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Sorrento orfana di Raffaele Gargiulo, mastro della grafica pubblicitaria

Rosario PipoloI luoghi e la loro storia sono fatti con i mattoncini dei “gran lavoratori invisibili”, coloro che muovono ogni piccolo passo sulla zolla della loro terra. Sorrento e la sua penisola restano orfane di Raffaele Gargiulo, mastro della grafica pubblicitaria, e ammettono di non reggersi sulle palafitte del pittoresco, della canzonetta da cartolina o nell’invadenza del turista che saccheggia bellezze e memorie del posto. La Penisola Sorrentina è fatta soprattutto dei mastri che, rinchiusi nelle minuscole botteghe, fanno della laboriosità un’arte, dove la creatività racconta la spigolatura del territorio.

Classe 1955, Raffaele Gargiulo aveva esplorato gli anni ’80 con una convinzione: la grafica pubblicitaria non doveva per forza sottomettersi alle ossessioni dei grandi brand. Il grafico era prima di tutto un artigiano e l’artigiano, proprio come gli incisori dell’antichità, si realizzavano e “realizzavano” nelle loro piccole botteghe. La bottega che fungeva da laboratorio per progettare, creare, impaginare con la meticolosità del certosino, prima che i computer e il digitale inghiottissero la manovalanza.

Gargiulo fu tra i primi in Penisola Sorrentina a sposare la filosofia del Mac, prima che i macchinari magici della Apple si riducessero ad oggettistica di culto e di moda. Quando la sua arte grafica segnò  il passo dell’evoluzione dell’immagine del turismo locale, lungo il corso degli anni ’90, Gargiulo lanciò un appello chiaro: la sinergia e lo spirito collaborativo sul territorio e il coinvolgimento dei giovani restano la sola congiuntura di una prospettiva verso il futuro.

Dalla sua tana di Trasaelle, che lo rese “cavernicolo dell’immaginazione”, ovvero fagocitatore di quella primordialità che fa delle passioni il gusto per la vita, Raffaele Gargiulo fece del suo distintivo tratto grafico la peculiorità di ogni progetto, da una brochure ad una locandina, per raccontare i dintorni e i contorni. Perciò stasera, appena la Penisola Sorrentina sarà a luci spente, accenderemo gli schermi dei nostri Mac e proietteremo la luminosità dei desktop verso il cielo. Raffaele Gargiulo riconoscerà le sue icone e in tipografia ripartiranno le rotative per la ristampa dei suoi lavori, che in filigrana hanno raccontato qualcosa anche di questa zolla di terra, la sua.

Diario di Viaggio: assieme al Covent Garden di Meta di Sorrento

Nei miei viaggi c’è sempre una tappa che non capita mai per caso, perchè ritrovo un pezzettino poco invadente della mia memoria. Al Covent Garden Pub a Meta di Sorrento ho rincontrato qualcosa della mia Londra, quella che mi accoglieva con i grandi musical; ho guardato in faccia la penisola sorrentina che mi ha riportato ai miei esordi sulle pagine del quotidiano il Golfo;mi sono convinto che la complicità familiare può rendere un’attività lavorativa meno dura e trasmettere agli altri la voglia di tornare a stare assieme.
Papà Franco, titolare, inforna pizze e sorride, dopo essersi lasciato alle spalle venti anni di lavoro da dipendente. Poi mi nascondo in cucina, come da bambino facevo sotto la gonnella di nonna Lucia, per assaggiare le coccole cucinate da mamma Carmela, che con il supporto della zia Emma, persino tra i dolci ripropone  quelli fatti in casa con le mani d’oro delle nostre madri. C’è chi si diverte al game Dr. Why seguendo le scaramucce simpatiche di Paolo, c’è  chi chiacchiera sorseggiando i cocktail della bartender Benedetta, io invece sono seduto al mio tavolo. Tra un morso e l’altro del mio panino fantasia, mi perdo tra i sogni di Alessandra e Massimo, che combattono tutti i giorni per uscire dall’infame tunnel della precarietà lavorativa e costruire un futuro di vita coniugale. Tra spizzichi e bocconi si inserisce la simpatia di Michela e Valentina, che quando servono ai tavoli sono davvero uno spasso.
Eppure questo clima di unione e famigliarità, allo scoccare della mezzanotte, mi ha fatto pensare: queste persone inconsapevolmente contribuiscono a rendere il nostro Sud migliore, ma soprattutto a far sentire più unito lo stivale italiano. Poi la mega torta per tutti ci ha rammentato con euforia che la nostra Italia ha soffiato le prime 150 candeline. Che fatica spegnerle tutte, ad una una, pensando che ogni fiammella è luminosa quanto chi ha illuminato il sogno di vivere sulla stessa penisola.
Andando via a malincuore dal Covent Garden, mi sono riportato proprio questo entusiasmo testardo di tornare a stare bene con gli altri. In auto, brancolavo nel buio, fiancheggiando un meraviglioso mare. Ho allungato la mano per rubare una carezza alla persona che mi stava accanto, ma voltandomi ho visto il sedile completamente vuoto. Non c’era nessuno. Ancora una volta sono tornato nel mio Sud per riprendermi qualcosa che credevo fosse mio, invece sono ripartito con una “tasca piena di sassi”: sono i sassi della memoria che si ammorbidiscono quando si dilata il tempo presente e forse diventeranno fiori in un improbabile tempo distante.

Il mio addio “in ritardo” a Domenico Di Meglio, direttore del quotidiano IL GOLFO

domeni-di-meglio-ischia150Ho sempre snobbato la stampa locale campana e i motivi sarebbero troppo lunghi da spiegare. Quando ho iniziato a fare questo lavoro, il mio destino mi ha portato al Golfo anziché al Giornale di Napoli. Ho preso il traghetto per Ischia e mi sono presentato dal direttore per un colloquio dicendogli: “Voglio fare questo mestiere, ma non sono né figlio né nipote di un giornalista”. E lui mi ha dato una pacca sulla spalla, replicando: “Sei coraggioso, ma da noi non c’è bisogno della raccomandazione.”. Qualche giorno fa a Milano, per un beffardo gioco del destino, ho scoperto che Domenico Di Meglio, esemplare giornalista e direttore del quotidiano Il Golfo, se n’è andato poco più di un mese fa: giusto il tempo di finire l’ultimo editoriale e la sua penna si è fermata per sempre. Di Meglio o lo adoravi o lo detestavi. Lo detestavano coloro che non gradivano “i militanti dell’informazione” combattivi e senza peli sulla lingua. Lo adoravano quelli come me che, al di là degli allineamenti ideologici, erano esterefatti dalla sua tenacia. Non ho mai subìto alcuna “censura” sotto la sua direzione: una volta ho scritto un lungo elogio al teatro-canzone di Giorgio Gaber e lui col suo modo sornione mi ha sussurrato: “Da qualsiasi parte sei, la grande arte resta sempre tale”. Conoscendo Domenico Di Meglio ho imparato a voler bene agli “isolani” e il rammarico è quello di non esserci stato all’ultimo saluto. In ritardo gli scrivo: “Direttore, mi spiace essermene andato perché tu dicevi sempre che noi giovani eravamo la salvezza del Sud. Ho mollato, sono stato un vigliacco”. Addio a Domenico Di Meglio, giornalista di trincea che ha trasformato un quotidiano locale in una voce forte del golfo di Napoli e delle sue Isole.