Pipolo.it

Blog e Sito di Rosario Pipolo online dal 2001

Diario di viaggio: Primavera sull’A1 su e giù per l’Italia…

Io e Antonio non ci vedevamo da anni. Ci siamo ritrovati nella stessa auto per attraversare l’Italia dal basso all’alto. Io ero un ragazzino, ma lui già era adolescente e mi ricordo di quando si beccava le ramanzine dai genitori perché studiava poco per correre a giocare a pallone. Dovrebbero sentirlo parlare oggi, papà Gennaro e mamma Clara sarebbero così fieri di lui per come è diventato.
Siamo sull’A1 all’altezza di Caianiello, è quasi l’alba, Antonio va alla guida spedito e mi racconta con orgoglio dei figli, di quanto sia importante il ruolo della famiglia, degli spostamenti per lavoro, di quei pezzi della vita che mi sono perso. Siamo all’altezza di Roma e il condominio Stella Maris, dove abbiamo vissuto, diventa un dolcissimo avanzo della nostra memoria: la ragazza dai capelli lunghi della scala A, la signora del secondo piano, la ciurma dei bambini del quinto piano, l’amministratore baffuto, il nostro vocio nel cortile del palazzo, le litigate dei più grandi e la magia che noi più piccoli creavamo quando rincorrevamo il cielo, quello che ci sovrastava alla fine degli anni Settanta.
Siamo all’altezza di Firenze Sud, c’è traffico e restiamo in silenzio sulle note di una canzone. E’ lì che lascio ad Antonio la mia confessione: la scomparsa prematura della mamma, a cui ero legato particolarmente, ha marcato il passaggio dalla mia infanzia all’adolescenza, perché allora pensavo che gli angeli prima di diventare tali dovessero invecchiare. Siamo all’altezza di Bologna e ci sembra che l’energia della memoria ci abbia fatto ritrovare il significato dei legami, e la certezza che quelli che nascono nella prima parte della vita non si dileguino mai.
Arriviamo ad un Autogrill a Parma. Cambio auto, sono in ritardo, mi aspettano per un’intervista. Io e Antonio ci salutiamo con un caloroso abbraccio, ma appena lui va via avverto la stessa sensazione di quando lascio il mio Sud: quell’indolenzimento che provavo da bambino appena sua mamma mi faceva la puntura. Questa volta però non ci sono le carezze della signora Clara a tranquillizzarmi e neanche una telefonata per sapere come sia andato il viaggio.
E’ Primavera, e me lo ricorda stranamente Milano appena arrivo nel tardo pomeriggio. La partenza di qualche giorno fa è tornata ad essere arrivo. Eppure una milanese atipica cancella quel piccolo livido con un messaggio casuale: “Tutto bene il viaggio?”. Qualcuno è tornato a preoccuparsi di me e quel gesto è stato uno scossone, un pizzicotto che mi ha finalmente risvegliato, forse grazie ad un’Alice, che ha percepito la stanchezza di questo mio viaggio, lei l’unica sopravvissuta “nel paese delle meraviglie”.

Cartolina da Lussemburgo: donne alla larga dal viaggiatore low cost!

