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Buon Ferragosto: “C’era una volta la vacanza estiva…” e la riflessione amara di Massimo

E’ cosa rara nei giorni a cavallo di Ferragosto incrociare riflessioni intelligenti dei vacanzieri facebookiani. Le bacheche del social network di Zuckerberg straripano  con foto e video in cui si fa a gara a raccontare la vacanza più bella. Lo stile dello storytelling di Facebook, che in tanti casi diventa goffo, richiama quell’ ”ostentazione della felicità” di cui leggevo in Rete qualche settimana fa.

Torniamo a noi e alle rare riflessioni intelligenti di Ferragosto: ne ho trovata una, pubblicata di getto da Massimo, over 40 napoletano, sulla sua bacheca Facebook e, che per fortuna, non è finita strozzata in un angolo dai maledetti algoritmi che riempiono i news feed di banalità e stupidità.

“C’era una volta la vacanza estiva… la vacanza che durava talmente tanto che prendevi l’accento del posto. La mattina in spiaggia, pure se ne avevi già a decine, ci voleva la mille lire per comprare i braccioli, il pallone, il cocco (…) Oggi la vacanza dura talmente poco che, quando torni, nun saje se sei partito o te le sunnato.”

L’incipit non appartiene alla filastrocca nostalgica di un over 70, anche perché sappiamo bene quanto rimpinzare i pensieri vacanzieri di nostalgia sia un errore grossolano. Piuttosto questo è l’incipit della lucida consapevolezza di un quarantenne e di quel cambiamento sociale che ha portato a strizzare i giorni della tanto attesa vacanza.

Quella a cui Massimo fa riferimento si chiamava “villeggiatura” e non aveva niente a che vedere con le mini vacanze stressanti dei tempi odierni, in cui tutti si improvvisano provetti viaggiatori, vomitano lamentele per le cancellazioni di Ryan Air, fanno a gara a chi arriva più lontano.

“C’era una volta la vacanza estiva… il venerdì chiudevano gli uffici, i negozi e tutti i papà partivano e venivano per stare nel fine settimana con le famiglie. Si era felici, si giocava tutti insieme, eravamo tutti uguali e se qualcuno non tanto lo teneva nessun problema, dove mangiavano in quattro, mangiavano anche in cinque, sei o più”.

Quanto vale oggi il diritto alla disconnessione per i miei coetanei “papà” con lo smartphone sotto l’ascella sudata per buttare l’occhio di tanto in tanto alla posta elettronica lavorativa?

“C’era una volta la vacanza estiva… l’unico problema di noi bimbi era non bucare il pallone, non scassare la bicicletta, nun te scassa’ ‘e ginocchie giocando, altrimenti quando rientravi avive pure ‘o rieste. Il tempo era bello fino al 15 agosto, il 16 arrivava il primo temporale e la sera ci voleva il maglioncino di filo. Intanto arrivava settembre, si tornava a scuola, la vita riprendeva, l’Italia cresceva e il primo tema era sempre parla delle tue vacanze. Oggi bambini viziati e nervosi, vanno al campo estivo dal 1 giugno al 31 luglio, poi al miniclub e il 3 settembre a scuola… con mamma e papà quando ci stanno? Mamma e papà non hanno mai tempo, il lavoro, le faccende, gli impegni, Facebook, il cellulare…”

La villeggiatura della nostra infanzia e adolescenza ritinteggiava nel giusto arco di tempo le pareti della stanchezza accumulata durante l’anno scolastico e ci offriva l’opportunità di ritrovare, oltre la prospettiva dei castelli di sabbia, i valori intorno a cui volteggiava la vita familiare.
Non era il tempo della corsa sfrenata per ostentare la felicità nella centrifuga virtuale, perché eravamo davvero inebriati di felicità e a vista d’occhio. Non eravamo sballottati da un’attività pre-vacanza all’altra, perché i nostri genitori non dovevano competere con altre priorità, al di là dei ricatti dell’emancipazione sociale.

