erzegovina per non fare a meno di pensare che il conflitto  serbo-bosniaco abbia lasciato i suoi segni. In centro è tutto normale, Sarajevo è meravigliosa perché è vitale dalla mattina a notte fonda, e sa come essere cordiale con gli stranieri. Il quartiere ottomano di Bascarsija ti porta altrove, verso Oriente e non ti aspetti una Turchia in miniatura accanto agli edifici da cartolina. Basta fare fare pochi passi fuori e lo sguardo si posa sulle lapidi gelide dei cimiteri che raccolgono le salme delle vittime. Accompagnato da una jeep, mi sono spinto nei pressi dell’aereoporto dove c’era quel tunnel costruito per mettere in contatto la gente con la città assediata. Adesso c’è un museo ed è emozionante. La domenica pomeriggio ho passeggiato per quattro ore lungo il fiume Miljacka e mi soffermavo sui visi delle persone. Mi sembrava di essere tornato a Belfast, in Irlanda del Nord, tra le facce giovani e anziane che nascondevano piccole cicatrici. Sarajevo sa come sorprenderti. Prima di partire, Alen mi ha scorazzato in città. Gli ho chiesto una semplice indicazione, ma poi ho attaccato bottone. Mi ha raccontato della sua visita ad amici a Seregno, a pochi passi da Milano, e del suo Ramadan. Mi ha mostrato la foto della sua deliziosa bimba, manifestando il desiderio di rivedere musulmani, cattolici e ortodossi vivere in pace. A Sarajevo c’era un tramonto rosso quando ci siamo salutati con un forte abbraccio. Mentre il mio autobus si allontanava,  ho capito che la voglia di cambiare può cancellare le atrocità del passato e tenerci alla larga dalla nostalgia o dai sensi di colpa.

Cartolina da Podgorica e Cetinje

Sulla strada da Podgorica a Cetinje

Rosario PipoloRaggiungere il Montenegro dall’Albania è un’impresa. Arrivati a Shkodra, c’è la rituale contrattazione con i tassisti – la categoria non mi è simpatica! – per farti portare oltre il confine.  Mantenendo sempre lo spirito low cost, ho ottenuto un viaggio a Podgorica per 30 euro (75 km). Eravamo io ed un altro sventurato della Puglia e così abbiamo diviso le spese! La capitale del Montenegro sembra un paesotto di provincia. Non c’è davvero niente, a parte un ponte costruito alcuni anni fa. L’unico vantaggio è l’Euro e ti risparmi il cambio. Il centro? Nulla. Dopo qualche ora ti innervosisci perchè ti sembra di essere finito “in culo al mondo”. La sola via di salvezza è fare una corsa “mordi e fuggi” a Cetinje (in italiano Cettigne), capitale del Montenegro fino alla Prima Guerra Mondiale. In un’oretta di autobus siete lì e il percorso è interessante per la vista panoramica tra le montagne montenegrine. Tra la corte del Re Nicola e un vecchio monastero, che vanta una mano di San Giovanni Battista e un pezzo della Santa Croce (?), ho trascorso un piacevole pomeriggio. Nella piazza centrale speravo di ascoltare musica locale ed invece c’era il rock degli anni ’60 tra Beatles e Rolling Stones. L’appassionato era un uomo grosso di mezzà eta che vendeva souvenir e in cambio ti omaggiava dei suoi ricordi made in UK. Come è piccolo il mondo! Ho assaggiato una buona crepe alla nutella e mi sono perso in una passeggiata a piedi tra le montagne. C’è sempre un angelo caduto in volo: una coppia di studenti mi ha riportato sulla retta via. Purtroppo, anche Cetinje ha le sue pecche. La stazione degli autobus non ha neanche un cartello con gli orari e sembra una fermata della diligenza in un vecchio western di John Ford. Occorre aspettare, avere pazienza e sperare che l’autobus arrivi. Da questo punto di vista i Balcani mi hanno messo a dura prova…

I Beatles rimasterizzati svenduti su Amazon.com

la discografia rimasterizzata dei Beatles

Rosario PipoloLa fatidica data del 9 settembre è arrivata e per la gioia di tutti i fan l’intero catalogo musicale dei Beatles  è stato rimasterizzato. Una grande operazione commerciale che porta Emi ed Apple a recuperare qualche soldino nei giorni bui dell’ industria discografica. I Fab Four sono da sempre cari e per un appassionato come me è un flagello. Nell’estate del 1989 ho comprato la prima discografia originale in cassetta e mi sono fatto amico un venditore all’ingrosso di musica per avere gli album a prezzo decente. Gli ho detto: “Ho 15 anni, non ho partita IVA e non sono un negoziante, ho pochi soldi nel salvadanaio e non posso fare la cresta sulla spesa perché mamma se ne accorgerebbe. Come la mettiamo?”.  Nel 1993 sono passato al vinile e poi negli ultimi anni ai CD, che non sono di qualità eccelsa essendo in analogico. Adesso ad attirare i cultori sono due confanetti che in Italia costano in maniera spropositata: la versione stereo (14 cd + 1 dvd a 280 Euro) e mono (13 cd limited edition (tra i 330 euro e i 380 euro). Per fortuna c’è Internet che abbatte tutte le frontiere. Sul sito americano Amazon.com  i Bealtes sono davvero low cost con lo stereo a 180$/130€ e  il mono 230$/158€. Il risparmio è più della metà, anche se con spedizione ordinaria occorre aspettare almeno un mese. La pazienza ha un suo perché!  L’unica differenza dalla versione made in UK è la diversa etichetta (Emi) e il pericolo che il dvd dello stereo box non funzioni (il sistema americano è diverso da quello europeo).  Un vero beatlesiano preferisce quella “made in England”, disponibile sul sito Amazon.co.uk. Ehi, mamma, capisci adesso perché i chili di sogliole comprati alla ferrovia costavano il 20% in più? Era tutta colpa dei Beatles! Mannaggia a me che faccio il giornalista e non “il pianista in un bordello”.