Al di là della meta scelta, il viaggiatore low cost ha la sua insostituibile religione: “volare” a prezzi bassi. Lussemburgo non è una meta proprio comoda, perché le alternative sono due per non svuotarsi le tasche: RyanAir che atterra su Hahn in Germania o su Charleroi in Belgio. Da lì un autobus Flibco che costa piu’ del biglietto aereo. Diciamo pure che questa cartolina da Lussemburgo ha rischiato di non arrivare mai a destinazione. Quando nei miei itinerari c’è di mezzo l’auto, è meglio non avviarsi proprio. Quella mia “sbuffa” perché si è impigrita a furia di sostare nel box, quella degli altri gioca brutti scherzi.
Questa volta, per farcire il mio diario di viaggio, ero pronto a tornarmene in auto assieme al mio amico Lorenzo. Un’insolita occasione per attraversare con le quattro ruote un pezzetto d’Europa in compagnia di un “belga” dal sangue terrone, che passa dal francese perfetto al pugliese più popolare. Poche ore prima della partenza verso Lussemburgo ecco la lieta notizia. L’auto è dal meccanico e così ero senza il passaggio del ritorno.
Cosa fa il viaggiatore low cost? Calma e sangue freddo prima di tutto. Certo l’acquisto di un volo a pochi giorni dalla data fissata significa pagarlo un occhio della testa. Se poi penso a quel biglietto per Porto a 6 euro, figuriamoci se 70 euro non mi sembrano un saccheggio. Lussemburgo è  tra le capitali piu’ care d’Europa  e, se non fosse stato per Hostelbookers, col cavolo che trovavo un alloggio a poco prezzo! E senza l’aiuto di Mario, il portiere lussemburghese dell’ascensore che porta alla citta’ bassa, in piena notte non avrei mai trovato la strada.
La resa è la peggiore sconfitta per il viaggiatore low cost. Perciò con audacia ho bloccato un biglietto a 40 euro, a patto di passare mezza nottata nell’aeroporto deserto di Charleroi, nei pressi di Bruxelles.
Il viaggiatore low cost sarà pure coraggioso, ma poi si perde “le donzelle” per strada. Convincere una “lei”, abituata a portarsi dietro 10 chili di paia di scarpe, alle restrizioni di RyanAir sul bagaglio è impossibile o quasi. E pensare che c’ero riuscito con la scusa dell’auto e della possibilità di fare shopping sfrenato! Macchè, dopo la telefonata di Lorenzo, chi aveva il coraggio di dirle che anche al ritorno avremmo avuto restrizioni sul bagaglio? Il viaggiatore low cost avrà pure il suo vangelo, ma deve stare alla larga dalle femmine. Barattare il romanticismo by night di una capitale europea con una scorta di scarpe funziona solo una volta all’anno, forse a San Valentino!

Una sconfinata giovinezza, dal film di Avati agli occhi di Olga

Io e Pupi Avati abbiamo qualcosa che ci accomuna: il ricordo come capostipite della vita. E se affilassimo la punta del glossario di Foursquare, azzardiamo pure che “la memoria avatiana” ha una sua precisa geolocalizzazione, che vive nell’Emilia-Romagna del regista di Una sconfinata giovinezza. Convivere con una malattia come l’Alzheimer? Mica è roba da poco e poi, quando si tratta di cinema, affrontare certi temi diventa pericolosissimo. Avati ci ha provato, si è fidato (e ha fatto bene!) di un fuoriclasse come Fabrizio Bentivoglio e ha sfornato un bel film, a tratti un pugno nello stomaco, a tratti emozionante come nel finale poetico che a scanso di equivoci accartoccia tutto nella memoria. Da spettatore, durante il primo tempo, ho vissuto il terrore di trovarmi nei panni del degente, con cui condivido se non altro la stessa professione. Nel secondo tempo, mi sono interrogato su quale fosse la giusta via per sostenere un malato di Alzheimer.
Cinque anni fa, dopo aver attraversato in autobus gli USA per seimila chilometri, sono finito alla ricerca di una anziana prozia. Olga era la sorella di nonno Pasquale, aveva lasciato Napoli quando mamma era nata, e da allora in famiglia viveva tra le foto d’oltreoceano e la calligrafia delle lettere che ogni Natale ci inviava da Houston. Dopo aver bussato alla porta, mi sono trovato una signora ottantenne affetta da Alzheimer. Continuamente dovevo ripeterle che non ero il figlio del fratello Pasqualino, ma il nipote. Io e Olga abbiamo trascorso assieme 36 ore, mentre lei vagabondava nella sua “sconfinata giovinezza”, facente capo alla storia della mia famiglia. Lei era felice perché era tornata a preoccuparsi di qualcuno, cioè di me; io mi chiedevo come la condivisione della memoria avesse fatto germogliare un legame così in fretta. Le ho lasciata una foto fatta assieme con la vana speranza che non si scordasse di quel giorno e mezzo. Quando il volto di zia Olga è scomparso dietro  la finestra sapevo che non l’avrei rivista più. Qualche settimana dopo mi è arrivata un’email in cui mi scrivevano che, tutti i pomeriggi all’ora del tè, Olga poggiava lo sguardo sulla nostra foto e sorrideva.
Per la prima volta nella vita mi ero scrollato di dosso quel senso di inutilità che ti assale quando sei accanto ad un malato, che per gli altri magari è un rimbambito. Zia Olga aveva bisogno soltanto di amore, come il protagonista del nuovo film di Pupi Avati.

