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Vengo via con te: Caro Luca, nella tua culla la nostra Calabria

Lunedì sera la televisione ci ha fatto dono di un altro bagliore di levatura culturale. Roberto Saviano, nella seconda puntata di Vieni via con me, ha spiegato magnificamente agli italiani le malefatte della ‘Ndrangheta, che ha colonizzato pure la Lombardia. Quella  lezione mi ha fatto venir voglia di tornare sui banchi di scuola, ma anche di rovistare nei ricordi belli che mi uniscono alla Calabria.
Dopo aver spento il televisore, nella penombra muta del mio soggiorno, mi sei venuto in mente tu, caro Luca, piccino piccino nella tua culla. Avevo una gran voglia di coccolarti e di cantarti una ninna nanna, rannodando la mia memoria alla tua terra: quella volta su una Cinquecento rossa con mamma e papà verso Scalea alla fine degli anni ’70; le lunghe passeggiate con nonno Pasquale sulle spiagge di San Nicola Arcella; la salumiera logorroica di Schiavonea che mi conquistò tra coccole e caramelle; Franco Cutruzzulà, studente d’Ingegneria di Soverato, che mi faceva sbirciare tra i suoi progetti universitari;  i silenzi ad intermittenza rivolti al volto severo di S. Francesco da Paola; il senso di liberazione scorazzando in Sila; il faccino carino di Daniela, la bimba calabrese con cui condivisi un lecca-lecca, ma lei non si accorse che ero stracotto di lei.
Tutti questi scatti, messe in fila uno dietro l’altro, erano in netto contrasto con il racconto di Saviano, quello dell’altra Calabria, nascosta tra i bunker dell’Aspromonte; soggiogata dall’omertà; scoraggiata dal fatto che il male possa farla franca sul bene; narcotizzata da quello sconforto che ti fa associare la criminalità al potere.
Caro Luca, ha ragione lo scrittore di “Gomorra” a ribadire che “non si può asciugare l’acqua con l’acqua, non si può spegnere il fuoco con il fuoco, non si può vincere il male con il male”. Mi sono ricordato di quel pomeriggio sulla spiaggia di Scalea in cui un bimbo prepotente buttò giù il mio castello di sabbia. Lui si aspettava che io lo menassi. Guardandolo diritto negli occhi, replicai: “Perché lo hai fatto? Adesso dammi una mano a farne uno più bello. Lo costruiremo assieme”. Tonio chiamò gli altri amichetti e tutti assieme costruimmo una fortezza. Diventammo amici per la pelle e da qualche parte c’è ancora il disegnino che Tonio mi regalò prima che finisse la vacanza.
L’amore vuole amore. E tu Luca, sbucato dal pancione di mamma per un atto d’amore, sei la speranza della tua terra. Adesso è tempo di sognare, ma poi domani sarà tempo di fare bei castelli, assieme a tutti coloro che lottano per una Calabria diversa. Io continuo a sognare un’Italia migliore, anche dopo l’assoluzione vergognosa dei colpevoli della strage di piazza della Loggia a Brescia. La tua culla è la tana sicura dei miei sogni. Luca, ho deciso. Faccio le valige: vengo via con te!

A Saviano e Benigni: Vengo via con voi!

Quando mi vergogno di essere italiano per le tarantelle che si ballano nel nostro Paese, ho sempre l’alternativa a porta di mano: “Prego, sono napoletano”.E’ bastata un’inquadratura televisiva, stranamente del Servizio Pubblico, a farmi tornare orgoglioso di essere napoletano e italiano al tempo stesso. Si tratta di quella che riprendeva assieme “i due Roberto”, Benigni & Saviano. Quando occorre aspettare affinché diventi una polaroid emblematica della storia televisiva del nuovo millennio? Con l’assenso o dissenso del potere, il telespettatore ha ancora l’ultima parola, perché l’arma del telecomando è dalla parte nostra e non da chi vuole censurare.
La prima puntata di Vieni via con me, l’osteggiato programma televisivo di Fabio Fazio e dello scrittore di “Gomorra”, è stata una delle oasi più travolgenti ed emozionanti che la Rai abbia mai proposto. Roberto Saviano, surriscaldando i motori delle coscienze dentro la metafora della “macchina di fango”, si è servito del monologo teatrale per far sì che la riflessione della formula del Teatro-Canzone di Gaber e Luporini si rivestisse di teatro-televisione. Il giullare Benigni, svolazzando tra sussulti danteschi e filosofici, ha guardato diritto negli occhi un “boss”, ricordandogli che l’amore e una biro posso resistere ad ogni mostruosità.
Mentre il web si mette a caccia delle pillole in video della prima puntata e il successo è a furor di popolo, perché rischia di saltare lo speciale dantesco di Roberto Benigni nei giorni Natalizi? La Rai dice che non ha soldi, ma continua a strapagare quei quattro gatti della casta prediletta. Ieri sera, al concerto di Paolo Conte a Milano, ho ritrovato la canzone Via con me e Roberto Benigni, seduto in platea a pochi passa di me. Firmandomi una dedica, non si è accorto che oggi sono io a gridare : Caro Saviano, caro Benigni, vengo via con voi, perché il Belpaese fa finta di niente, si ottura il naso, pure quando c’è chi si batte affinchè la nostra tv ritrovi la genesi della sua missione sociale. Ah, dimenticavo la missone sociale è un’altra, quella di stordire col fango populista sotto l’egemonia di tette, volgarità e stupidità.

Paolo Conte

Via
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Ho riscoperto la musica di Paolo Conte grazie a mio cugino Max. Da allora ho preso una cotta musicale per l’Avvocato astigiano e mi sono procurato tutti gli album. Credo che l’album Aguaplano sia davvero un’opera letteraria e musicale allo stesso tempo. Quando l’ho incontrato alcuni fa, mi sono fatto autografare il disco di “Concerti”. E lui timidamente mi ha detto: “Che bello! Un vecchio disco…”