Me ne sono andato a zonzo nel Medioevo con la mia penna da cronista, per fare un mini reportage e mettermi alla ricerca degli antenati che avevano cucito un filo temporale fino al mio futuro. Mi sono ritrovato nell’Italia Medievale, intorno al Castello di Bevilacqua costruito da quel Guglielmo I Bevilacqua, che mi ha concesso benevolmente di portarmi dietro gli inseparabili occhiali e lo smartphone per twittare. L’abito nuovo mi calza a pennello, incluso il cappello. Io sono mancino e non rinnego le origini. Riuscirò mai ad usare le piuma d’oca, inchiostro e calamaio per appuntare sul mio diario?
L’euro non vale niente nel Medioevo. Non so come fare per mangiare. Chi mi crederebbe mai che vengo dal futuro? All’entrata del Castello inciampo nella bontà di Anna. Mentre la sorellina Giulia fa da sentinella, Anna mi lascia passare sotto un tunnel, facendo credere a tutti che sono Enrico, il factotum di Guglielmo I che indossa il mio stesso abito da cantastorie. Arrivo alle cucine del castello e riesco a mangiare selvaggina e verdure, bevendo del buon vino.
Dalla sala accanto sento la voce di un attore che recita stralci di Mistero Buffo. Lui si accorge di me, si avvicina e mi prende per il cappello: “Straniero, lo so che tu vieni da lontano. Quando tornerai a casa tua, va’ a bussare alla porta del grande Dario Fo e digli che io fui suo antenato. Sono l’attore Alessandro Martello”.
E’ notte fonda. Sono fuori dal castello. Trovo un accampamento. Omero, capitano della Compagnia d’Arme San Vitale, mi offre l’ospitalità. Isabella, Anna e Moreno pensano ad allestire la tenda; Marcello e Sabina si fanno in quattro per trovare delle pelli come coperta; Giulia mi guida nel posto dove dormirò, facendomi luce con una candela. La notte passa, mi sveglio di soprassalto. Esco dalla tenda e mi incanto a godermi una meravigliosa alba che sbarba il castello di Bevilacqua. Mi raggiungono Paolo, Theo, Yuri, Renato, Oriella e Sandra.
E’ il dì di festa. E’ domenica. Arrivano grandi e piccini, c’è musica, sfilano gli sbandieratori, gli alfieri della Regina di Piovene Rocchetta, saltibanchi e giocolieri. Massimo, Davide, Gabriele, Alessandro, Arianna e Valeria fanno strepitose magie, parlando con la cadenza della mia Napoli. Irene non ne vuole sapere. Nonostante sia imbranato, mi insegna a camminare sui trampoli, facendo buon uso della maschera.
L’incantesimo sta per finire. Vorrei che non arrivasse più questo ritorno al futuro. C’è tanta umanità e solidarietà tra questa gente, che non divora lo scorrere del tempo con la nostra frenesia. Abbiamo rinnegato il vivere per l’arte, perchè ci fa palpare il mondo con gli occhi della fanciullezza.
Prima della partenza, mi commuove un esercito di bambini che combatte l’ultima battaglia per lasciare un messaggio chiaro a noi saccenti del futuro: “Perchè non gettate via le armi e usate gli abbracci per riscoprire la ricchezza che c’è oltre la corteccia della diversità?”.
Dimentico il cappello e la mia piuma d’oca. Ora come vi dimostrerò che sono stato per ventiquattro ore nel Medioevo? Gli appunti si sono sbiaditi. Le emozioni per niente.
Nel taschino trovo un biglietto con una dedica di Guglielmo I Bevilacqua che, nella transizione da passato a futuro, si è disciolta nell’inchiostro di un pensiero di Alfred De Musset: “L’immaginazione a volte dispiega ali grandi come il cielo in un carcere grande come una mano”.
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