Diario di viaggio: la Corsica in “un dito”

Quando vai su un’isola, la traversata ha il suo perchè. In nave, per isolarti dal caos dei vacanzieri, basta incontrare la persona giusta: Lino, il genovese che sognò la Corsica. Lui, dopo tanti anni di lavoro passati al porto di Genova, ha comprato una casetta sull’isola francese e spesso se ne fugge lì con la deliziosa famigliola. Il tempo vola parlando della Genova di Faber e Tenco, delle delusioni della sua generazione, di pesto e farinata, di futuro incerto tra figli e nipoti. A Bastia Lino scompare in auto e per me inizia il viaggio avventuroso alla scoperta del Capo Corso, zaino in spalla e tenda.
Bastia è un misto tra Genova e Nizza, ma la città vecchia è così intrigante da farti perdere tra vicoli e vicoletti. Sentire un papà chiamare il figlio “Gennaro” ti incuriosisce: hai incrociato un Corso con amici a Napoli e quale miglior modo per siglare un patto d’alleanza, se non quello di mettere in mezzo il santo patrono partenopeo? Gli autobus in Corsica sono una rarità, ma il conducente è un tizio alla mano: viene dal “Continent” – così i Corsi chiamano i francesi – e fa l’autista da una vita. Seduta al tuo fianco c’è un’anziana signora che ti racconta la ua “jeunesse” andata in una casetta in riva al mare. Potrebbe essere il soggetto di una canzone da suggerire ai Muvrini, il gruppo musicale che trasfigura in note folk, tradizione e futuro.
Lontano dal chiasso del Belpaese, si resta rapiti della natura selvaggia del paesaggio, da queste spiagge isolate lungo la strada dove non ci sono bagnini, ombrelloni e lidi. Ci sei tu e l’immensità del mare; e non ci vuole tanto per capire che puoi fare a meno di internet, del telefono, dell’iPod, ma non puoi privarti dell’ebbrezza di assaggiatore vagabondo: formaggio locale, pane con le noci e una buona birra Pietra, tanto poi ci pensa il palato a fare il resto, ad indicarti la strada per vivere questo “dito” della Corsica. E vale la pena soffermarsi sui dettagli che la frenesia quotidiana ci sta scippando giorno dopo giorno: il grido del vento, i sussurri delle piogge estive, i cieli stellati che agguantano l’oscurità delle notti d’agosto, le strade deserte che ti fanno sentire un naufrago, metà Robinson Crousoe, metà Corto Maltese.
A Pietranera il mare si stropiccia sugli scogli; a Erbalonga le case diroccate ti spiano; a Porticciolo le discese sembrano gli scivoli che cercavamo da bambini; a Santa Severa le quattro anime che ci abitano entrano a far parte del tuo universo e ti dimostrano che i Corsi non sono così orsi come dicono; a Macinaggio le barche sono alla ricerca di acqua cristallina, quella innamorata della sabbia della spiaggia di Tamarone. L’aria da campeggio, quella al Santa Marina di Santa Severa, fa davvero bene perché ti riporta al minimalismo della vita, in tenda come un nomade, figlio delle intemperie, sottraendoti alle stupide preoccupazioni della vita metropolitana. C’è Freddy, che canta le canzoni di Carosone e Massimo Ranieri, e la sera ti prepara da mangiare: quando diventi grande hai la sensazione che nessuno si preoccupi più di te, mentre il viaggio ti restituisce la certezza che dovunque tu vada ci sarà sempre qualcuno a prendersi cura.
Poi ti improvvisi autostoppista e, da solo che eri, condividi questi giorni d’agosto con tante persone: dal livornese anarchico agli spagnoli che sognano l’indipendenza della Catalugna; dal grande costruttore di auto militari all’anonima coppia anziana; dal parigino, che in auto ti fa vedere i sorci verdi tra una curva e un’altra, al panettiere che ti sforna il pain au chocolat per le tue colazioni. E, quando stai per tornartene a casa e ti scivolano un paio di gocce salate sul viso, capisci che non si tratta né di sudore né di residui marini. Sono due lacrime invisibili che ti fanno tornare ai tempi in cui lasciavi i posti speciali delle vacanze della tua infanzia. “Speciali” perché erano le persone ad aver disegnato i contorni del tuo soggiorno. Gli altri torneranno abbronzati ad immergersi nella loro routine perché hanno fatto vacanza; tu invece non sarai più lo stesso perché hai fatto un viaggio. Un’isola come la Corsica può cambiarti, può fare da ponte nel sinuoso passaggio da vita ad esistenza. Ed io sono tornato ad esistere.

