Pipolo.it

Blog e Sito di Rosario Pipolo online dal 2001

Napule è… ‘e mille culure di Papa Francesco in primavera

napoli-papa-francesco

Rosario PipoloNella prima visita del Pontefice all’ombra del Vesuvio, Papa Francesco troverà tra la gente e le strade di Napoli la sua Buenos Aires. Bergoglio, dopo due anni di pontificato scomodo e rivoluzionario, troverà in Napoli la culla del Sudamerica rivolto al Mediterraneo, distante dalla Roma clericale di via della Conciliazione.

La stessa Piazza del Plebiscito, dove celebrerà nella mattinata del sabato che bacia la Primavera, non è da un bel pezzo sorella gemella di Piazza San Pietro. Il popolo la spodestò rendendola territorio di rivolte laiche perché “Masaniello è crisciuto, Masaniello è turnato”.
Noi napoletani sappiamo convivere con quel misto di religiosità e superstizione, tanto da essere gli unici a camminare sgranando una coroncina del Rosario e tenendo in tasca un paio di corni rossi.

Napule è… ‘e mille culure di Papa Francesco: il Pontefice accarezzerà gli scugnizzi di Scampia, il quartiere periferico stanco di essere considerato la cenerentola dell’area metropolitana, e si soffermerà sul tintinnio delle posate del pranzo con i detenuti di Poggioreale. Sarà l’occasione per ricordare le parole sante di Roncalli nel carcere di Regina Coeli: “Scrivete a casa, raccontate alle vostre madri ed alle vostre mogli che il Papa è venuto a trovarvi’”.

Napule è… ‘e mille culure di Papa Francesco: il Pontefice guarderà con sguardo severo gli alti prelati della Diocesi di Napoli, tra ombre e scheletri nell’armadio dell’ultimo ventennio da Giordano a Sepe.
In Largo Donna Regina ci vorrebbe un terremoto come a San Pietro dopo l’elezione di Bergoglio. Il trasloco di Mons. Gennaro Pascarella, equilibrio perfetto tra spiritualità e rigore, dalla Diocesi di Pozzuoli a Napoli sarebbe un segnale confortante per uscire dal tunnel.

Napule è… ‘e mille culure di Papa Francesco: il Pontefice stringerà a sé prima gli ammalati al Gesù Nuovo e poi i giovani e le famiglie, la sua gran forza, sul lungomare Caracciolo. Questo Papa, spirituale come Francesco giullare di Dio e profeta come il Nazareno che duemila anni fa cambiò il mondo, è adorato dai giovani di ogni razza, credo politico e religioso. L’incontro avverrà a pochi passi dalla Madonnina di Piedigrotta, faro nel buio della notte nella Napoli antica dei pescatori, la cui devozione si scatenò attraverso la drammaturgia popolare della Festa di Piedigrotta, tra sacralità e profanità.

Quando dal porto di Napoli Papa Francesco si alzerà in elicottero, incantandosi sul meraviglioso Golfo di Napoli, noi napoletani lo saluteremo a squarciagola con la nostra preghiera: “Chi tene ‘o mare s’accorge ‘e tutto chello che succede po’ sta luntano e te fa’ senti comme coce; chi tene ‘o mare ‘o ssaje porta ‘na croce. Chi tene ‘o mare cammina ca vocca salata; chi tene ‘o mare ‘o sape ca è fesso e cuntento; chi tene ‘o mare ‘o ssaje nun tene niente”.

Papa Francesco si ricorderà di questo 21 marzo a Napoli come la Primaverà in cui Dio tornerà a parlare napoletano.

La rabbia di Scampia per Ciro Esposito, il tifoso ucciso dalla coppa della vergogna

Rosario PipoloLa lettera di Blatter, il numero uno della Fifa che si è scomodato per scrivere alla famiglia di Ciro Esposito, mi lascia indifferente. Provocano in me tanta rabbia i sermoni degli uomini delle istituzioni: si lavano la coscienza salutando come eroe dei nostri tempi il povero tifoso napoletano, ferito a morte prima dell’incontro della finale di Coppa Italia Fiorentina-Napoli.