Si dice che quella era un’altra Italia, così come i nostri nonni dicevano lo stesso della loro. La domenica d’agosto di nonno Pasquale e nonna Lucia, di mia mamma, assomigliava a quella in bianco e nero dell’omonimo film di Luciano Emmer con la mappatella, l’ombrellone in spiaggia, il cibo e le stoviglie portate da casa. Il Ferragosto dei miei nonni napoletani al Lido Pola a Coroglio era una tavolata chilometrica condivisa con tutti i condomini vicini dei Campi Flegrei.

La domenica d’agosto della mia generazione invece è stata a colori proprio come le vacanze estive raccontate tutte di getto da Massimo .

“C’era una volta la vacanza estiva… ogni tanto mi chiedo se fosse meglio allora o adesso. Una risposta certa non so darla. So che allora eravamo tutti più felici, la società era migliore, esistevano l’amore, il rispetto, la solidarietà.”

“Quante cose son passate ormai, quante cose non torneranno mai…”, cantava Vasco. L’amarezza resta prima e dopo. Buon Ferragosto!

Diario di viaggio: naufrago sull’Elba di casa mia

Rosario PipoloL’Elba è l’isola che non ti aspetti, soprattutto se ci capiti per un viaggio fuori programma. È Caprese negli spicchi che cantano a squarciagola la salsedine del mare cristallino di Cavoli; è Corsa nell’entroterra che fa delle alture e della vegetazione la plancia contadina dell’isola che non c’è.

L’isola c’è ma non solo nella costa frastagliate che agguantano la baia di Sant’Andrea o le spiagge selvagge avvistate oltre Porto Azzurro. L’isola esiste sulle alture dei borghi sospesi come Marciana Alta, dove le vecchie case scoperchiano la consistenza della memoria o nell’acqua della fonte napoleonica che rumoreggia sulla piazzetta di Poggio.

Si può essere elbani quando Angelo di Poggio trasforma l’ospitalità di un Bed & Breakfast in un canto di storie e di aneddoti che ti fanno mescolare con quella gente per un giorno, per due, per tre, per sempre.
Si può essere elbani quanto le pappardelle fatte a mano da Antonella di Porto Azzurro fanno inghiottire al gusto dell’entroterra i sapori della costa così che i funghi porcini aggrediscano cozze e vongole.
Si può essere elbani quando scopri che la donna affacciata alla finestra è Emilia Pignatelli, scenografa di Fabrizio De Andrè e occhio poetico che rese infrangibile la bambina sulla copertina di Anime salve, album testamento di Faber.

Mentre il turismo di massa se ne sta in spiaggia tra il chiasso di pisani e livornesi litiganti furiosi per accaparrarsi un posto auto, sbucano le cafoncelle vestite di goffaggine provinciale e preoccupate di collezionare tintarella e tuffi, perché illuse di essere chic.
L’isola dell’Elba le fa tornare a casa con un palmo di mosche in mano, le lascia senza abbronzatura, e per giunta con fastidiosi starnuti allergici, sculacciandole e mortificandole per la vuotezza da fradicia turista.

L’Elba premia invece il viaggiatore che sa ascoltare il richiamo della memoria, salendo le scale di Porto Ferraio e riconoscendo il rigurgito della storia rinchiuso tra le mura domestiche di Villa dei Mulini: l’epopea di Napoleone Bonaparte colta sul viale del tramonto dell’esiliato, tra le pagine dei libri ingialliti e il rumore dei passi dello spettro che l’ode manzoniana custodì integra nella sua totale umanità, come il faro che si intravede dalla finestra.

Vorresti non ripartire più, ma ormai la nave è salpata e ti obbliga a guardare in direzione della terra ferma, verso gli scheletri dell’Italsider di Piombino che invece nascondono tutt’altro. In treno incroci Stefania, psicologa e insegnante,  che ti svela l’altra faccia di Piombino e allora forse è già quello punto di partenza del viaggio che verrà.

A Pisa, in piazza dei Miracoli, attraverso gli occhi chiari di Simona, ritrovo riflesso il mare cristallino dell’isola dell’Elba. Danzano i ricordi e le nostre anime di viaggiatori che si tengono per mano. Il futuro è negli zaini che la vita ci ha messo addosso perché, attraverso questa instancabile voglia di viaggiare, riconosceremo nell’altro lo specchio per guardarci nell’anima da vagabondi e capire quale sarà la prossima meta. Il viaggio non finisce, mai e poi mai.