 

La sciarpa di Antonia

La sciarpa di Antonia sembra il titolo di un film sentimentale dei Paesi dell’Est, ma potrebbe essere anche il pretesto per iniziare meglio una nuova settimana.  La mia amica (An)Tonia  è passata a trovarmi a Milano. E pensare che da qualche parte circola ancora la prima foto scattata assieme una ventina di anni fa: io, un animatore bizzarro, che la teneva in braccio nel giorno del suo secondo compleanno! Dopo aver trascorso una bella serata assieme, mi ha lasciato un dono, come segno della nostra amicizia: una sciarpa di lana.  Cosa c’è di speciale? E’ un capo unico, è stata fatta ad uncinetto da Anna, sua nonna. Appena l’ho indossata, quel calore mi ha fatto sentire una persona speciale. Non avvertivo questa sensazione dai tempi in cui nonna Lucia mi faceva ad uncinetto sciarpe, cappelli e maglioni. Il filo di un gomitolo di lana mi riporta inevitabilmente a mia nonna, perchè dentro le sue sciarpe si intrufolava  un fragorosso abbraccio e una protezione materna. Antonia mi ha confidato che desiderava fare un giro in via Montenapoleone, temendo però di “sentirsi povera dinanzi a quelle vetrine bellissime”.  Antonia non si era resa conto di essere già  “la persona più ricca di questo mondo”, regalandomi quella sciarpa. Lei e sua nonna si erano improvvisate stiliste della mia memoria, due piccoli angeli custodi. La sciarpa di nonna Anna mi proteggerà dalle intemperie e mi farà sentire meno freddo anche nell’anima, quando tutto sembrerà rigare diritto. Stamattina, in treno, mi ci sono tuffato dentro, lasciando che le guance si confondessero con la lana. Era tutto più morbido, anche questo lunedì d’inverno, in cui ho ritrovato l’abbraccio della nonna di Antonia e di quell’altra nonna, che non ho mai smesso di cercare.

Al cinema con Baarìa per tornare in Sicilia

Una scena dal film "Bariia"

