Pipolo.it

Blog e Sito di Rosario Pipolo online dal 2001

Elezioni amministrative 2021: the winner is… l’astensionismo!

In queste elezioni amministrative 2021 il vero vincitore è l’astensionismo, punto. “Se in politica bastassero i numeri, i matematici governerebbero il mondo”. Storcendo una parola in questa citazione dell’attore irlandese Aidan Gillen, pare che la nostra classe politica legga i numeri in soggettiva.

VOTARE SU COSA MANGIARE PER CENA

L’astensionismo al 50% è una sconfitta marcata per la politica italiana. Quando a livello locale, nella realtà in cui viviamo, c’è svogliatezza, mettiamo in subbuglio il nostro senso civico, il nostro sacrosanto potere di scelta.
Votare non è soltanto un dovere perché, come ci ricorda l’editorialista americano James Bovard, “la democrazia deve essere qualcosa in più di due lupi e una pecora che votano su cosa mangiare per cena.”

DALLA CONTA AL PESO DEL VOTO

E qui non è questione soltanto di appeal del candidato Sindaco: legittimo è puntare il dito su quei comuni medi o grandi dove sono stati messi in pole position candidati perdenti già a tavolino.
A far scattare oblio e disinteresse sono i programmi elettorali annegati negli slogan o il teatrino fatto di fango gettato addosso all’avversario, di volgarità straripante lungo le strettoie dei social network che non trasformamo le montagnette di like in concrete preferenze elettorali?
Se cambiassimo l’unità di misura del voto in peso, lasciandoci alle spalle la semplice contatina delle schede elettorali, forse avremmo una prospettiva diversa.

Vinti o vincitori, non saranno di certo soltanto i ballottaggi ad aprirci nuovi orizzonti. Per dirla come uno scrittore d’oltralpe, resta soltanto un’azione peggiore del toglierci il diritto di voto: sottrarci la voglia di votare e lasciarci crepare nel limbo dell’astensionismo.

Terra dei Fuochi e tv di regime

terra-dei-fuochi

Rosario PipoloNelle province campane di Napoli e Caserta, cuore della Terra dei Fuochi, il tasso di mortalità è aumentato in maniera spropositata. La maggior parte dei casi sono per tumore o leucemia: 28,9 e 27,5 decessi per diecimila abitanti, sono i dati forniti da Corriere.it.

I dati dell’Istat parlano anche di mancanza di posti letto negli ospedali e, di conseguenza, di un doloroso flusso di migrazione per curarsi altrove. Vi siete accorti che il vostro vicino, per giunta gravemente ammalato, sta ipotecando l’appartamento o sta facendo questua tra i  parenti per finanziare il viaggio della speranza?

Nel frattempo a Porta a Porta, salotto televisivo tutto tarlato da Prima Repubblica, si parla di Terra dei Fuochi, annaquando la terminologia del tumore con malattia grave. Del resto in questa tv pubblica di regime, a cui verseremo dal prossimo luglio in bolletta il canone televisivo, i panni sporchi si lavano in famiglia – come recitava nel suo breviario il divo Giulio – sbiancando la coscienza con qualche fiction tv sul delicato argomento.
Chissà se ne prenderà atto il nuovo direttore di Raiuno Andrea Fabiano che dovrebbe svecchiare la rete ammiraglia di mamma RAI.

Tornando alla Terra dei Fuochi, è raccapricciante come nella città di Napoli, colpita anch’essa da dilaganti casi di mortalità,  tornino a farsi spazio i vicerè dello stantio rinascimento partenopeo. Manca poco al 6 marzo, giorno delle Primarie per scegliere il candidato a Sindaco del capoluogo partenopeo. Non basta più la rabbia esplosiva da rapper, la cantata del neomelodico o la promessa politica.

“Masaniello è cresciuto, Masaniello è turnato” per non farsi beffeggiare, per non farsi derubare il diritto alla salute.

Dopo la morte del sindaco di Cardano Laura Prati non mi sento più “straniero”


Rosario PipoloLa notizia della scomparsa di Laura Prati, il sindaco di Cardano al Campo aggredito lo scorso 2 luglio dal vigile sospeso dal servizio, ha fatto uno strano effetto sulla pelle degli stranieri del territorio. Per “stranieri” intendo tutti coloro che non sono nati o cresciuti in questa zolla del varesotto, ma ci sono capitati successivamente. Mi ci metto pure io. Del resto fino ad un paio di settimane fa per me Cardano era il paesotto dove alcuni agenti immobiliari avrebbero voluto convincermi a prendere a casa o il posto dove si era spenta la mia adorata Mimì, Mia Martini.