Cartolina da Tirana

Tirana

Rosario PipoloA Tirana essere italiano è una buona raccomandazione perché con noi gli albanesi sono davvero affettuosi, a parte i tassisti che tentano di spillarti quattrini in ogni modo. Alloggiavo in un edificio fatiscente a pochi passi dalla piazza centrale, ma in compenso l’appartamento e  i vicini erano deliziosi: c’è chi mi ha fatto scroccare il collegamento ad Internet o il salumiere sotto casa che si è ricordato della massima “dare da bere agli assetati se non hanno cambiato ancora l’euro” e mi ha regalato una bottiglia d’acqua fresca, leggermente frizzante. Gli italiani vanno nella capitale dell’Albania per lavoro e sono rari quelli come me che decidono di fermarsi per turismo. Di giorno non c’è tanto da fare, ma la sera la città cambia pelle e diventa la culla della nightlife albanese: le decine di locali che pullulano nella zona del block (chiamata così perché ai tempi del regime non era accessibile) ravvivano l’atmosfera in tanti modi. Gli incontri non capitano mai per caso: ero indeciso se portarmi come souvenir una statuetta di artigianato locale. Un signore mi ha spiegato che raffigurava Marigot, la donna che ha cucito la prima bandiera dell’Albania dopo l’indipendenza. Siamo diventati amici e così Albano – ha precisato che il suo nome non aveva niente a che fare con quello del  cantante italiano – mi ha offerto un cappuccino. Mi ha raccontato i suoi 4 anni in Italia a Bassano del Grappa, donandomi tante pagine dal diario intimo della vita del suo Paese. E’ stato quell’incontro il souvenir più emozionante da portarmi via per buttar giù i soliti luoghi comuni. Gli albanesi hanno tanta voglia di raccontarsi e condividere con noi i sogni delle nuove generazioni!

Cartolina da Skopje

Skopje, capitale della Macedonia

Rosario PipoloArrivato alla stazione degli autobus di Skopje, mi sono chiesto: “Dove caspita sono finito?”. Sarà l’effetto del sole cocente, ma la città non ha per niente l’aria di essere la capitale della Macedonia. Quando ti lasci alle spalle la piazza principale e il suo centro commerciale nuovo di zecca, arrivi nel quartiere turco e sospiri: “Non male… E se avessi sbagliato strada e fossi ritornato ad Istanbul?”. Il cazzeggio è una buona alternativa e condividere un sacchetto di noccioline con due giovani macedoni è rassicurante: lui, 25 anni, è disoccupato e deve sorbirsi la stessa filastrocca del padre nostalgico della ex Jugoslavia; lei, 20 anni, studia come fashion designer e sogna almeno una volta di venire a Milano. Laggiù la vita scorre tranquilla e me lo ripetono tutti.  Dove vanno gli skopjni (si dice così?) a refrigerarsi quando in centro ci sono quasi 40 gradi? Al lago Matka, raggiungibile comodamente in auto, ma in maniera folcloristica con un autobus (e pensare che mi lamentavo di quelli greci!). Quella pozzanghera d’acqua sembra un’oasi in mezzo al deserto, anche se è tutta artificiale. Niente bagno, niente tintarella. Al ritorno però non faccio cazzate e mi improvviso autostoppista, più sicuro del servizio pubblico. Un signore e il suo bambino mi hanno accompagnato per una manciata di chilometri. Peccato che il pargolo fosse pestifero e si è divertito a mordermi le orecchie per tutto il tragitto. Ecco perchè nelle foto le ho tutte arrossate!