Rosario PipoloIl cinema può solleticarti l’idea di fare un viaggio; un viaggio fatto alcuni anni prima può spingerti ad andare al cinema per ritrovare quei luoghi. Baarìa è l’omaggio di Giuseppe Tornatore alla sua Sicilia in un canto visivo e corale dove quasi tutto il ‘900 si consuma ai margini di vita vissuta.  Sì è vero: ci sono i paesaggi ampi di Sergio Leone; ci sono i connotati storico-politici di Bernardo Bertolucci e del suo Novecento; ci sono eccessi di uno sfilacciante sentimentalismo tipico di Nuovo Cinema Paradiso; ci sono i picchi musicali ruffiani di Morricone e altre combinazioni che potrebbero renderlo già da “Oscar” agli occhi degli Americani. Tuttavia, nel nuovo film di Tornatore c’è una gestione calibrata del tempo e dello spazio che allontana in parte una comunità dai soliti stereotipi e da quella stemperata iconografia. Baarìa ha riscattato alcuni ricordi dei miei viaggi in Sicilia, e sicuramenti non quelli turistici e da cartolina legati a Taormina, Cefalù, la Valle dei Templi o Siracusa. Ha riscattato il mio viaggio di un pomeriggio d’agosto nell’entroterra arido e deserto tra la visita riflessiva in un piccolo cimitero di San Giuseppe Jato, la rilettura di una lapide a Portella della Ginestra e il retrogusto acidulo della ricotta a Piana degli Albanesi. E’ quella la Sicilia che voglio ricordare. Non penso che “percorrendo avanti e indietro per anni poche centinaia di metri, puoi imparare ciò che il mondo intero non saprà mai insegnarti”. Prima o poi bisogna andarsene, percorrere distanze chilometriche e prendere coscienza di quello che credevi fosse “l’ombelico del mondo”. Giuseppe Tornatore avrebbe fatto meglio a risparmiarci “le tette” della Bellucci per un cammeo di tre siciliani dimenticati: Lando Buzzanca, Franco Franchi e Ciccio Ingrassia.  

Cartolina da Belgrado

Belgrado by night

Rosario PipoloBelgrado guarda avanti. Niente pregiudizi e Tito resta solo un ricordo, nel rimpianto delle vecchie generazioni. La tomba del didattore icona della ex Jugoslavia è lontana dal centro, alle porte di un parco semi abbandonato. Vi arrivo dopo un’ora di cammino e scopro che c’è un biglietto da pagare. Rimprovero la guardia: “Non vi vergognate? Cosa direbbe il vecchio Tito se sapesse che avete trasformato la sua tomba in un’attrazione tustica?”. Mi fanno entrare. Il centro della capitale della Serbia è in pieno movimento a qualsiasi ora del giorno e le bombe della Nato sembrano roba di altri tempi. Passeggiare di sera sulle rive del Danubio è rilassante. Meglio mettere da parte i pregiudizi in materia di “sicurezza” e non fare figuracce: “L’anno scorso siamo stati a Milano e di notte è davvero pericolosa”, replica una giovane coppia serba. Belgrado ha l’aria di capitale sempre, anche quando ti mimetizzi talmente da dimenticare che sei un viaggiatore di passaggio. Di Emir Kusturica si parla poco, forse per i suoi giudizi audaci su fatti e luoghi. Mi sono portato come souvenir quasi tutti gli album di Goran Bregovic con una curiosa scoperta: non sapevo che avesse fatto parte dei Bijelo Dugme, il gruppo rock di punta dell’Jugoslavia che si è ispirato ai Led Zeppelin e ai Black Sabbath. Gli imprevisti capitano quando meno te lo aspetti, anche alla fine del viaggio. Sul treno del ritorno che mi riportava verso l’Italia, ero in bagno (mi scappava la pipì!) proprio mentre hanno fatto i controlli doganali. La polizia serba mi ha scambiato per un profugo italiano e non mi riconosceva dal passaporto. Saranno stati i cd di Bregovic a farli cambiare idea? La prossima volta è meglio farsela sotto!

Cartolina da Skopje

Skopje, capitale della Macedonia

Rosario PipoloArrivato alla stazione degli autobus di Skopje, mi sono chiesto: “Dove caspita sono finito?”. Sarà l’effetto del sole cocente, ma la città non ha per niente l’aria di essere la capitale della Macedonia. Quando ti lasci alle spalle la piazza principale e il suo centro commerciale nuovo di zecca, arrivi nel quartiere turco e sospiri: “Non male… E se avessi sbagliato strada e fossi ritornato ad Istanbul?”. Il cazzeggio è una buona alternativa e condividere un sacchetto di noccioline con due giovani macedoni è rassicurante: lui, 25 anni, è disoccupato e deve sorbirsi la stessa filastrocca del padre nostalgico della ex Jugoslavia; lei, 20 anni, studia come fashion designer e sogna almeno una volta di venire a Milano. Laggiù la vita scorre tranquilla e me lo ripetono tutti.  Dove vanno gli skopjni (si dice così?) a refrigerarsi quando in centro ci sono quasi 40 gradi? Al lago Matka, raggiungibile comodamente in auto, ma in maniera folcloristica con un autobus (e pensare che mi lamentavo di quelli greci!). Quella pozzanghera d’acqua sembra un’oasi in mezzo al deserto, anche se è tutta artificiale. Niente bagno, niente tintarella. Al ritorno però non faccio cazzate e mi improvviso autostoppista, più sicuro del servizio pubblico. Un signore e il suo bambino mi hanno accompagnato per una manciata di chilometri. Peccato che il pargolo fosse pestifero e si è divertito a mordermi le orecchie per tutto il tragitto. Ecco perchè nelle foto le ho tutte arrossate!