Diario d’estate: In spiaggia con “I Promessi Sposi”, ma non ditelo a Umberto Bossi!

Mi ha fatto un effetto strano cogliere in flagrante un ragazzino in spiaggia in compagnia della sua lettura estiva: I Promessi Sposi. Certo che Renzo e Lucia non sono proprio da mare e per questo mi è venuto il dubbio: Chi ha messo in castigo il giovane lettore sulla battigia dell’Adriatico? Certamente non Umberto Bossi, che di recente se l’è presa con Alessandro Manzoni per aver scritto il suo capolavoro “in italiano” e per essersi “venduto al Re d’Italia”.

Si sa che nella Lega non vanno mai d’amore e d’accordo. Mentre il Senatùr sbraita contro i Promessi Sposi, c’è da dire che c’erano pure tanti leghisti tra gli oltre 20 mila accorsi allo stadio di Lecco alla fine dello scorso giugno, per applaudire la versione teatrale di Michele Guardì.
Sarà che il Senatùr non ha colto la tagliente ironia manzoniana – l’ha tirata fuori il trio Marchesini-Solenghi-Lopez nell’irripetibile parodia televisiva – sarà che basta un pizzico di goffaggine e sfrontatezza in Padania per dimenticare che i veri “venduti” sono proprio le vecchie guardie che si infuriavano contro Roma ladrona.

Tornando ai Promessi Sposi, bisognerebbe capire se i leghisti stanno dalla parte di Alessandro Manzoni o Umberto Bossi. Nelle lande verdeggianti tra Como e Lecco, un dì possedimenti feudatari degli acerrimi leghisti, pian piano tira tutt’altro vento. E forse gli stessi contadini comaschi e lecchesi – loro che bestemmiavano contro i terrùn – hanno recuperato il loro rapporto con il lago attraverso lo stralcio poetico dell’Addio ai monti manzoniano. Del resto la cialtroneria al megafono ha contribuito alla fine dei tempi d’oro della Lega. Le prossime generazioni ricorderanno la penna leale di Alessandro Manzoni e dimenticheranno in fretta i cortigiani cafoni della vecchia Padania.

Villeggiatura o vacanza da catalogo?

E’ arrivata l’estate. Il caldo afoso anticipato ci fa presagire che anche le stagioni non ne possono più dei nostri scempi ecologici ai danni di madre natura. Nell’epoca della globalizzazione, dove vige il culto della “vacanza breve di alta qualità”, si fa a gara a chi va immergersi nei mari più lontani. Adesso con Internet è ancora più semplice. Pochi clic, acquistiamo un pacchetto turistico su misura e siamo tutti felici e contenti. Atmosfera vacanziera o stress da vacanza?
Eppure c’è un termine, gettato nel dimenticatoio, che caratterizzava le nostre estati di tanti anni fa: la villeggiatura, ovvero “la permanenza a scopo di riposo e svago in località adatta”. Sfogliando il dizionario della lingua italiana, il significato di questa parola è molto chiaro. C’era una ritualità nelle partenze e negli arrivi che andava dall’affitto della casa a quello dell’equipaggiamento per l’auto con accortezza e meticolosità. Dove sono finite quelle piccole spiagge di provincia, affollate e rumorose, i nostri castelli di sabbia, le lunghe corse in riva al mare, gli sguardi sdolcinati pomeridiani degli innamorati, quelle brevi escursioni in canotto, le schizzate d’acqua salata, quei tuffi ridicoli a pochi metri da riva, i ghiaccioli sciolti al sole o i canti notturni delle cicale che accompagnavano i nostri sogni beati? Dove sono finite le voci campanulate delle nostre mamme e delle nostre nonne che ci invitavano a rincasare perché il pranzo era pronto? Tavole imbandite, profumi indimenticabili e una folla di amici e parenti. Niente albergo, niente pensione o mezza pensione, ma soltanto villeggiatura. E se fosse soltanto un capriccio nostalgico? Tuttavia, con la consapevolezza che la nostalgia di un trentacinquenne è più patetica di quella di un sessantenne, una riflessione trova sempre la sua buona giustificazione nel passato o nel presente. Buona villeggiatura, anzi pardon, buone vacanze con la speranza che le vostre non siano “da catalogo”.