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Alice e Renato: Felicità è…tenere lontani i bimbi dalla babysitter digitale!

Rosario PipoloGuardandomi intorno vedo decine e decine di bambini, nella fascia di età che non supera i quattro anni, affidati alla cura lampo di quella che io stesso definisco babysitter istantanea: La tecnologia. Una volta per tranquillizzare un bimbo irrequieto bastava un ciuccio zuccherato, oggi è sufficiente un iPhone o un tablet. Li osservo con gli occhi sgranati sulle iconcine delle app come se avessero trovato nel riflesso di quelle diavolerie la finestra per scoprire il mondo.
Tuttavia, il mondo non può essere raccontato né da un’applicazione né dalla nostra insistenza a convincerci che il virtuale possa stimolare il pargolo. Senza tirarla troppo per le lunghe, una fattoria animata su iPad potrà mai sostituire quel pomeriggio in cui mio padre mi portò in una fattoria, presentandomi galline, cavalli ed asinelli?

I ruoli potrebbero invertirsi. Cosa accade invece se un bimbo coglie in flagrante un quarantenne come me rapito da app, check-in e idiosincrasie da social network? Succede che ti guarda di sbieco come per dire “Il marziano sei tu o sono io che mi tuffo nell’erba, non so cosa sia un televisore o escogito un modo per ampliare la mia casetta di legno?”. La piccola Alice mi ha dato proprio una bella lezione che richiama una convinzione di Rudolf Steiner: “C’è una sola via per arrivare alla saggezza. Si chiama amore”.
E forse il ruolo di adulti dovrebbe essere quello di tenere alla larga i nostri bimbi dalle prigioni in cui siamo finiti con il passare degli anni. Alice si considera una “bimba adulta” perché ha nove figli, ovvero nove bambolotti di pezza senza volto, perché è la sua immaginazione che li restituisce l’anima. Via le maschere imposte dalle multinazionali che qualche volta mortificano la libertà del paradiso infantile? Perchè no!

Alice potrebbe far merenda con il piccolo Renato, tre anni e mezzo, che conosce a memoria mezzo repertorio di Bob Marley. Il papà lo ha tenuto lontano dal babysitteraggio digitale, cantandogli all’occorrenza con la chitarra i brani del re del Reggae. Alice e Renato sono bimbi felici perché chi sta accanto a loro ha compreso che “amore” e “saggezza” sono due facce della stessa medaglia e che non sono i riflessi di un touchscreen.

Per il CES di Las Vegas un 2013 tra smartphone e tablet. E l’anima?

Rosario PipoloIn questi giorni al CES di Las Vegas “i Maya della tecnologia” stanno mettendo nero su bianco la profezia per questo 2013: Smartphone e tablet affolleranno le nostre vite e i netbook, sostituiti dai phablet (phone+tablet), ci sembreranno diavolerie preistoriche. Ovunque mi giri vedo adulti, adolescenti e, spesso anche bambini, con gli occhi abbassati. Non ti degnano più di uno sguardo curioso perché sono rapiti in preda al panico da touchscreen. Durante le ultime vacanze natalizie mi è capitato di assistere a episodi imbarazzanti: una chiacchierata in cui ogni membro in quella stanza aveva l’occhio rivolto al pc, telefono o tablet. Da una parte le illuminazioni stradali ridotte ai minimi storici dalla spending review, dall’altra le palline verdi della chat di Facebook in aumento come su un albero di Natale gigante.

Mentre gli indigeni digitali come me si crogiolano con il giustificativo alla mano – chi lavora nel digital deve essere un “animale social ad ogni costo”? – gli altri sono imprigionati dalla nuova tendenza che “la socializzazione” debba scendere allo sporco compromesso con il virtuale. Non siamo contenti del posto in cui ci troviamo e cerchiamo la fuga. Nei buoni propositi dell’anno nuovo mettiamo a capo lista l’impegno di ridurre il tempo da dedicare al totem touchscreen. Lo ripetiamo in mille salse, ma poi facciamo un buco nell’acqua. In fin dei conti “la piazza digitale” ci ha consegnato il superpotere più illusorio dell’epoca social: lo “sharing” del nostro piccolo mondo come pozione magica per essere ciò che nella realtà non riusciamo ad essere.

Lo storytelling nel più grande reality che sia mai stato visto sarà ancora la strada maestra che ci ostineremo a percorrere nel 2013? I guru del CES ci vedono come esseri bionici dall’anima “phablettizzata”; gli strizzacervelli ci mettono in guardia perché questa dipendenza ci condannerà a svuotare la nostra personalità per far spazio ad ansia e frenesia. E noi come ci vediamo? Il primo passo del cambiamento sarebbe schiacciare il bottone della nostra interiorità. Spegnere l’interruttore di uno smartphone non significa morire, ma riprenderci il vero superpotere che ci è stato donato dalla vita: accettare noi stessi con difetti e virtù, recuperando la bellezza di un legame vero – sentimentale, amichevole, familiare – e lottare perché resti testimone nella realtà del significato delle nostre esistenze*.