La valigia, compagna di viaggio o vacanza?

In valigia...

Rosario PipoloPer me la valigia è un oggetto sacro. Crescendo ho imparato ad associarla al viaggio più che alla vacanza. Ognuno ci mette quello che vuole. Da bambino, in procinto di partire per la villeggiatura, li vedevo tutti ossessionati dalla valigia: i miei erano timorosi di dimenticare qualcosa,nonna Lucia era alle prese con i suoi 12 paia di scarpe da portarsi dietro, nonno Pasquale la trasformava in una farmacia da viaggio con i medicinali per la pressione e mia sorella Rossella si sarebbe fatta afferrare per pazza se le avessero negata uno scomparto per le sue Barbie! Per me il significato di valigia è cambiato nel 1988 in Inghilterra, quando sono partito da solo per la prima volta. I miei me ne hanno imposto una extra-large, grande come una casa. Mi prendevano in giro e dentro c’era veramente di tutto: c’entravo persino io, giuro! Le dimensioni dei miei bagagli sono cambiate nel tempo, anche se per la mia traversata negli USA di qualche anno fa, ho usato una Sansonite. Provate ad immaginarmi in Texas a fare l’autostoppista con una valigia di quel tipo! Al di là delle dimensioni o che la faccia alla svelta, la valigia per me è una grande compagna di viaggio perchè ogni volta che la preparo mi dico: e se fosse l’ultima? Magari nella prossima meta ci resterò per sempre e non mi muoverò più! E pensare che mio padre ha detestato sempre i bagagli perché gli ricordavano le partenze dei fratelli e sorelle, emigrati in Francia. Per me sono tutt’altro, un ponte tra il posto in cui sono e quello in cui andrò, in viaggio o in vacanza, lasciando parecchio spazio libero per riempirlo con i ricordi delle nuove persone conosciute.

Il sogno di un veneto al Castello di Bevilacqua

castello150Continua a piacermi l’idea di vagabondare in posti minuscoli dello stivale italiano alla ricerca di storie da raccontare, dei sogni di piccoli uomini. Come quello di un imprenditore veneto che quasi venti anni fa ha visto il rudere di un castello e se ne è innamorato. Gabriele Cerato non ha pensato di restituirgli una seconda vita per viverci con la sua famiglia, ma per condividerlo con gli altri. Oggi il Castello di Bevilaqua è una delle location più suggestive del padovano,  a pochi passi da Montagnana. Pernottando lì ho capito che le atmosfere fiabesche possono stare anche ad un passo da casa tua, basta cercarle. Al di là delle leggende, non ci sono fantasmi, ma solo una memoria storica di più di 700 anni. Il sogno di quell’anziano signore veneto è rimasto in eredità a Roberto Iseppi e sua moglie Miresi che gestiscono il castello di Bevilacqua con ragguardevoli riscontri. Oltre ad apprezzare l’audace arte culinare dello chef, mi ha colpito la vera anima di questa coppia castellana: aprire la location a tutti, anche per una semplice visita monumentale. Un’amica insegnante alle elementari mi ha raccontato di aver portato la classe. Gli alunni sono rimasti entusiasti. Qui la questione è un’altra. A rendere fiabeschi gli scenari non sono i luoghi, ma soprattutto le persone. E il sogno di quel signore veneto aleggia ancora tra le mura perché è la memoria di Gabriele Cerato a custodire la magia di quel castello nel padovano!