Fa bene il Presidente del Napoli De Laurentiis a presentarsi ai funerali a “mani vuote”, senza quella “coppa della verogna”, che la società non ha avuto il coraggio di restituire alla fine della partita. Lacrime, rabbia, dolore, Nino D’Angelo che canta “Il ragazzo della Curva B”, striscioni, icone, fotografie giganti. E adesso cosa succederà? Quanto tempo passerà prima che dimenticheremo tutto?

Questa è l’Italia, il Paese in cui vivo. Tutti eravamo preoccupati a lanciare pietre ai Balotelli, ai Prandelli e agli Azzurri schiaffeggiati ai Mondiali in Brasile, dimenticando che questa “Seconda Repubblica” sul viale del tramonto non ha una legge che regolamenta gli stadi. Dopo lo scempio a Roma, in un Paese civile e democratico, sarebbero saltate teste ovunque. Facciamo a scarica barile perché nel DNA del Belpaese vige “l’immunità taciuta” per i vertici di qualsiasi piramide.

Ciro Esposito era andato a Roma per godersi una partita di calcio e non è tornato più. Noi ci siamo ancora per farci sentire dentro e fuori gli stadi con il megafono. Di tutta questa porcheria non ne possiamo più, perché il tifo è tutt’altro. Ciro ci ha rimesso la pelle, noi ci abbiamo rimesso la dignità, il calcio ha avuto la sua meritata sconfitta. Su uno striscione dovremmo appendere un pensiero saggio di Trapattoni: “Il pallone è una bella cosa, ma non va dimenticata una cosa: che è gonfio d’aria”.

No, non è finita: L’altro striscione per Pasquale Romano

Sabato sera il Napoli ha incassato la sconfitta della Juventus. Avremmo dovuto portare fuori dal campo di Torino l’ultima parola di Mazzarri: “Non è finita”. Avremmo dovuta spruzzarla su uno striscione e appenderlo nel punto dove è stato trucidato Pasquale Romano, ucciso per sbaglio dalla camorra nella faida di Scampia.
Mentre le immagini del match più atteso di questo inizio di campionato passavano sui maxi schermi allestiti nei vicoli di Napoli, saranno stati in tanti a dedicare un pensiero a Lino, che doveva essere pure lui da qualche parte a fare il tifo per il suo Napoli.

Nell’esclamazione dell’allenatore del Napoli c’è la verità che vale nel gioco come nella vita: la singola sconfitta non conta se all’urlo emotivo e rabbioso sostituiamo la riflessione. Che la rabbia per la morte di Pasquale Romano non resti “urlo da megafono” tra le fila di una fiaccolata come è accaduto per le altre vittime innocenti della camorra. Il quartiere di Forcella ricorda ancora la piccola Annalisa Durante, un altro angelo caduto in volo sotto la mano spietata dei killer.

Lo scrittore Roberto Saviano ha manifestato apertamente la sua indignazione dalle pagine di La Repubblica: “Con quel ragazzo ucciso a Napoli è morta anche la democrazia. Ignorato dal governo che non si è presentato ai suoi funerali, in un’Italia che non si indigna più”.
Tenendo da parte i cliché che fanno di Napoli la landa desolata della malavita e dei criminali, dobbiamo interrogarci sul senso di ricominciare una nuova settimana facendo finta di niente. Sarebbe mostruoso lasciare la morte di Pasquale Romano tra le braccia del cinismo, che permette a un fatto di cronaca qualunque di aumentare le vendite di un giornale.

Sarebbe stato sportivo e umano sentire dentro e fuori lo stadio di Torino un coro di voci per Pasquale Romano, invece del brutale razzismo che riapre polemica per il solito cliché.

No, non è finita.

  Razzismo da tifoso

  L’articolo di Roberto Saviano