L’effetto di cui accennavo all’inizio è quello di una rabbia straripante, che dovrebbe diffondersi più spontaneamente tra quelli del posto, che conoscevano da vicino l’impegno di Laura. Questo ritaglio di cronaca mi ha riportato ad un episodio di cui fu vittima tanti anni fa un medico del paese alla periferia di Napoli dove sono cresciuto. Fu aggredito da un paziente e scampò alla morte, ma con il prezzo di un’invalidità ad una gamba. La situazione è molto diversa, ma il contesto provinciale sembra simile. Sdegno iniziale, accompagnato da una punta pressapochismo che, il più delle volte in periferia, si trasforma in omertà mostruosa. E qualche volta occorre ingoiare pure il rospo di chi ti rimprovera dietro le spalle: “Se fosse stato più accondiscendente o avesse fatto finta di niente, non gli sarebbe accaduto nulla”.

La morte ingiusta di Laura Prati mi ha fatto sentire improvvisamente parte della comunità che l’ha vista crescere e occupare il ruolo di primo cittadino. Tenendo a bada il risentimento vendicativo che ci porterebbe al linciaggio del malfattore, penso che sia lecito chiedere giustizia. Nel nostro Paese purtroppo la giustizia è così opinabile da portare una “perizia psichiatrica” ad essere l’escamotage per alleggerire la pena. La famiglia di Laura Prati non ha bisogno del folclore scenografico che qualche volta prende piede ai funerali, come ho visto anche alla periferia dove sono cresciuto, ma di un supporto che si evolva nel tempo per evitare la vera tragedia: vestire gli ignudi, assiepati intorno al colpevole, con la follia pirandelliana e lasciare che il futuro abbia memoria corta*.

*Questo articolo è stato pubblicato anche dal quotidiano on line Varese News. Ringrazio il direttore responsabile e i colleghi della redazione.

Il voto (non) è segreto: Pisapia e De Magistris i Sindaci che uniscono Milano e Napoli

Il voto è segreto! E’ un luogo comune, ma anche il titolo di un bellissimo film iraniano che ho visto in anteprima nel 2001 al Festival di Venezia. Su quel ring cinematografico facevano a pugni arretratezza e modernità così come avviene oggi, dopo questo uragano post-ballottaggio, che ridisegna la politica italiana. Non è più “un segreto” che l’Italia voglia lasciarsi alle spalle anche la Seconda Repubblica e questa volta a decidere le sorti di una faticosa virata ci sono due città geograficamente e culturalmente lontane, ma mai così vicine come adesso: Milano e Napoli. La Milano di Giuliano Pisapia e la Napoli di Luigi De Magistris, i due Sindaci neo eletti che stanno facendo tremare il nostro Paese. Per Milano e Napoli si chiudono con questa tornata elettorale due lunghi periodi politici. Sembra una contraddizione, ma la paralisi riguardava proprio il trasformismo istrionico del capoluogo lombardo e campano, che negli ultimi tempi non riuscivano più a tenere testa ai mutamenti in corso.
Adesso occorre fare i conti, anche se a qualcuno non tornano, perché né milanesi né napoletani si sono lasciati conquistare dalle storielle ecopass, parcheggi, abusivismo edilizio, miracolo bis monnezza. Terminati i festeggiamenti, Pisapia e De Magistris avranno due grosse responsabilità, che in caso di fallimento condurrebbero queste due città alla catastrofe: da una parte ricostruire una Milano sulla solidità del pensiero, frenando l’ascesa del paganesimo del dio denaro; dall’altra far tornare Napoli ad essere la capitale di un Mezzogiorno – senza il ricatto dei bassoliniani (falsamente) pentiti – che non ne può più di vivere di commiserazione, pietà, assistenzialismo. Dipende dai punti di vista: l’elettorato è tornato a prendere in mano il megafono e ha dato il benservito a chi ha fatto di tutto affinché il voto restasse segreto per tanto tempo ancora. E non ci voleva la sfera di cristallo per prevederlo in tempi non sospetti.

Napoli, Champions League e Luigi De Magistris sindaco?