Topolino cattura l’Uomo Ragno per 4 miliardi di dollari

L'Uomo Ragno, supereroe Marvel

Rosario PipoloNoi ragazzi degli anni ’80, malati cronici di fumetti, ci muovevamo su sponde opposte: c’è chi leggeva le avventure dei personaggi Disney sul mitico settimanale Topolino e chi come me tifava per i supereroi della Marvel, tra l’incredibile Hulk e l’Uomo Ragno. Mentre Spiderman si fa mettere nel sacco dall’allegra brigata capeggiata da Micky Mouse, l’abecedario dell’intrattenimento  subisce un altro duro colpo verso l’omologazione. Disney acquista la Marvel per 4 milairdi di dollari e da questo momento l’universo dei supereroi non sarà più lo stesso. Per me Disney aveva un solo grande paladino, l’incazzato Paperino, l’unico che potrebbe andare d’accordo con Capitan America, X-Men e compagnia bella per un motivo semplice: la dinastia dei paperi di Carl Barks, compresa quella canaglia tirchia di zio Paperone, era in perfetta sintonia con “l’America arrabbiata”: quella che preferiva il fango di Woodstock allo zucchero filato degli anni ’50, quella che aveva alzato la voce contro la sanguinosa guerra in Vietnam, quella che aveva fatto sparire dal comodino le foto ricordo di Kennedy o Nixon, spingendosi oltre le dovute profezie che mai avrebbero scommesso su un Presidente afro-americano. L’inchiostro della penna di Stan Lee ha messo nero su bianco una volta per tutte che i supereroi di ultima generazione hanno “super poteri”, ma anche “super problemi” sotto il cielo comune dell’accettazione del diverso (X-men, Hulk). La Disney non produce arte da un bel pezzo. Se questa operazione colossale ammazzasse la creatività della Marvel, l’intrattenimento d’oltreoceano obbedirebbe per l’ennesima volta alla sporca legge della mercificazione.

Cartolina da Istanbul

burka

Rosario PipoloL’unica amica turca si è trasferita in Canada e così non avevo nessuno che mi guidasse in questa affacciata in Turchia. Arrivare ad Istanbul alle 6 del mattino, dopo otto ore di autobus, è un’esperienza unica: l’alba che si alza sulla città sembra uscita da un acquerello e il brusio delle persone mattiniere in centro diventa il sottofondo insostituibile di un fine settimana d’agosto. Istanbul ce l’ha la faccia di Napoli e, cazzeggiando tra la sponda europea e quell’asiatica, ritrovo i vicoli della mia città. “Nu turco napoletano” sogghignò Eduardo Scarpetta (rivedete pure il film di Mattioli con Totò!) e poi dice che ogni mondo è paese, anche se al posto dei calzoni fritti o delle pizze accartocciate ci sono i kebab. Ci sono le dovute eccezioni naturalmente: il burqa ad esempio. E immaginare le nostre ragazze “ciacione” partenopee andarsene in giro tutte coperte è roba fantascientifica. Scherzi a parte, la Turchia si vanta di avere abbandonato da un pezzo gli estremismi dell’Islam. E non mi riferisco al semplice velo sul capo delle donne, ma al così detto “burqa afgano”, che copre le donne dalla testa ai piedi. Purtroppo in giro ne ho viste decine e decine di donne e ragazze coperte integralmente. Non era l’abbigliamento a mettermi a disagio, bensì provare a dare un senso a quella scelta. Mi sembrava di essere più in Iran che nella Turchia che immaginavo, quella che anela ad entrare nell’Unione Europea. La convivenza pacifica con l’Islam è un gradino obbligato per sentirci “europei” nel XXI secolo, ma l’accettazione del burqa integrale è un’immagine che voglio cancellare dalla mia cartolina da Istanbul. Un paese che sbandiera la sottomissione della donna e nasconde ancora scheletri nell’armadio (il genocidio armeno)  è davvero maturo per far parte di quell’Europa che eleva i valori di eguaglianza e rispetto reciproco?

Addio Fernanda, sibilla della Beat Generation

Fernanda Pivano

Rosario PipoloQuando sono in viaggio i miei pensieri vagano all’orizzonte e si fermano sulle pagine di On the Road di Jack Kerouac, uno dei miei romanzi preferiti. Ero su un autobus sgangherato che mi portava dalla Macedonia in Albania quando questo mio vagare sgrammaticato nei Balcani e’ stato interrotto dalla scomparsa improvvisa di Fernanda Pivano, grande traduttrice e scrittrice. Che strano gioco del destino ritrovare alcune pagine della beat generation americana poco prima di questa notizia triste, titolata cosi´ il 20 agosto su alcuni quotidiani di Tirana: “E` morta Fernanda Pivano,  voce italiana della Beat Generation”. A lei ognuno di noi deve qualcosa perche´ le sue traduzioni sono state un ponte tra la provincia letteraria italiana e i nuovi fermenti d’oltreoceano, quei maledetti diavoli come Kerouac o Bukowski che mai nessun accademico avrebbe ammesso nel tempio degli scrittori. Qualche anno fa abbiamo chiacchierato alla Fnac di Milano. Sapeva metterti a tuo agio, dandoti l’impressione di conoscerla da una vita. Poco prima di salutarla, le ho chiesto una foto assieme.  E lei col suo sorriso sornione mi ha rimproverato: “Mica sono una da fotografare”.  Adesso non ci resta che aspettare lo spettacolo di Giulio Casale “La canzone di Nanda”, spudorato omaggio della prossima stagione teatrale a questa grande ancella della cultura italiana.