  In vetrina al CES la tecnologia del futuro


*Con questo post il 10 gennaio 2013 Autore del Giorno su Paperblog Italia!

Pulitzer all’Huffington Post: La resa dei conti del giornalismo digitale

Uno smacco? Il premio Pulitzer se lo sono pappati quelli di Huffington Post, il sito all-news che è l’ultima frontiera del giornalismo digitale. Una sorpresa che gira bene sui social e che legittima ancora i percorsi intrapresi da alcuni di noi. Mentre la carta stampata diventa più vintage – anche i free press stanno andando a farsi benedire – l’informazione tritata nei bit ha ormai il suo device di consultazione: è proprio il tablet che qualche tempo fa lo stregone Steve Jobs consegnò a noi smanettoni e che ora, con i prezzi a ribasso, è sempre più alla portata di tutti.

Stanno scemando i tempi delle caste e dei privilegi di chi aveva in mano la penna e l’inchiostro. Questo non basta più, così come illudersi che sia sufficiente saper scrivere per fare di un sogno di molti la professione di pochi. Mentre Facebook e Google cercano di rinchiuderci tra mura blindate – un ex Google man potrebbe essere al timone dell’avventura Huffington made in Italy – si tentano nuove strade perché qui il nocciolo della questione è quello: chi li tira fuori i soldi per pagare l’informazione del giornalismo digitale, visto che la pubblicità on line non fa fare tanti quattrini?
Mi riferisco a quella di coloro che lo fanno per mestiere. I social network sono diventati la piattaforma più efficace per distribuire contenuti. Tuttavia, chi produce contenti social è sotto l’occhio del ciclone: non è poi così banale buttar giù un update di Facebook o una Tweettata, così come per uno storyteller non vale sempre la regola che la leggerezza la faccia franca sulla coerenza del trattamento riservato a qualsiasi notizia.

I prossimi mesi saranno cruciali ed è inutile stare a piangersi addosso, tanto l’editoria continuerà a depennare tanti posti di lavoro. Tutti a casa? Assolutamente no. Non è l’inizio, ma paradossalmente la fine del tunnel. Affacciandosi in Europa e al di là dell’oceano, stiamo capendo che direzione prendere, affinché ognuno di noi dia un contributo attivo alla definizione del nuovo identikit del giornalista, tenendo conto del lettore 3.0. Quest’ultimo avrà una voce più partecipativa, adocchierà l’informazione se si sentirà parte di una community e sarà pure disposto a pagare la notizia, se troverà professionisti veloci e puntuali. Le penne lumache finiranno in soffitta, perché in questa fase di interegno il destino è segnato: la carta sarà la landa isolata dell’opinionista, il digitale la spugna delle news in tempo reale. Sarà la volta buona per sbattercene di ordini di settore, cattedre o tribù?

iPad, Apple e la nuova frontiera del giornalismo on line

Fino all’altro ieri Apple era un brand di nicchia. Ieri ha imposto una filosofia di vita tra iPod e iPhone. Oggi l’iPad (499$), il tablet touchscreen del profeta  Steve Jobs, trasforma Apple in una religione monoteista con un comandamento che non si discute: “Non avrai touchscreen all’infuori di me” perchè le altre due divinità, IBM e Microsoft, sono state cancellate dalla Bibbia dell’informatica. Quella dell’apostolo visionario Jobs è stata una crociata e l’iPad, a metà tra un iPhone e un notebook, potrebbe essere la rivoluzione di Gutenberg del XXI secolo. Infatti, il “giocattolo diabolico”  accelererà la disfatta dell’editoria tradizionale e aprirà una nuova e più pericolosa frontiera del giornalismo on line. Dico più pericolosa perchè sarà, nell’ottica degli addetti ai lavori, un vera e propria macelleria. Quale mercato o futuro avranno i giornalisti che si sono interstaditi a demonizzare Internet e a condannare blogger e colleghi, che hanno trasclocato sul web una decina di anni fa? Facciamoce una ragione: la carta stampata è già un feticcio romantico e sentimentale. Ora sono gli editori a correre dietro alla Apple – come si inserirà Google in questa rivoluzione copernicana? – perchè nessuna testata potrà rinunciare ad adattare le dimensioni allo schermo del tablet magico. La nuova frontiera frutterà a Murdoch il naufragio più rapido verso “la notizia a pagamento” e di certo gli editori italiani non se ne staranno a guardare, facendo finta di niente. Mi sono laureato nel 1998 e  la proposta di una tesi on line ha fatto innervosire il Preside di Facoltà. L’ho fatta franca e mi sono presentato con un desktop ingombrante a supporto delle mie convinzioni sull’evoluzione dei contenuti sul web. Se mi fossi laureato quest’anno, avrei chiesto a Steve Jobs di farmi da sponsor, per consegnare un iPad ad ogni membro della commissione. Cosa sarebbe stato leggere e commentare quelle trecento pagine di carta su un touchscreen! Pura stregoneria? Forse allora.