Il Napoli finisce in Champions League dopo 21 anni, ma sappiamo bene che ogni partenopeo che si rispetti una buona parola con San Gennaro ce l’aveva messa, per toccare il cielo con un dito: lo scudetto. Sarebbe stato un bel riscatto per la città, che sta vivendo un processo di transizione  e tenta di uscire a testa alta dal tunnel tragico dell’epoca bassoliniana. Il ventennio del Vicerè ha avuto i suoi alti e bassi, ma sotto a chi tocca per la restaurazione?
Profezie smentite per il candidato a Sindaco del capoluogo campano, perché tra i due litiganti il terzo gode. Giovanni Lettieri, convinto di avere già in mano le chiavi di Palazzo San Giacomo, dovrà vedersela al ballottaggio con Luigi De Magistris. Mentre i napoletani sono avviliti per l’emergenza rifiuti, si cerca di capire dove convergeranno i voti. Al di là dei colpi di scena e dei trucchi che la politica ci riserva, c’è da dire che questo De Magistris non ha per niente l’aria austera di un Pubblico Ministero. Anzi, sembra il nostro dirimpettaio, che alla maniera di Eduardo in “Questi Fantasmi”, si affaccia dal balcone, si intrattiene a parlare con noi e magari ci offre pure una tazzina del suo caffè.
Incrociando i due duellanti nell’ultima puntata di Ballarò, mi è venuto in mente l’esordio della “teledemocrazia politica”: quella sera del 1960 in cui Kennedy e Nixon si giocarono la campagna elettorale presidenziale davanti alle telecamere. Nonostante il salotto sopra le righe di Floris non abbia niente a che fare con quelli teatrali della tv americana, ha offerto a Lettieri e De Magistris una striscia che ci autorizza ad azzardare un paragone: ieri la goccia di sudore e il ghigno di Nixon che contribuì alla sua sconfitta; oggi la parte destra ingessata del viso di Lettieri e uno sguardo intimorito. Insomma, De Magistris ha bucato il piccolo schermo con quella sua parlata spicciola. E se avesse convinto anche San Gennaro, che secondo i profani è un assiduo spettatore di Ballarò
“Le vie del Signore sono finite” ci ricorda Massimo Troisi e il santo patrono ci ha abituati ai miracoli dell’ultimo minuto:  gli azzurri di De Laurentiis sul podio della Champions League e il candidato dell’Italia dei Valori sul trono di Palazzo San Giacomo.

Da Milano Pisapia fa tremare l’Italia: E pensare che c’era il pensiero…

Non è la stessa Milano stamattina. La terra ha tremato e lo scossone di Giuliano Pisapia lo ha sentito tutta l’Italietta, quella che mette sulla stessa barca benpensanti e clericali, trasformisti e papponi, cialtroni e farabutti, angeli e demoni, mercenari e valvassori. All’alba avrei bussato volentieri alla porta di Giorgio Gaber per inzuppare una brioche calda nel suo cappuccino – alla maniera provocatoria di Nanni Loy – e canticchiare assieme a quel milanese intelligente parole sagge: “E pensare che c’era il pensiero che riempiva anche nostro malgrado le teste un po’ vuote”.
E come se improvvisamente Milano fosse tornata a pensare, come se il lato umano assopito sotto la corteccia della capitale economica avesse preso il sopravvento, come se il cantico di Roberto Vecchioni in piazza Duomo sabato scorso fosse stato profezia musicale di una strada complicata da percorrere. Ora che i palazzi e gli imperi della metropoli sono costretti a far silenzio, questa Milano non può tacere più di fronte ad una multi etnicità culturale e sociale che la rende sempre più “meticcia”, nel viso e nell’anima.
Riguardando i manifesti sparsi in città con il volto di donna Letizia, ho rivisto il ghigno ingessato della Thatcher, la Lady di ferro anglosassone che un dì ha temuto di essere sbaragliata da qualche ragazzotto sbarbatello laburista della porta accanto. Certo, questo Pisapia sbarbatello non è, ma ha quell’aria scanzonata che al primo impatto lo rende poco padano.
Un boomerang, un uragano? Può darsi. E anche se si fermasse al ballottaggio, l’aspirante sindaco anti-Berluscones ha fatto tremare la terra sotto i nostri piedi. Per una volta una minoranza allargata ha gridato: Milano un pensiero ce l’ha e non è figlio del dio denaro.